Sergio Daniele Donati, Amén, (Il Leggio Libreria Editrice, Venezia, 2024)
Un libro che merita una lettura approfondita che va ben oltre il gusto estetico del leggere o del fare poesia
Accostarsi alla poesia di Sergio Daniele Donati (Milano, 1966) significa fare esperienza di un viaggio nel silenzio della parola. Una parola qui intesa nel suo valore sacrale e fondativo di una rivelazione, che porta con sé la voce degli avi e quella più intima e più profonda della spiritualità. Una parola che s’imprime nel silenzio e che lo scardina, ribadendone l’essenza primaria come origine di conoscenza e di ascolto interiore, dunque, fondatrice di un dialogo, che nella poesia del Donati è generatrice di voci e verità, è relazione con l’Altrove. Una poesia di silenzi profondi e di dialoghi disarmanti, è questo Amén, ultimo lavoro del poeta milanese, già autore tra gli altri di Tutto, tranne l’amore (Divergenze, 2023), Il canto della Moabita (Ensemble, 2021) e fondatore e direttore del blog Le parole di Fedro. Donati impreziosisce questa raccolta con una prefazione a firma di Anna Rita Merico e con in chiusura un dialogo (appunto) con Gabriela Fantato.

Troviamo non in ultimo, nella sezione “Balbuzie”, Attraversamenti poetici immaginari, un dialogo poetico in absentia con autori importanti del nostro patrimonio letterario (Da Borges a Ungaretti, da Kavafis a Rilke, ma l’elenco potrebbe continuare). Silloge dialogica dunque permeata di silenzio e tuttavia ricca di parole incandescenti che scavano nell’animo del lettore, viaggio nella scrittura che affonda nella storia dei tempi e nel cuore dell’uomo, per approdare alla profondità e alla fragilità dell’uomo di ogni tempo e da qui risalire con una certezza granitica, come si evince già dal titolo: tutto ciò che tiene saldo, che è veritiero, affonda nella caduta e nell’inciampo, tutto ciò che è sacrale e umano, fragile e indifeso, ha nella relazione con la propria interiorità la propria forza e grandezza. Amén è un libro complesso, che ha il sapore del salmo e del canto rivelatore, è un libro che merita una lettura approfondita che va ben oltre il gusto estetico del leggere o del fare poesia. Un libro di presenze, e di assenze, che ha nella memoria antica il pianto degli uomini di ieri e di quelli di oggi, ma allo stesso tempo è parola intessuta di una forza disarmante nel ribadire il valore del sentire umano e della scrittura, che è un atto di abbandono cosciente, aderenza piena alla propria esistenza e coscienza del limite. Amén è un atto di fede e superamento della dimensione dolorosa e terrena dell’esistenza che coincide oggi con un appiattimento di passioni e di identità, una contemporaneità che annulla l’io e il sacro in nome di valori consumistici apparentemente vicini all’idea di senso e di pienezza («Ancor più mi chiude, la prigione immortale; / l’assenza di desiderio», p. 91).
Amén è una preghiera, ma una preghiera lirica che accoglie il sacro e il quotidiano, il patrimonio letterario e l’abisso interiore del poeta, limpido e magmatico a tratti, per fare dell’Altrove e della relazione con l’alterità l’orizzonte ontologico di un più attento sentire, perché se il limite definisce confini ed individua alterità, ogni parola non pronunciata conserva in fieri l’esistenza di altri possibili orizzonti e realtà: altri tempi dunque, come altre epoche storiche, altre voci e altre infinite possibilità, si assommano e si disperdono, così che l’una non è altro che il risultato dei tre tempi storici (passato, presente, futuro) in continuo divenire: «Lo chiamano Silenzio / ma ha un soffio tenace / e guarda al mondo delle forme/ con sguardo bambino» p. 77).
Nella fragilità stessa che è la poesia, esistere equivale ad essere consci di tutto ciò che ci precede, di ciò che siamo, di ciò che saremo, di ciò che non abbiamo più e che tuttavia, nel mistero e nel fluire perpetuo della vita, permane, fecondando tutto di sacrale bellezza.
*Laura D’Angelo, scrittrice, poetessa