RubricaCeption – L’immensità del cielo nell’eternità di Roma: Quarta Tappa
Roma nasconde meraviglie a non finire, Capiamo insieme come questa eterna città racchiuda l’immensità del cielo
Bisogna sempre guardare oltre al proprio naso per raggiungere l’infinito. Chi mi legge, mi avrà sentito ripetere questa frase innumerevoli volte. Oggi vi stupirò aggiungendo una cosa: “…Ogni tanto, però, l’infinito si cela proprio sotto al nostro naso.”

Eccoci arrivati alla quarta tappa del nostro tour “L’immensità del cielo nell’eternità di Roma”. Se non avete letto le prime tre puntate, vi consiglio di farlo così che possiate capire da dove nasce questa “rubrica nella rubrica” e fare un viaggio completo a zonzo per Roma.
Nell’ultima puntata abbiamo avuto la compagnia di Cristina di Svezia e della sua splendida eccentricità. Dato che sto scrivendo questo pezzo proprio a ridosso della giornata delle donne nella Scienza (11 febbraio), mi aggancio a lei per raccontarvi il perché i nomi legati alla Scienza sono principalmente maschili. Spoiler: non è perché noi donne non siamo portate per i numeri.

Nel nostro giro per Roma, questo argomento lo tratto in corrispondenza alle splendide Magnolie in Piazza de’ Renzi, a Trastevere. Pronti? Via!
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Nel linguaggio dei fiori la Magnolia è simbolo di Candore, ma anche di Perseveranza e Dignità. E da donna e scienziata non posso quindi esimermi da associare a quest’albero un argomento a me molto caro.
Fermatevi un momento e pensate a una persona illustre che ha lavorato o lavora nella Scienza: vi lascio qualche riga di silenzio…
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Sono pronta a scommettere che la maggior parte di voi avrà immediatamente visualizzato nella sua testa una figura maschile, probabilmente simile ad Albert Einstein, ma comunque sia, un uomo.
Non preoccupatevi, tutto normale…. Ahimé. In tanti test effettuati, in diverse scuole sia in Italia che a livello globale, la media vede il termine “scientist” (neutro in inglese) associato a un maschio, bianco, solitamente con i capelli “inciafrugliati” e gli occhiali. Tra questi test, il più famoso e ripetuto in varie parti del mondo sin dagli anni sessanta si chiama “Draw a Scientist” (disegna una “persona di Scienza”): un’analisi dei risultati ottenuti ci dice che il numero di donne disegnate era lo 0,6 % tra il 1966 e il 1977, passato al 28% tra il 1985 e il 2016. Trand positivo, certo, ma ancora molto lontano da quello che dovrebbe essere purtroppo (leggetevi il bel libro “Oltre Marie” di Edwige Pezzulli e Nastassja Cipriani per tante informazioni interessanti su questo tema).

Il problema principale è che noi donne ci siamo avvicinate alla Scienza molto tardi: non perché, come si sente ancora molto spesso dire, non siamo portate per i numeri ma perché siamo sempre state le uniche a dover pensare a tutto il resto, reputate troppo “emotive” per approcciare alle materie scientifiche. E quelle poche che hanno percepito un “disturbo nella forza” e hanno tentato di andare oltre, di dare un barlume di speranza al proprio esistere, sono state tacciate di essere donnacce, pazze, isteriche, egoiste e cattive madri.
Ipazia d’Alessandria, epoca bizantina, fu bruciata perché atea ai tempi dell’apice del Cristianesimo e perché amante e divulgatrice della Scienza. A lei dobbiamo l’invenzione dell’astrolabio.

Marie Sklodowska Curie, classe 1867, si alternò con la sorella Bronisława in modo che una lavorasse mentre l’altra potesse raggiungere il proprio obiettivo negli studi. Unica donna al mondo a vincere due premi Nobel, uno per la fisica e uno per la chimica, e rischiò di non avere il secondo perché ebbe una storia con un eminente scienziato sposato: essendo quindi, lui, sposato, lei, avrebbe destato scandalo. Presa la decisione di attribuirglielo comunque, le venne chiesto di non partecipare alla cerimonia. Richiesta, giustamente, del tutto ignorata dalla Scienziata.

Vera Rubin Cooper, classe 1968, invitata dal suo professore delle superiori americane a dedicarsi a materie artistiche, col sostegno dei genitori studiò invece la fisica e l’astrofisica in tempi in cui la maggior parte delle università prestigiose non erano aperte alle donne. Vera Rubin è una dei genitori del concetto di materia oscura, per dire, eppure si trovò a dover mettere un foglio di carta a forma di gonna sopra l’omino indicante i bagni degli uomini, vista l’assenza del bagno delle donne nel posto di lavoro.

O ancora Lisa Meitner, classe 1878, scopritrice del processo di fissione nucleare; Rosalind Franklin, classe 1920, la prima ad aver fotografato la forma del DNA; Jocelyn Bell, classe 1943, scopritrice delle pulsar (resti di esplosioni stellari, grandi circa 30km ma con una densità incredibile). Tutte protagoniste del cosiddetto “Effetto Matilda”, descritto per la prima volta negli anni 90 dalla storica della Scienza Margaret Rossiter e il cui nome viene dall’attivista americana per il suffragio femminile Matilda Joslyn Gage: in breve, si sono viste sfilare il Nobel da sotto al naso perché concesso a colleghi o superiori uomini (il nome di costoro ve lo dovrete cercare per conto vostro).

E ultima ma non ultima la nostra Samantha Cristoforetti che poté concorrere all’aeronautica militare per il rotto della cuffia, visto che solamente l’anno stesso in cui sarebbe diventata troppo “vecchia” per farlo, l’aeronautica aprì le porte alle donne. La stessa Samantha che nella sua prima missione sulla Stazione Spaziale Internazionale (la missione “Futura”, anno 2014) non poté effettuare la passeggiata spaziale (chiamata tecnicamente “EVA”, cioè Extravehicular Activity) per carenza di tute disponibili perché, sapete, le tute fino a pochi anni fa erano ancora quelle tarate su taglie prettamente maschili. La stessa Samantha che, alla partenza per la sua seconda missione sulla ISS (missione “Minerva”, anno 2022), di cui sarebbe diventata anche capitana, ha dovuto rispondere alla domanda: “Ma dove lascerai i tuoi figli per i 6 mesi che sarai su?”. Domanda che non è mai stata fatta ai suoi colleghi uomini ovviamente.

Potrei proseguire ma mi fermo perché voglio che vi arrivi un concetto importante. Dobbiamo guardare oltre, creare un mondo dove non esistono ruoli ma dove si collabora, tuttǝ! Dove un uomo può pulire il bagno e fare il casalingo e una donna può riparare un tubo e fare carriera, dove il “maschietto” può diventare un ballerino di danza classica e amare la moda e la “femminuccia” diventare una scienziata in gamba e essere una tifosa ultrà; dove nessuno, al di fuori di noi stessǝ, possa avere il diritto di dire cosa sarebbe più giusto e cosa no. I limiti esistono solo perché siamo noi a crearli.

Il programma ARTEMIS, erede del fantomatico APOLLO, ci porterà di nuovo sulla Luna, e stavolta porterà uomini e donne, donne che prima dovevano guardare lo spazio a testa bassa (nonostante il primo allunaggio avvenne grazie ai calcoli di un donna, Margaret Hamilton).
Quindi, ragazze, “adesso ‘a testa ‘a dovete sempre arza’, perchè noi verso l’infinito e ortre potemo ariva’”. Altro che magnolie…
VERSI
“Pe rompe ‘e barriere c’è vòle tanta pazienza davero, che dopo tutto quello ch’hai fatto pe ariva’ a meta, tutti se fissano prima sur “granne e prezioso” mistero, de chi te guarda i fiji mentre vai a fa’ l’astronauta. Ma te ce dai l’esempio e nonostante tutto e tutti, er sogno tuo continui e te lanci tra lì spaziali flutti. Daje Samantha, da lassù fa sogna’ pure noi, ricordace che ognuna po’ vola’ co’ li soli sforzi suoi”!”
FONTI
EMoT – Museo Diffuso Degli Alberi – https://e-mot.net/
EMoT Applicazione – https://e-mot.net/#app
Libro “Il Cielo Sopra Roma” – Roberto Buonanno
*Martina Cardillo, astrofisica