La grande ambizione: Berlinguer
Il regista ci invita a immergerci in un’epoca complessa e turbolenta, segnata da scontri politici e sociali
“Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni, legate a singoli fini privati, contro la grande ambizione, che è indissolubile dal bene collettivo”. Con questa citazione di Antonio Gramsci, Andrea Segre ci introduce in un mondo dove le lotte politiche e sociali si intrecciano con la vita privata, in un’Italia degli anni di piombo segnata da tensioni e profonde trasformazioni, profondamente influenzata dagli eventi internazionali. Il golpe in Cile del 1973, con la tragica fine di Allende, segnò un punto di svolta nella politica mondiale e gettò un’ombra lunga anche sulla scena politica italiana.

Il regista ci invita a immergerci in un’epoca complessa e turbolenta, segnata da scontri politici e sociali, dove la speranza di un futuro migliore coesisteva con la paura e la violenza. Il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, avvenuto proprio di fronte alla casa di Berlinguer, è un’ombra incombente su tutto il film, un simbolo tragico di un’epoca segnata dal terrorismo.
In questo contesto, il leader comunista si trovò a confrontarsi con figure di spicco come Andreotti, rappresentante di una Democrazia Cristiana che proponeva compromessi spesso giudicati insufficienti da Berlinguer. Le tensioni tra le due forze politiche riflettevano le divisioni più profonde della società italiana, tra chi puntava su una linea più moderata e chi invece sosteneva la necessità di un cambiamento radicale.
Occorre una solida base di valori a cui fare riferimento, si parla di una democrazia zoppa facendo riferimento a quei legami, ai valori che sono stati chiaramente descritti nella nostra Costituzione e che rappresentano la sola garanzia di “ben-essere” per ciascuno di noi, ma che le istituzioni nazionali e internazionali non sono state all’altezza di garantire a fronte delle nuove sfide dell’età contemporanea: cambiamenti climatici, pandemia, guerre e tanto altro.
È necessaria la pazienza, lo studio, e la capacità di ascoltare e di prendere appunti…di non lasciarsi sfuggire nulla; serve tempo per districare una matassa intricata. Il tempo che non si trova più anche per le cose semplici, eppure il tempo anche in quegli anni era uguale.
Andrea Segre ci regala un ritratto intimo ed emozionante di Enrico Berlinguer, un leader politico che, nonostante l’impegno civile, rimane un uomo profondamente legato alla sua famiglia e alle sue radici sarde, ed Elio Germano, con la sua interpretazione magistrale, ci mostra un Berlinguer che va oltre la figura pubblica, che tra un bicchiere di latte e infinite sigarette, ci rivela un uomo semplice, che nasconde 50.000 lire in un libro per portare la famiglia a cena fuori, un gesto che lo rende incredibilmente vicino a noi, nonostante la sua posizione di rilievo.
Una presenza intensa che raggiunge il suo apice nella scena (di grande commozione) in cui Enrico consegna al figlio, alle figlie e alla moglie un chiaro messaggio, un testamento morale: il bene comune può (deve?) richiedere anche il sacrificio.
Il film ci fa rivivere gli anni ‘70, un periodo in cui la politica era una questione che coinvolgeva tutti, dalle piazze alle case. Le immagini di repertorio si intrecciano con le scene attuali, creando un’atmosfera intensa e coinvolgente. Vediamo un Paese in fermento, diviso tra speranze e paure, ma anche unito dalla voglia di cambiamento. Non è un film a mio avviso “di sinistra”, è semmai un’invocazione al buon senso e alla ricerca del senso dell’impegno “nella cosa pubblica”; è un invito a non improvvisarsi politici ma a prepararsi partendo non tanto dalle cose da dire (urlare) quanto dalle cose da ascoltare e comprendere.
È un film che ci tocca nel profondo, che ci fa riflettere sul nostro presente e sul ruolo che ognuno di noi può svolgere nella società. È un omaggio a un uomo che ha dedicato la sua vita alla politica, ma anche un invito a non dimenticare l’importanza dell’umanità e della semplicità.
*Sonia Liccardi, collaboratrice