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Il primo treno verso sud.  Il nuovo libro di Daniele Di Girolamo

Era lui la persona che mi tendeva quella mano sincera che per tanto tempo avevo cercato e mi donava il suo amore indefinito eppure stupendo, immenso e irrinunciabile. Come un mare caldo che ti accoglie tra le sue braccia salate

E’ con questa epifania che si chiude “Il primo treno verso sud”, la prima brillante raccolta di racconti di Daniele Di Girolamo. E perché iniziare proprio dalla fine? Forse perchè, come esplicitato nella prefazione, questi racconti di formazione trovano la loro compiutezza soltanto nell’ultima storia, come la nota finale a chiosa di un concerto. Tutti i personaggi descritti dall’autore , infatti, sono alla continua ricerca di una voce, come strumenti di una sinfonia malinconica dal sapore vintage, alla continua ricerca di nuovi suoni e nuove armonie, che possano accordarsi con il resto dell’orchestra. E allora, per scoprire l’idea dietro a questa consonanza di voci, abbiamo intervistato l’autore.

Come sono nati i racconti? E’ stato un processo durato molti anni o è stata, appunto, “un’epifania”? La mia prima raccolta è nata molto lentamente. Ho scritto i racconti in un periodo di una decina di anni e su ciascuno di essi ho speso molto tempo, ci sono tornato, li ho guardati più da vicino, come un artigiano della pietra dura che voglia levigarla alla perfezione ma che a un tratto si renda conto che un lato della sua opera si può lasciare anche sbozzato, per mostrare meglio le venature della pietra.
Ma, per tornare alla tua domanda, l’idea della raccolta è stata un’epifania: in un pomeriggio d’autunno ho capito che erano fatti per stare assieme e mi sono reso conto che, leggendoli in sequenza, ne scaturiva un crescendo, come in un romanzo di formazione.

All’inizio di ogni racconto c’è una citazione. Com’è stata scelta e come si raccorda al significato intrinseco di ogni storia? In adolescenza leggevo moltissimo e trovavo spesso frasi che stimolavano le mie emozioni e la mia fantasia. Penso che la scrittura e la lettura si siano a un certo punto trovate a convergere su quelle frasi, che ho scelto infatti solo una volta strutturata la storia, come se vedessi in quelle un riflesso di ciò che avevo scritto.

Se dovessi scegliere un passo dei racconti a rappresentazione dell’intera opera, quale sceglieresti e perché? Sicuramente il passo che hai scelto tu in apertura è molto importante, anche perché i racconti sono un crescendo di profondità e di complessità emotiva.
Un altro brano molto significativo per me, particolarmente intimo, è quello di Io sono Elena, in cui scrivo: Metto su un 45 giri di Battisti, una sana compagnia nella casa vuota. È quasi un momento sacro. Il vicinato è particolarmente silenzioso. Dalla vetrata del salone al settimo piano si vede solo il cielo azzurro e una linea verde in basso, il parco della Caffarella, che sembra sostenere il cielo come nei disegni dei bambini. La musica mi rilassa, mi accompagna nella mia quiete e mi invita a chiudere gli occhi e ancheggiare lievemente, allontanando l’umore nero.
In ognuno dei racconti, chi legge può trovare un passaggio più profondo, ma questo penso che sia uno dei più toccanti perché descrive un momento di sofferenza e di sollievo insieme, in cui si lascia fluire l’emotività senza farsene travolgere, come succede invece in alcune delle storie precedenti.

Gli elementi naturali sono sempre presenti nei racconti. Che significato hanno in ognuno di essi? E in particolare che ruolo gioca l’acqua? Penso che la natura faccia parte di noi nel senso più profondo. Cioè che siamo il luogo in cui ci troviamo, siamo gli elementi che ci circondano, siamo la natura in cui ci rispecchiamo. Per questo i personaggi spesso sentono un senso di straniamento quando gli elementi naturali attorno a loro non li rispecchiano. E trovo che l’acqua, tra tutti questi elementi, sia il più interessante, perché allo stesso tempo è trasparente ed è uno specchio, viene tanto da fuori (un mare, un fiume, la pioggia) quanto da dentro (le lacrime, sia di gioia che di dolore) ed è allo stesso tempo un elemento vitale, pensiamo al grembo materno o all’importanza dell’idratazione in un ambiente desertico, e un elemento distruttivo, come possiamo vedere nelle alluvioni o quando il mare è in tempesta. Penso che la sua capacità di permeazione renda meglio di ogni altra cosa le potenzialità del nostro lato emotivo.

Le storie sono legate da un sottile sentimento di malinconia dei protagonisti che, spesso, viene placata dall’incontro con l’altro. Questa ricerca dell’altro come specchio e conforto, è una nota autobiografica? Ci sono state persone nella tua vita che ti hanno aiutato a risolvere momenti di conflitto interiore, soprattutto nel periodo di formazione? La malinconia è uno stato d’animo positivo, perché ci avverte di quando qualcosa non va, abbiamo bisogno di fermarci e ascoltarci, sentiamo la mancanza di qualcosa, quel nero che l’etimologia del termine ci suggerisce. E questa mancanza a volte può essere anche di qualcosa che non è ancora conosciuto, ma di cui sentiamo l’urgenza, come un senso di vuoto. Penso che se sentiamo un vuoto siamo spinti a colmarlo di qualcosa che ci fa sentire meglio, non con foga ma con delicatezza. E non ci si completa con una persona al nostro fianco, perché non siamo pezzi di puzzle, ma sicuramente delle persone positive possono farci bene. L’incontro con l’altro è sempre un momento di scoperta, se siamo aperti al confronto e all’ascolto, se non alziamo muri. La nota autobiografica è presente perché mi è capitato di incontrare tante persone fantastiche, in tutta la loro complessità, che mi hanno trasmesso molto e mi hanno fatto diventare quello che sono oggi, a superare momenti difficili e ad apprezzare quelli felici. Molti personaggi di questa raccolta hanno sorrisi tristi, sorrisi a metà che hanno bisogno di venire fuori.

Se dovessi trarre ispirazione dal tuo libro per fare un film, come lo immagineresti? Per quanto siano storie diverse, penso che in effetti si prestino a una sola rappresentazione. Il film, o miniserie, che immagino ha sicuramente poche parole e molti scambi di sguardi, un’ottima colonna sonora e tanta e varia umanità anche nei personaggi che compaiono solo per un momento. Immagino Xavier Dolan, con una regia simile a quella del video di “Hello” di Adele, un po’ cupa ma anche molto vitale. Come attori vedrei benissimo Zendaya nel ruolo di Elena, Abdelilah Rachid come protagonista di “Sabbia fra le dita” e Carmen Maura come la donna che incontra, un piccolo Samuele Segreto nei panni del bambino di “Passer”,  Sami Outabali e Giorgio Belli in quelli dei protagonisti di “Le sue braccia salate”.
Di quest’ultimo racconto i luoghi scelti a Barcellona sono facilmente individuabili e lo stesso vale per “Io sono Elena”. Negli altri, la casa del bambino di Passer, l’ambientazione di “Foglie secche”, il cimitero di “Ancora nell’oblio”, immagino un’ambientazione frondosa, in cui grandi alberi la fanno da padroni e i rami scendono verso i personaggi per avere un contatto con loro. La città di “Sabbia fra le dita” potrebbe essere una di quelle zone urbane grigie, caotiche, senza aree verdi, piene di auto e totalmente spersonalizzanti. 

Mi piacerebbe che in una rappresentazione video ci fosse molta sperimentazione sulla resa delle emozioni dei personaggi e che si potesse cogliere anche visivamente il loro cambiamento di prospettiva, la loro presa di consapevolezza.

*Arianna Di Biase, giornalista

Arianna Di Biase