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Il rapporto tra il suono e l’immagine nel film: “Le Otto Montagne” 

Alessandro Palmerini, vincitore del David di Donatello 2023 per il miglior suono si racconta a Verbum Press

Il film “Le Otto Montagne” diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Cognetti, ha vinto quattro David di Donatello, uno di questi se lo è aggiudicato Alessandro Palmerini che ha curato il suono del film (fonico di presa diretta). Vediamo come è riuscito a catturare il suono delle location e quali sono state le difficoltà. Ci faremo raccontare anche alcuni interessanti aneddoti e curiosità.

Alessandro benvenuto su Verbum Press e grazie della tua disponibilità. Prima di tutto parlaci delle tue esperienze pregresse come fonico. Di niente Jean-Pierre, ho studiato presso l’Accademia Internazionale per le Arti e le Scienze dell’Immagine de L’Aquila. Nel corso delle mie esperienze professionali ho incontrato due fonici con cui ho lavorato per anni, Remo Ugolinelli e Alessandro Zanon, fondamentali sia dal punto di vista professionale che umano, ed ho avuto il piacere di collaborare con autori come Daniele Vicari, Carlo Mazzacurati, Nanni Moretti, Mario Martone, Gianni Amelio, Bernardo Bertolucci, Andrea Segre,… che hanno alimentato un approccio al Suono del film non semplicemente tecnico, ma con una visione più ampia, funzionale e coerente all’opera che si stava realizzando.

Come sei stato ingaggiato dalla produzione del film “Le Otto Montagne”? La produzione ed i registi del film “Le Otto Montagne” hanno effettuato colloqui per scegliere le diverse figure tecniche e la mia formazione alpinistica (sono stato con spedizioni alpinistiche nel 2002 sull’Himalaya e nel 2007 nel Karakorum), ha molto probabilmente favorito la scelta su di me rispetto ad altri tecnici. Ho avuto l’appoggio di mia moglie che ha detto: “Quando ti ricapita un’occasione simile, di unire le tue grandi passioni?”. La scelta della produzione è stata motivata dalla mia duplice esperienza come fonico e come alpinista e penso che tali elementi siano rispecchiati nel film. Tutte le persone che hanno preso parte a questo progetto hanno collaborato in modo profondo nella realizzazione in virtù della trama particolare della storia e del fascino del luogo. 

Il film è stato girato in quattro periodi diversi dell’anno che hanno determinato condizioni diverse sul fronte atmosferico con conseguenti ricadute sul lavoro. “Le Otto Montagne” è stato un film impegnativo, tutto era reale e la troupe si trovava veramente in luoghi sperduti tra le montagne. Suggestive location delle riprese sono stati vari luoghi e regioni coinvolte quali la Val d’Ayas in Valle d’Aosta, il Nepal, la città di Torino. Bisognava arrivarci sul set ed il tempo era molto variabile anche nell’arco di pochi minuti tutto poteva cambiare. Altre persone avrebbero potuto gettare la spugna perché era necessario uno spirito di adattamento e di affinità personale con il posto e l’essenza stessa del film.

Qual è il rapporto tra il suono e l’immagine nel film? Questo equilibrio tra suono e immagine fa parte del nostro lavoro, il suono viaggia parallelamente all’immagine e con lei è in continuo dialogo. Le ambientazioni le abbiamo viste, ma le viviamo anche con il suono, percepito veramente a 360°.

 Le difficoltà principali sono state riscontrate nel raccogliere materiale sonoro ampio e variegato per poi lavorare sull’essenza del “suono”. Nel raccontare un ambiente di montagna i suoni con cui poter lavorare sono tanti: il canto degli uccelli, l’agitarsi del vento, l’acqua, il fruscio degli alberi, …Mettere tutto insieme potrebbe far risultare il film confusionario. Si è lavorato invece per essenza, concentrando l’attenzione ed orchestrando gli elementi importanti, funzionali all’emozione che occorreva costruire, valorizzando al massimo i suoni raccolti dal set reale e dall’ambiente.

Puoi raccontarci qualche aneddoto interessante e qualche curiosità sul film ed i suoi protagonisti? Luca Marinelli, per esprimere il senso di partecipazione che ciascuno ha messo nella realizzazione di questo progetto, ha raccontato (durante la premiazione dei Nastri D’Argento) di come lo avesse emozionato l’incontro, durante una delle tante passeggiate con il loro maestro di montagna Paolo Cognetti, con quella persona che ha vinto per il miglior suono che riscendeva con uno zaino carico di attrezzature che era stato a catturare i suoni e le emozioni sonore della montagna. Spesso la troupe veniva portata su in cima alla montagna con un elicottero ed io riscendevo a piedi per raccogliere documenti sonori da utilizzare per arricchire gli effetti acustici della pellicola. Inoltre in Nepal ho fatto un cameo in un gruppo di trekker che incrociava Marinelli lungo un sentiero, ed ho prestato la mia attrezzatura alpinistica personale perché corrispondeva all’attrezzatura che usavano in quel momento storico della pellicola. 

Davvero molto suggestivo! Attualmente a quali progetti stai collaborando? Sto lavorando come fonico di presa diretta alla seconda stagione di “La legge di Lidia Poët”, prodotta da Netflix che racconta la storia del primo avvocato donna italiano. 

Qual era l’intenzione registica di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch? I registi del film avevano come intenzione cinematografica rendere in maniera documentaristica il film. Nel set della Barma Drola le riprese si sono svolte realmente sul luogo, vivendone le reali difficoltà e avversità. Cioè Marinelli e Borghi sono stati realmente nella casa di montagna e non in una ricostruzione della casa in un set di studio! Questo rapporto così vivo e autentico ha favorito la loro grande interpretazione e ce ne ha fatto cogliere le più piccole sfumature ed al tempo stesso ci ha offerto elementi reali sul set, anche i più impercettibili suoni ad esempio lo scricchiolio del legno, il crepitio del fuoco, gli spifferi del vento…Tutti i tecnici dello staff sono stati fedeli osservatori ed ascoltatori. Inoltre il premio che ho ricevuto, non è soltanto mio, ma anche dei microfonisti che lavoravano con me, e degli altri colleghi che hanno curato la postproduzione e il mix. Il film è un lavoro corale, il regista è un direttore d’orchestra che mette insieme le tante voci.

Bellissime le immagini sonore con cui hai raccontato nell’intervista la tua esperienza. Il formato 4:3 del film cosa ha comportato? Il formato 4:3 ha molta verticalità rispetto al formato panoramico. Il formato panoramico permette nella parte superiore del fotogramma un ampio spazio operativo con i microfoni. Mentre con il formato 4:3 questo spazio per i microfoni era più difficoltoso e comportava una maggiore distanza dagli attori. La scelta estetica del 4:3 ha permesso di far coesistere nella stessa inquadratura tutti i nostri protagonisti, gli attori e la montagna e di stare più sull’emotività dei personaggi nei piani stretti.

*Jean-Pierre Colella, docente

Jean-Pierre Colella