VerbumPress

Tra crolli e cantieri

A rischio l’ecosostenibilità della montagna

Gutta cavat lapidem non vi, sed saepe cadendo

Ovidio nell’adatt. di Alano da Matera (XIV sec.)

Cambiamento: sintomo di progresso?  – Sempre positivo, magari non proprio! E’ il caso del mutato profilo in quota, registrato dalla cronaca in tanti eventi, acuitisi la scorsa estate, anche se data da lontano il maledetto succedersi degli episodi di sbriciolamento della nostra bella montagna. 

Del 2005 il crollo del Petit Dru sul monte Bianco. È toccato di recente all’attiguo pilastro di nord-ovest. Ma nell’agosto 2017 cede la parete nord-est del Cengalo. 200 abitanti di contrade a valle vengono fatti evacuare per precauzione. Due anni dopo, sul monte Rosa stesso dramma, tra i ghiacciai Fillar e Nordend. Due anni fa implode una sezione del ghiacciaio dell’Adamello. Scivolano rovinosamente 120mila mt³ di crosta e detriti. Si arriva al maggio di quest’anno: alla tragedia sul seracco del Grand Combin. Muoiono due alpinisti e nove restano seriamente feriti. Va, infine, richiamata anche l’emergenza a Courmayeur. Per tema dell’instabilità di due ghiacciai, si studiano le più opportune vie di fuga per i residenti di quelle valli sottostanti, probabile bersaglio degli ipotizzati crolli.

Un’algida agenda di sconvolgimenti in montagna, accomunati dalle negative conseguenze del cambiamento climatico in corso. In questo è pieno l’accordo tra gli esperti, chiamati ad indicare le cause di concordanti eventi sfavorevoli, erroneamente definiti “disgrazie naturali”. Di “naturale” c’è solo il contesto ambientale: il paesaggio verticale. Territorio, funestato, appunto, da crolli e frane, in concorso con penuria idrica ed incendi sempre più numerosi. E, grazie all’individuazione delle responsabilità dirette dello scempio in quota, l’intervento preventivo si appalesa vieppiù urgente e irrinunciabile: per correre ai ripari contro i guasti di una tale fenomenologia. 

Ad esempio, si pensa ad una più visibile opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Da venerdì prossimo e per l’intera settimana seguente, si darà vita ad una manifestazione a tappe, all’insegna dll’icastica tematica, resa, nei manifesti dell’appuntamento, come: «I sollevamenti della terra». Si andrà da Ponticelli, in provincia di Bologna, fino al lago Scaffaiolo, nell’Alto modenese. La scelta della località di partenza si lega al successo, conseguito dall’opposizione popolare ad un programma infrastrutturale, che avrebbe cementificato una risaia. Il tracciato della marcia pubblica pacifica si snoda, in particolare, attraverso il territorio, interessato dalla costruzione del nuovo passante autostradale. Opera, che produrrà consuntivamente una colata di cemento in un panorama di montagna esclusivo. All’arrivo dei manifestanti, sull’Appennino modenese, lancio di slogan contrari alla realizzane di una seggiovia quadriposto in un’area, sulla carta, protetta dai vincoli di parchi e riserve naturali.

Focus, infatti, sui rischi di un progressivo infiacchimento della montagna, da difendere dagli sventramenti, connessi a progetti di cosiddetta modernizzazione infrastrutturale, ribadiscono gli schieramenti più preoccupati dalla vulnerabilità dell’ecosistema. Pur se questi oppositori si sentono spesso piovere addosso l’accusa di fondamentalismo ambientale, come capita anche nelle tappe del tour artistico estivo del popolare rapper Jovanotti. Ma si fa notare che, parlando di siccità e condizionamenti climatici, non si deve passare sotto silenzio la responsabilità di asfalto e inerti contro la salvaguardia conservativa specialmente di sorgenti e falde idriche. Le montagne rappresentano all’occorrenza riserve spontanee, per la rigenerazione di acque meteoriche in generose sorgenti idropotabili.

Si fa l’esempio  – solo il più eclatante, ma non l’unico –  dei trafori, scavati, per l’AV, tra Bologna e Firenze. Si è calcolata la perdita di poco più di 100miliardi di mt³ d’acqua sotterranea, con la scomparsa di 37 sorgenti in quota e l’inaridimento di circa 57 km. di rii e torrentelli tra le balze dell’Appennino tosco-emiliano. Le falde della zona,, interessata dalle perforazioni ferroviarie, sono precipitate per decine di metri e si sono svuotati, a valle, numerosi pozzi ed acquedotti, afferenti all’offerta idrica, libera nelle vene della montagna. Fatto è che l’impermeabilizzazione del suolo inibisce la penetrazione ipogea della pioggia. Perciò, le falde acquifere non possono rinnovarsi e sono destinate a definitiva perenzione.

L’Italia è da maglia-nera europea nell’ampiezza di suolo, malauguratamente impermeabilizzato. Si stima che, con i cantieri attivi, ogni secondo che passa  – dal punto di considerazione della idrodisponibilità –  si sigillano di fatto ben due mt² di terreno. E le infrastrutture per la mobilità valgono il 41% dell’edificato, sommando autostrade, tunnel, opere accessorie, parcheggi, autostazioni. Ribadendo che solo il 7% dell’impronta idrica totale è data da usi domestici. Quindi, sono le grandi opere, colpevoli della penuria idrica e non le docce troppo frequenti o il ricorso eccessivo allo sciacquone del WC.  Lo spreco d’acqua è innegabile, ma la perdita è, per dire, a monte: ad esempio, nelle reti-colabrodo urbane, lungo i cui dotti “muoiono” annualmente almeno 3miliardi e mezzo di mt³ d’acqua senza mai pervenire all’utenza civile e produttiva.

Educare al consumo responsabile è indubbiamente ottima pedagogia; ammirevole esercizio di cittadina cooperativa. Però, la lettura sul ciclo idrico deve essere implacabilmente implementata. Non tanto, ad evitare che colpevolizzazioni ingiustificate frustrino una coscienza civile autonomamente solidale. Occorre adeguare la piattaforma di conoscenza integrata sulla valenza idrica. Questa pedagogia pubblica sosterrà l’efficacia di ogni programma per la corretta gestione della risorsa-acqua. Soprattutto, conforterà il giudizio sulla reale declinazione mutamento del profilo montano; inaridimento del suolo; sconvolgimento del clima. Stop, allora, alla cantierizzazione?  – Non esattamente così!. Bisogna concertare strategie, calibrate su prospettive e progetti, badando alla qualità, in tutti gli aspetti interagenti. 

Così, dal PNNR arrivano precise raccomandazioni. Ad esempio, l’urgenza prioritaria di accrescere la pianificazione rigenerativa dell’esistente in ammaloramento. Piuttosto dell’applicazione su nuovi interventi edilizi. Non solo  non tanto per risparmiare spazi naturali, candidati all’artificializzazione, pur se destinata a servizi collettivi. Precipuo proposito rimane la conservazione delle disponibilità in essere, sottraendosi alle lusinghe del nuovo, sicuramente più costoso e spesso anche meno dimensionato sotto il versante dell’occupabilità. Di qui, l’interesse ad interventi che privilegino il riuso, la flessibilità, la suscettività pluriverso, al fine di un futuro adattamento a sopravvenienti necessità, tanto più se imprevedibili. Nel segno di un’azione di organica ecosostenibilità. A cominciare dal fronte del contrasto ai gas serra. L’incremento è dato, infatti, in Italia, ancora in aumento del 6,8% su base annua rispetto al 2021. Responsabilità, specialmente del comparto trasporti (+15,7%) e dell’industria (+9,1%). Perciò, occorre rinunciare a qualsiasi pigrizia, per attuare immediatamente un disegno di riqualificazione.

Sfida, che passa innanzitutto da una rigorosa progettazione integrazione. Operazione difficile e stimolante. Impegnativa per le variabili in gioco da ridurre a scelta di qualità; allettante per il progettista, perché incentiva creatività e strategia. Davvero un terreno fertile per la complessità professionale. Diversificate e svariate le competenze, che entrano in gioco, progettando ad alta quota. Da dove dovrebbero arrivare intanto i materiali costruttivi. Poi, lo smaltimento dovrà essere gestito in perfetta aderenza alle particolari specificità ambientali, senza dar per scontate le consuete soluzioni adottate comunemente nei cantieri ordinari. 

Ma se tarda quel che attende la montagna, oggetto, pertanto, di ansie e preoccupazioni a causa di un uso scorretto, dal mare-oceano gradita, invece, la novità, che arriva dal Perù. Qui, l’onda chicama  – che, per km e km di sviluppo lineare, finisce tutt’intiera per infrangersi in modo uniforme –  è diventata la prima onda al mondo ad essere protetta da una legge statale. Intervento, che punta subito a contrastare propositi cementiferi a meno di due km. dalle aree frangiflutto. Prendano nota i legislatori del globo terracqueo.

*Paolo Rico, giornalista, saggista

Paolo Rico