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Mosaico indigeno, Loretta Emiri (Multimage, Firenze, 2020)

Aspetti della vita sociale e della cultura indigena in Brasile

Mosaico indigeno (Multimage, Firenze, 2020) è l’ultima opera letteraria pubblicata dalla poetessa e scrittrice Loretta Emiri, nota antropologa e studiosa delle comunità indigene amazzoniche (soprattutto quella Yanomami) Questo libro – come ricorda il breve comunicato stampa – nasce dall’esigenza di far circolare informazioni meno superficiali e stereotipate riguardanti i popoli indigeni presenti in Brasile, nella speranza che i lettori prendano coscienza del fatto che essi hanno preservato intatta la foresta amazzonica fino ai nostri giorni, che sono nostri contemporanei, che hanno molto da insegnare a coloro che hanno trasformato la terra in un tossico immondezzaio. Già pubblicati in riviste e spazi web, il libro riunisce testi che parlano di diritti e lotte indigene, di lingue e culture, di personalità quali Chico Mendes (1944-1988) e Joênia Wapichana (1974), che è la prima indigena eletta deputata federale. Tra le etnie citate troviamo la yanomami, macuxi, guarani-kaiowá, munduruku, xukuru, warao. Seppure la situazione congiunturale varia da gruppo a gruppo, ciò che emerge dalla lettura del libro è la formidabile resistenza dei popoli indigeni che lottano da cinquecento-venti anni per la sopravvivenza fisica e culturale. In epoca recente, la lotta per la terra e per il rispetto dei diritti collettivi è portata avanti anche attraverso la letteratura, l’arte, la musica. I capitoli del libro si configurano come tessere di un mosaico il cui soggetto è la realtà indigena brasiliana contemporanea. Come fosse un collante, a tenere insieme i tasselli è l’esperienza stessa dell’autrice, che è vissuta per diciotto anni nell’Amazzonia brasiliana, i primi quattro e mezzo dei quali insieme agli yanomami nella loro lussureggiante patria/foresta.    

Loretta Emiri (nata in Umbria nel 1947, attualmente vive nelle Marche) nel 1977 si è stabilita a Roraima, nell’Amazzonia brasiliana, dove, per diciotto anni, si è prodigata nella difesa dei diritti dei popoli indigeni. Quattro anni e mezzo li ha vissuti con gli indios yanomami, esperienza questa che l’ha segnata profondamente. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Tutta la sua produzione letteraria – con particolare attenzione alla prosa tanto alla narrativa che alla saggistica – è proiettata a quel mondo fascinoso e misterico dell’Amazzonia. Oltre ad aver pubblicato una serie di scritti sulle riviste «Sagarana», «Amazzonia – fratelli indios», «Sarapegbe», «La macchina sognante», «Fili d’aquilone», «Euterpe», «El Ghibli», «I giorni e le notti», in volume ha pubblicato la raccolta poetica Mulher entre trés culturas. Ítalo-brasileira ‘educada’ pelos yanomami (Donna fra tre culture – Italo-brasiliana ‘educata’ dagli yanomami) nel 1992 e il libro etnografico Yanomami para brasileiro ver (traducibile come Yanomami per essere visto dal brasiliano) nel 1994. In italiano ha scritto il romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne (CPI/RR, 2011) e i libri di racconti Amazzonia portatile (Manni, Lecce, 2003), Amazzone in tempo reale (Livi, Fermo, 2013), vincitore del Premio “Franz Kafka” nel 2013, A passo di tartaruga – Storie di una latinoamericana per scelta (Arcoiris, Salerno, 2016), Discriminati (Seri Editore, Macerata, 2018), oltre all’inedito Romanzo indigenista. Il suo forte e continuativo impegno nella lotta di denuncia per la conservazione del mondo indigeno da opere di deforestazione e di nuovo imperialismo ha sempre contraddistinto la sua voce e, nel maggio del 2018, è stata insignita del Premio alla Carriera in seno al Premio Nazionale “Novella Torregiani” – Letteratura e Arti Figurative indetto dall’Associazione Culturale Euterpe di Jesi (AN) per la difesa dei diritti dei popoli indigeni brasiliani.

Una delle attività senz’altro più importanti e arricchenti per la cultura tutta nella quale la Emiri si adoperò fu proprio l’attenta opera di studio e di decodifica, nelle regioni del  Catrimâni, Demini e Ajarani, del vocabolario di una delle lingue della popolazione yanomami che riuscì a raccogliere in maniera organica e dare alle stampe in una versione di dizionario dallo yãnomamè al portoghese, permettendo di comprendere i sistemi comunicativi e le forme espressive di una delle tantissime etnie autoctone della foresta amazzonica.

Mosaico indigeno è l’ultimo – in ordine di tempo – atto d’invito al coraggio di Loretta Emiri come ben è esplicitato nella chiusa della breve introduzione: «dedico questo libro a coloro che hanno perso la vita, o rischiano di perderla, per diffondere principi di verità e giustizia. Dedico questo libro a chi ha il coraggio di manifestare il proprio pensiero, unico, originale, non asservito ai mezzi di comunicazione di massa».

Il nuovo libro di Loretta Emiri, che si dispiega in venti tra articoli e saggi brevi su molteplici aspetti della vita sociale e della cultura indigena in Brasile, si apre e chiude in maniera circolare con l’esperienza dell’attivista Chico Mendes che – come l’autrice ricorda – se è vero che fu strenuamente impegnato per la battaglia ecologica, pure non va dimenticato il suo impegno nel mondo sindacale per il riconoscimento dei diritti degli lavoratori. Ce lo descrive come un «solido leader rurale, […] intrepido sindacalista, uno dei fondatori nazionali del PT – Partito dei Lavoratori» (12). Si introduce, così, grazie alla sua figura l’universo dimenticato e povero dei serigueiros, lavoratori all’interno dei seringais ovvero porzioni di foresta dove si concentrano alberi dai quali si estrae caucciù. La Emiri ci mette a conoscenza della forma di resistenza pacifica e di denuncia tipica di queste genti, nota come empate, il cui significato sta per “sospendere”, “far interrompere” e che riguarda principalmente quell’azione della comunità locale volta alla strenua opposizione nei confronti dell’abbattimento della foresta.

Tale azione antropica è sicuramente la principale – e quella maggiormente incisiva – sul tessuto sociale e di concordia collettiva delle comunità amazzoniche che si sono viste progressivamente espropriare beni, occupare territori per il disboscamento capillare di intere aree per finalità meramente economiche quali la costruzione di impianti di estrazione (certe zone, come ricorda Emiri, sono particolarmente ricche nel sottosuolo di oro)  e di importanti arterie stradali che hanno decretato non solo la riduzione di suolo della comunità indigene ma spesso anche la divisione dei territori, una demarcazione pericolosa, con conseguenti casi di incidenti stradali, nonché di inquinamento diffuso e di diffusione di malattie che hanno decimato le popolazioni locali. Il caso principale è quello della strada BR-290 che venne costruita in un’area che descrive il confine tra Cachoeira e Caçapara do Sul (Stato di Rio Grande do Sul) che ha prodotto un gran numero di investimenti tra gli indios.

Emiri – che ha vissuto a contatto con la realtà yanomami per vari anni – sostiene l’esigenza di uno «sfruttamento razionale a beneficio della popolazione locale» (12) vale a dire che non deve essere consentita – come il periodo imperialista ha fatto indecorosamente – una sottrazione di beni e ricchezze di quel territorio a beneficio di altri per mezzo della schiavizzazione degli stessi popoli autoctoni che li abitano. Si oppone in maniera netta un’economia di sussistenza basata sul soddisfacimento dei bisogni primari, in linea con il rispetto ecologico e di carattere interno (dove l’extrativismo, ossia la raccolta di prodotti della foresta, rappresenta la principale fonte di acquisizione di quel che si necessita) con un’economia forte, esterna, manipolatrice e invasiva che per mezzo del disboscamento, l’edificazione, la costruzione di impianti a grave impatto ambientale mira a un arricchimento veloce e sicuro a discapito di terra e comunità locale.

Alcuni numeri per comprendere il fenomeno si rivelano di grande utilità. Ricorriamo ad alcune informazioni che Loretta Emiri, nel corso della sua dotta e facilmente fruibile dissertazione, provvede a consegnare al lettore. In Brasile vi sono circa 305 etnie con 274 idiomi diversi. Nel 2010 un totale di 800.000 brasiliani si sono dichiarati indigeni. La Costituzione Federale del 1988 dedica un’intera sezione – il Capo VIII – alla questione delle popolazioni indigene (intitolata “Degli indios”) dove (centrali sono gli artt. 231-232 che la Emiri richiama), sulla carta, sembra vengano garantiti diritti inalienabili alla popolazione indigena che, invece, nella realtà dei fatti poco trovano applicazione. Vi figura, infatti, tra i compiti dello Stato, quello della demarcazione dei territori (al fine di preservare e tutelare determinate comunità nei loro rispettivi territori), aspetto che in molti casi è stato clamorosamente disatteso con indesiderabili esiti e rischi per le comunità che vengono ulteriormente fomentati.

C’è tutta una parte del volume che fa riferimento a quel sistema vasto e menzognero di considerazioni stereotipate, idee mendaci, preconcetti e pregiudizi che nel corso della storia sono stati creati – spesso ad hoc – per denigrare la popolazione indigena e dunque ritenerla inferiore, schiavizzarla, non rispettarne i diritti. Si pensi alle assurde idee di Napoleon Chagnon che sostenne che l’etnia yanomami è violenta per natura; ma non mancano, per quanto attiene alle varie etnie considerazioni imbarazzanti e spesso non realistiche. Si fa riferimento a uno dei mali che troppo spesso ha dominato la vita dell’uomo nei vari contesti geografici riassumibile nell’espressione di etnocentrismo. Studi e saggi di questo tipo – atti o volti a descrivere la preoccupante inciviltà, il primitivismo, l’arretratezza e addirittura la brutalità di certe etnie – non sono mancati, contribuendo ad ampliare il problema. 

Emiri mette in luce come l’alfabetizzazione e dunque l’approccio a una prima forma di istruzione sia stata condotta nelle lingue dei colonizzatori – nel caso specifico in portoghese – e questo non può che essere considerato un primo vero e proprio atto di sopruso. Il processo di alfabetizzazione è stato permesso in primis da una sorta di assimilazione della superiorità, da una sottomissione alla cultura del colonizzatore. Pure non vanno dimenticati i primi seri impegni – condotti non solo da religiosi – che hanno permesso la creazione di un movimento indigeno e indigenista volto a difendere la cultura indigena e contesto cercando di fomentare idee di uguaglianza e rispetto. Questo ha permesso di mettere fine a quel processo troppo a lungo condotto e con violenze indicibili che ha rappresentato lo schiavismo fisico ma anche culturale. 

Sono nati così testi utilissimi per leggere e capire quei determinati territori, i loro riti, le loro lingue: grammatiche, dizionari, libri di lettura, manuali, approfondimenti, testi etnografici e quant’altro (com’è il caso del Dizionario yãnomamè-portoghese compilato dalla Emiri costituito da 1664 lemmi). Tutto questo ha consentito una graduale sensibilizzazione sullo stato delle cose e ha permesso una narrazione e una cronaca puntuale effettuata con realismo, vale a dire non più velata da un’impostazione razziale ed etnocentrica, ma ha dato voce direttamente all’altra componente di quei territori, quella nativa, autoctona, indigena. Tesi di laurea e studi mirati, condotti con la raccolta di testimonianze sul campo e fondati su un metodo di indagine o lettura comparativa, hanno permesso di conoscere alcuni dei tanti mondi che per troppo tempo sono rimasti silenti (mentre nel frattempo molti altri sono morti, senza che nessuno ne abbia lasciato memoria scritta, come alcune lingue che giornalmente, a causa dei pochi parlanti, rischiano di esaurirsi per sempre) contribuendo a un arricchimento del patrimonio culturale materiale (reperti) e immateriale (testimonianze, lingue, riti, etc.) incommensurabile e di cui l’umanità tutta deve dirsi entusiasta. L’impegno della Emiri in tal senso è encomiabile: grazie all’interessamento di Ilaria Pulini, poi divenuta nel 2001 direttrice del Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena, quest’ultimo ha acquisito la Collezione Emiri di Cultura Materiale Yanomami che si compone di 177 pezzi e che è stata inaugurata – con esposizione di una parte del materiale – nel 2019.

Un excursus così attento e particolareggiato sulle condizioni delle popolazioni amazzoniche nel corso degli ultimi anni non avrebbe potuto dimenticare di trattare delle condizioni attuali delle popolazioni indigene a seguito dei gravi ed estesi incendi che nel 2019 hanno riguardato una fetta cospicua di zone dell’Amazzonia. La Emiri – non evitando esplicitamente di nominare il principale fautore di questa politica subdola di disboscamenti per edificare e sfruttare il territorio – non manca di mostrarsi indignata nei confronti di un comportamento abietto e incivile, indecoroso e antidemocratico verso le tante popolazioni indigene che non può non far pensare a un’opera di sottomissione e violenza nei loro riguardi che per tanti secoli ha dominato.

*Lorenzo Spurio, scrittore

Lorenzo Spurio