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L’albatro.

Uno struggente romanzo di Simona Lo Iacono ricostruisce luoghi, ambienti e ideali di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

L’albatro (Neri Pozza, 2019) di Simona Lo Iacono ricostruisce l’universo materiale e spirituale che fu del principe di Lampedusa e restituisce al lettore tutta la complessità e fascino dell’aristocrazia siciliana e di un personaggio ormai scomparsi. 

Anche se le citazioni testuali, esplicite o implicite, de Il Gattopardo s’infittiscono soltanto nelle pagine finali, sin dalla prima pagina del romanzo di Lo Iacono sono evidenti l’intento dell’Autrice di porre le due opere su una linea di continuità ideale e la sua reale capacità di restituire atmosfere e suggestioni proprie del capolavoro del principe di Lampedusa. L’albatro, infatti, si apre con l’immagine di Giuseppe Tomasi malato, consapevole della fine imminente, mentre osserva le acque placide del Tevere e pensa che «non avrebbe aspettato con ansia il responso delle case editrici», ma si sarebbe concentrato a scrivere le memorie della propria infanzia. Pagine parallele a quelle del Gattopardo, con don Fabrizio in poltrona mentre osserva il mare di Palermo e, consapevole della vita che gli sta sfuggendo, tenta il bilancio della propria esistenza.

Il romanzo, dunque, si sviluppa su due piani temporali, alternati, di capitolo in capitolo, e distinti anche per carattere tipografico: il presente, in corsivo, tra il 13 giugno e il 18 luglio del 1957, nel quale Tomasi di Lampedusa consuma la propria lucida agonia; il passato, in tondo, che rievoca i giorni felici dell’infanzia nella principesca dimora di Palermo e in quella non meno sfarzosa del feudo materno di Santa Margherita Belice, nella quale andava a villeggiare. 

Due piani temporali apparentemente distanti, ma, in realtà, intimamente connessi, sul piano concettuale e su quello più strettamente narrativo. Dal punto di vista concettuale li lega «l’idea che il destino di ogni adulto vada cercato nei suoi sogni di bambino». Il collante narrativo, invece, è dato dalla circostanza che la moglie Licy, «psicologa attentissima, allieva di Freud», per distrarlo dalla malattia, regala a Tomasi di Lampedusa un quaderno in pelle blu e lo invita a scrivere del suo tempo felice. Ed egli raccoglie l’invito della moglie, ma con una motivazione diversa, lucida e del tutto scevra da rimozioni: «Ho iniziato un racconto sulla mia infanzia, una stagione della vita talmente prossima all’infinito da somigliare alla morte». 

In particolare, per rappresentare i pensieri e le emozioni del piccolo Giuseppe, l’Autrice si serve di un personaggio d’invenzione: Antonno, un amico immaginario, che compare improvvisamente nella vita di Giuseppe e altrettanto improvvisamente sparisce, come accade a tutti i «silenziosi compagni d’infanzia dei bambini troppo soli».

Ne risulta una ricostruzione della dimensione psicologica del celeberrimo autore del Gattopardo condotta con lessico ricco e profondità d’analisi. Un lessico oggi desueto, ma proprio per questo capace di evocare il fascino di un mondo scomparso: l’acqua del Tevere che «glottolava, come in procinto di spezzarsi»; il padre che «tramestuliava nel panciotto»; lo «schincagliare dei piatti e dei vassoi»; don Onofrio che «runculiava» sulla degenerazione dei tempi moderni. Uno scandaglio dell’animo umano che si agglutina in frasi lapidarie, epigrammatiche, spesso poste a chiusura di capitolo, a suggellare una verità squarciata. 

Si stagliano così il ritratto del padre, uno degli ultimi principi di Salina che «aveva confidenza con i tempi, con la storia che non cambia mai i padroni, solo i servitori»; i ragionamenti capovolti di Antonno, apparentemente assurdi («La morte, di diceva, si apre col santo battesimo») ma, in realtà, capaci di penetrare «la verità che se ne stava addormentata dentro le cose»; la fedeltà di don Nofrio, l’amministratore scrupoloso che curava la principesca dimora «armeggiando come un conservatore inesausto non delle cose, ma dei ricordi. Non combatteva contro la distruzione della materia, ma contro la perdita della memoria».

*Raffaele Messina, docente, scrittore, critico letterario, saggista.

Raffaele Messina