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Esplorando gli aspetti costruttivi di una meta-biografia: da «Documento-Sud» a «Oltranza»

Tendenze di alcune riviste e poeti a Napoli 1958-1995 di Giorgio Moio

Nella partecipata lettura – assimilabile a un’esplorazione com’è logico che sia quando ci si immerga in un libro – s’abbrevia il segmento della riflessione che Giorgio Moio presenta con Da «Documento-Sud» a «Oltranza» – Tendenze di alcune riviste e poeti a Napoli 1958-1995. 

Un libro-installazione nel quale si concentra l’innovativa semantica culturale che, nell’arco di poco meno di quarant’anni, non cede ai fasti di uno spazio esistenziale gestito dal marketing delle idee. Da tempo abituati alla familiarità con la quale Moio investe la sua natura di poeta con una tendenza a saggiare il territorio culturale, non ci stupiamo che si debba proprio a lui il compendio fedele delle riviste sviluppatesi a Napoli e che hanno suggellato percorsi letterari e, in particolare, poetici. All’interno della tessitura analitico-narrativa, infatti, il lettore è accompagnato a esplorare l’avventuroso impegno dall’alba del decennio più versatile del Novecento (gli anni Sessanta) fino al decennio precedente l’attuale millennio, ovvero quegli anni Novanta dei quali non sfugge l’icona di un transito continuato e, per certi aspetti, disordinato. Propendiamo, dunque, a considerare l’intenzione di Moio come necessità di flettersi nell’universo delle riviste che hanno punteggiato il contesto letterario-artistico napoletano e non soltanto, a fronte di un impegno intellettual-sociale che declinasse a documento teso a superare e, altresì, sconvolgere i codici confortanti dei linguaggi consueti. Linguaggi che, come ci avverte J. Cohen, si ritrovano spesso ad essere sopraffatti da diretta percezione. 

La vita senza | l’imprevedibilità: / non ha mordente. 

E allora, cosa avviene nel mentre una collettività di poeti, artisti, operatori culturali, assorbe le tessiture di una civiltà intrapresa nel delirio del progresso, molto più afferibile a una parola simbolica piuttosto che a una parola agente e globale, per il tramite della quale il verso – nei termini di Mallarmé – va a ricostruire numerosi vocaboli. Opera d’arte di strada, i passi direzionati si bloccano in un lettering asfissiato da un guardare senza confronto e piegano in veduta panoramica strisciante, declinando in scalfitture disturbanti che ne intristiscono l’impronta. Di fatto, l’opera che Moio ci offre rivela le tessiture plurilinguistiche che si svolgono in una città, Napoli, molto legata agli atteggiamenti e agli accadimenti locali: la presentazione della nascente pop-art, il lettrismo, la poesia spagnola d’avanguardia, etc., la dicono lunga sulla costante apertura plurima a situazioni nazionali e internazionali, anticipando quello che poi avverrà in tutta la penisola.  Le parole sono simboli, è vero, ma vero è pure che la traccia scritta resti indelebile per via di un passaggio che, malgrado qualsiasi teorizzazione fumosa, è comunque avvenuto e la parola disegna nuovi scenari; le meditazioni potenziano nuove meditazioni, conquistando ambienti insospettabili in precedenza, un po’ per accumulo, un po’ per sottrazione. E quante ennesime meditazioni sovvengono nella lettura del volume, alveo tanto di prosa descrittiva che degli anditi della parola-verso permanente. Moio conosce intimamente quella realtà e non in senso ortografico, ontogenico, quanto attraverso un’epistemica abilità che non esaurisce né il tratto critico, né quello immaginativo, sicché dell’impresa artistico-poietica riceviamo un’immagine che è moltiplicativo capoverso a innumerevoli inizi pulsanti che rammentano da vicino l’esserci heideggeriano, ovverosia, a scanso di equivoci, quanto di più distante sia da una misurazione vettorializzata in un tempo non consumato. 

Come non ritenere che si tratti di una vera e propria letteratura dell’esserci, dunque. In tal senso, il libro di Moio ci appare struttura da leggere come ci piace e ci piace perché ha il sentore della ricerca; 

implica approfondimento e un’anti-collocazione non già disposta a essere stemperata nel clima di una risolubilità fagocitante e apprettata nel rigore di quello che non nascondiamo declinare a moda. Se un libro non colpisce alla testa, non ha valore. L’affermazione kafkiana è la dominante nel complesso e articolato volume: uno scenario vasto che, per il tramite integrale dei suoi contrasti, vitalizza altresì gli scenari intellettual-poietici e dai quali il versante delle arti si anima, sicché la parola, distanziandosi da qualsiasi ritenzione polemica, si offre come un rappel e contrasta la macchinosità del disordine che pure investe il mondo della cultura. Non sono pochi a partecipare: ai poeti e alle loro attitudini verbali, agli attivisti culturali (numerosi e di valore per fermarmi a nominarne solo alcuni), si affiancano numerosi artisti. Tutti accomunati dall’adozione di un lessico plurivocale lontano dalla predestinazione che collassa nell’immobilità della nettezza figurale.

Le forze nuove dell’avanguardia napoletana si dissociano professando a voce alta una vena provocatoria e trasgressiva in nome di una cultura altra.

Insomma, una condivisione che, estendendosi fino alla metà degli anni Novanta (decennio che chiude la scientificità scritturale di Moio), conquista un’attitudine di mero stampo internazionale, andando così a scalfire le disturbanti spartizioni che vedono l’al di là della fioritura culturale da un al di qua vezzoso e inconcludente. Evidente che Napoli registri in quegli anni il ribollimento che, malgrado non goda dell’ingaggio scenico plateale (nazional-popolare, per usare un termine in rigoroso utilizzo negli anni Ottanta) porta all’aggregazione sul fronte intellettual-poietico una vasta presenza di spiriti liberi e tutt’altro che fagocitati dalla macchina dell’apparire, capace di mietere la lusinga dell’io a scapito della qualità nella lungimiranza. Viene spontaneo, a questo punto, affermare che la strada intrapresa nei quattordici capitoli che segnano gli entr’act del libro (e che puntano a veicolare la pluriverbalità che si svolge con il medium dei periodici napoletani – da Documento-Sud a Linea Sud, e poi Uomini e Idee, Continuum, Altri Termini, Colibri, fino ai più recenti ES., Campi Flegrei, Terra del Fuoco, Prospettive Culturali ‒), fertilizzi un’inattesa variabilità equazionale, quanto lungimirante. Trascendendo, quindi, qualsiasi settorializzazione dei saperi, il merito di quelle riviste sta nell’aver promosso spazi in costante e mutuante movimento, così come una traiettoria segnata dalla mobilitazione di menti esigibili nel compensare un metodo totalmente designato ad essere molecolare e non già furtivo, né atomistico e né, tantomeno, direzionato sulle mutabilità del nuovo soggetto urbanizzato. Appare chiaro che la poesia emerga come luogo in cui si attiva la complessità. Se la strada si proietta a termine, l’arte intelligente pre-saggia l’imponderabile. Quale, a questo punto, l’intento di Giorgio Moio, il quale, anch’egli poeta, ricompatta un enciclopedico compendio di riflessione; estende in simultaneità l’acutezza nel suscitare pensieri da parole a loro volta pensate e che – suscettibili di un procedimento frattalico – si impegnano come pensanti e non come riflettenti, a meno che non si tratti di un suggello per rinvigorire l’arte del saper (disporsi a) pensare (Si può essere poeta in tutti i campi: basta essere avventurosi e andare alla scoperta – asserisce Apollinaire ). 

Indimenticabili luoghi in cui la vicenda cultural-intellettuale ha visto evolversi sono trattenuti nell’oggi negli spazi reconditi della memoria. Di quei luoghi – che tali sono per la vivacità intenzionale che ne ha smosso i nuclei semantici ‒ la tessitura scritturale di Moio ricompatta non già un’infermità di ombre, né tracciati consunti di tempi memorizzati come esclusiva dedizione al sapere. Se così risultasse, viepiù nostalgica e vetusta sarebbe quella rotta. Al contrario, tutta la realtà culturale emerge da quello che si propone come vero e proprio studio di situazioni. Ci troviamo, pertanto, al cospetto di un’opera che fa da sfondo all’articolazione di un sapere dilatato oltre la cortina di una condivisa realtà esistente nella percezione lineare e ciò mi permette di affermare, in tutta serenità, che chiunque sia ispirato da una consapevole curiosità che non vanifica lo sforzo di essere e dunque di esserci, possa intraprendere, anche solo per la prima volta, un viaggio sperimentale attraverso una pluriforme poetica quale avvistamento e ricerca di tutte, qualora possibile, le opportunità di immergersi nella conoscenza senza soffrire d’alcun sconvolgimento che conduca alla noiosa abitudine di trovarsi in una via di mezzo o, peggio ancora, sul confine perimetrale, uguali nel sempre. Così, dunque, all’individuo di presunta interlocuzione è richiesto di esplorare quel territorio che si espande oltre le pagine; un territorio che prima di tutto forgia non solo un’aperta critica all’epigonismo, alla solforosa macchina straripante di una permissiva anarchia per contagio (E la maggior parte degli uomini si traveste ), ma propone qualcosa di nuovo e strutturato. In questo ravviso il capitolo lungo di un’opera di meditazione e di trasferimento verbale, in grado di vitalizzare la testimonianza documentale degli aspetti costruttivi di una meta-biografia. E infine, come non intravedere la fitta rete di sollecitazioni a divulgare quella che, nell’insieme, è una fluida e allungata generatività meditante che, a dispetto delle risalite e delle chiusure (spesso dovute a meri interessi di mercato) conferma l’interesse estensivo per le abilità pensativo-critiche senza alcun pericolo di scadere in retorica ascosa e inaridita, nonché fortemente dissuasiva e concentrata su se stessa.

• Note.  G. Moio, Cento Ahi-ku extravaganti, Youcanprint Self-Publishing, Tricase (Le), 2016, p. 13

  G. Moio, Da «Documento-Sud» a «Oltranza» – Tendenze di alcune riviste e poeti a Napoli 1958-1995, Oèdipus edizioni, Salerno/Milano, 2019, p. 23

Ibi, Cap. 3 <<Continuum>>, tra avanguardia e “disoccupazione mentale”, p. 51

  Ibi, Cap. 1 <<Documento-Sud>> e <<Linea Sud>>: un nuovo modo di fare cultura, p. 7

  Cfr. G. Apollinaire, L’esprit Nouveau et les poètes (1918) in «Il cinema di Guillaume Apollinaire» di C. Aurouet, Gremese Ed., Roma, 2018, p. 7

  G. Apollinaire, I cubisti – Meditazioni estetiche (1912), S, Milano, 1996 – 2015, p. 59

*Carmen De Stasio, docente, scrittore, saggista, critico artistico-letterario-cinematografico.

Carmen De Stasio