Poesia dell’assenza
Quando le assenze si fanno presenza
Si avvicina il Natale ed è tempo di emozioni e di bilanci. È tempo di riflettere sullo sfavillio di questi giorni, sui cambiamenti avvenuti nelle nostre vite, sulle presenze e assenze di cui si riempiono le nostre case in questo particolare momento dell’anno. Sono questi infatti i giorni delle emozioni più pure e dei dolori più grandi, in cui le assenze e le presenze si avvertono di più, in cui i vuoti si fanno sentire, solitudini e sensazioni si amplificano e si rivelano con tutta la loro intensità. A parlarci in maniera poetica dei vuoti e presenze in questi giorni magici che precedono il Natale è il volume Poesia dell’assenza (Il Convivio, 2023, p.120, €12,50, con prefazione di Giuseppe Manitta), in cui l’autrice Laura D’Angelo affronta con un linguaggio limpido e cristallino il delicato tema dell’assenza, quale mancanza dolorosa e tragica percezione di un tempo sospeso o scomparso, con versi che ben richiamano le emozioni di questi giorni prenatalizi: «i giorni della festa/ stringono attorno/ ad un tavolo/ i posti vuoti» o la realtà contemporanea, sempre più soggetta ad una solitudine esistenziale in cui l’identità è messa da parte a vantaggio di valori consumistici e precari che allontanano l’io dalla propria autenticità: «il tempo che scorre senza dirci l’attimo/ in cui ci siamo, in cui c’è tutto,/ e ci perdiamo in discorsi vuoti/ per un uso disattento dell’amore». Un libro che parla di assenza, dunque, ma che è in realtà un dono accorato alla presenza, a quella effettiva e quella del cuore, un libro dunque pieno di tutto, se così possiamo dire, pieno di miti, passi, ritorni, pieno delle onde del mare, delle stagioni, quasi ad imprimere ai versi un movimento che amplifica il senso di precarietà umana e allo stesso tempo di immutabilità di sentimenti; un libro in cui l’amore, «l’energia primordiale dell’eros», secondo la felice definizione di Franco Manzoni, diventa la risposta centrale e l’orizzonte ontologico che autentifica la presenza, annullando la mancanza: «Sono tornati i miti antichi,/ rivivono, ancora, per amore».
Natale di sottobosco
Mi hai chiesto una poesia
per il dolore, ma io
purtroppo, non ce l’ho.
Non ce l’ho a Natale,
quando i negozi sono pieni
e le vetrine colmano vuoti
che non so lenire,
non la conosco quando
vorrei specchiarmi ancora
bambina nella carta dei giochi,
con le luci intorno e la magia
dell’affetto,
e invece mi trovo una ruga giovane
e uno sguardo nuovo, diverso.
Non la conosco,
tra i profumi di sottobosco e di cannella,
tra i baci e il muschio
della gioia,
e forse i canti e il tepore
di dicembre
non cullano più il sonno
di chi non ha più sogni
da riempire,
giorni da colmare.
Eppure se il dolore fa male
credo che il Natale
possa nascere lì dove
qualcuno ancora lotta,
qualcuno ancora sa sperare,
forse in una corsia di ospedale,
o forse sotto una coperta
di rassegnazione,
sotto le bombe di una guerra
inutile, attorno al tavolo
della solitudine e del disamore,
o forse sotto la coltre spessa
del silenzio, della disattenzione,
perché la cura è sempre lo sguardo,
il segno del riconoscimento,
l’umana comprensione,
perché la bambina che ero
sa ancora che se c’è
l’amore, ogni giorno è
ancora Natale.
Natale
Una foglia, forse l’ultima,
sul ramo più alto, dorato,
alla luce di un lampione.
Soffia un vento, che avvolge
il paese nella fredda morsa
della sera. Un vecchio s’attarda
silenzioso al vento esposto,
fa fatica e avanza a stento,
con il peso degli anni passati,
con lo scadere di quelli che restano.
Il freddo delle strade mi dice
il calore di un nido. È bello riposare,
lì dove la foglia mi racconta
del tempo che passa,
e mi dice il conforto di un riparo,
il tepore di un abbraccio, di un ricordo.
Mai nell’infanzia avremmo dimenticato
cosa significa quella luce che
sa di buono e di calda tenerezza.
Le mani che impastano la farina,
che accarezzano le mie guance,
tessono sogni giovani e preghiere,
e sono come quella sabbia che afferrano
i bambini nelle mani dell’estate,
lo zucchero a velo sui giorni
degli auguri e dei panettoni.
Questa luce che resta
è il calore del cuore.
E non lo sapevo,
questo è amare, questo è amore.
Dicembre (Vigilia)
Sono capriole
sbuffi di fumo
tra i tetti
le solitudini che non
ci appartengono
nel rito della cena
mentre imbruna
il pane e il fuoco
l’aria è una lama
di freddo che si taglia,
tanto che mi sembra
doloroso il respiro
che lascia sul vetro
un alone,
sbiadisce vuoto
nelle strade sfuocate
delle luci e degli addobbi
di bianco e purezza
e rosso e sfavillio
di argento e oro
finisce un altro anno
nel tepore che cerca
un abbraccio
e la presenza
mi lascia la mancanza,
un posto vuoto,
un piatto freddo,
senza più voci
e rumori
– gioiose vanità –
e bicchieri e nomi
e poesie da leggere
sui biglietti d’auguri
quasi a sussurrare
– è freddo fuori –.
Si frantuma
di dolore
un regalo da scartare,
ancora è un pacchetto
mai aperto, invecchiato
forse sotto la carta
lucida in bella confezione,
resta la tristezza
della dimenticanza
la muta soggezione.
Dicembre si trascina
per le strade, illumina
a sfavillio
l’abbandono
i vuoti che non
hanno più mani né sillabe
o parole
vorrei dirvi che vi voglio bene
bambini noi
di ieri e voi tutti
qui riuniti in lontananza,
posti vuoti
a cui dedico
l’amore.
*Laura D’Angelo, scrittrice e poetessa