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La poetica di Lorenzo Spurio tra impegno civile ed esistenzialismo, tra (ir)realtà e visioni-apparizioni-epifanie-immagini nell’opera Pareidolia (The Writer Edizioni, 2018)

Se apriamo un dizionario e vogliamo scoprire cosa significa la non comune parola pareidolia, leggiamo che essa è la tendenza istintiva e automatica del cervello a trovare strutture ordinate e forme familiari in immagini disordinate; l’associazione si manifesta in special modo verso le figure e i volti umani. Pertanto, riusciamo a vedere, in alcune creazioni della natura (una roccia, un fiume, una nuvola, ecc.) un volto, una testa (anche di animale), un cuore e quant’altro. Inoltre, un fenomeno simile alla pareidolia si ha anche per le percezioni uditive, quando si crede di sentire suoni, parole o frasi significative in rumori casuali. Tutta questa fisicità è, pertanto, ben collegata alle nostre sensazioni, alla nostra sensibilità, alle nostre emozioni, al nostro mondo interiore e, insomma, alla nostra particolare capacità e al nostro particolare modo di percepire, di vedere e di sentire la (ir-)realtà che ci circonda.

E chi più del poeta possiede questa particolare capacità? Il poeta che, con Baudelaire, vedeva la realtà come una foresta di simboli in cui solo il poeta riesce a districarsi e a trovare le corrispondenze; il poeta che, con Rimbaud, si dichiarava veggente e, quindi, capace di vedere una realtà altra, aldilà delle apparenze, e un oltre grazie al terzo occhio della poesia, dell’arte e di un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi; il poeta, infine, che, con T. S. Eliot, annunciava nel ‘900 la poetica del correlativo oggettivo (o degli oggetti che, in Italia, è stata ripresa e rielaborata da Montale) per cui il poeta – grazie a questa tecnica –  trasferisce sensazioni, emozioni, stati d’animo, ecc. in oggetti, animali, situazioni, occasioni, ecc. Ebbene, possiamo dire, e crediamo di non sbagliare, che Lorenzo Spurio, con la silloge Pareidolia (ma anche con le altre) sembra farsi erede di tutte queste poetiche, di raccogliere la lezione dei grandi maestri dell’800 e del ‘900 per proporre, alla fine, una propria originale poetica con un proprio autentico stile in cui la realtà appare come irreale e l’irreale, la visione, l’immagine, l’epifanico, il pareidoliaco (anche quello sinestetico) come la vera realtà.

La silloge – edita da The Writer Edizioni, 2018 – è suddivisa in quattro parti: la prima si intitola Affossamenti, la seconda Ecchimosi, la terza Dedicatio e la quarta e ultima Pareidolia, che dà il titolo a tutta la raccolta. Nella prima parte (Affossamenti) emerge subito il forte impegno civile di Spurio nel raccontare in versi la nostra irrealtà quotidiana (direbbe Ottiero Ottieri). In Ventuno di nero (lirica, spiega il Nostro, ispirata all’esecuzione sommaria di ventuno egiziani copti da parte dell’Isis, avvenuta in Libia nel febbraio 2015) si legge di cose che, dopo quasi diecimila anni di civiltà, non si dovrebbero mai più leggere: Un boia ciascuno, / lame affilate e denti digrignati, / smorfie vane nei proclami d’acciaio: / in ventuno alla battigia genuflessi. / Con un mare ondoso, / non di tormento ma d’inganno / e le frontiere non c’erano più; / l’acqua che bagna le coste / le onde che sciamano lente, / il sangue che sfuma e si scioglie, l’essenza vitale che si annulla / in una lotta dove vince / l’efferatezza peggiore. Il risentimento ormai è dato ai pochi / e ci si annulla in molecole d’acqua / in un Mediterraneo / conca di morti / acquitrino di angosce / culla di dolore abissale. / Oggi il mare si è tinto di rosso / ed emana un olezzo / di croci infuocate e sabbia straziata. Orrore, crudeltà, spietatezza, sangue, morte e un mare, il Mediterraneo, che sembra essere diventato un bacino di raccolta di cadaveri, quelli dei morti ammazzati e dei migranti che, sperando di giungere nella Terra Promessa, fanno, invece, naufragio con i loro barconi e, pertanto, succede che: Nella traversata il / legno s’incrinò / come le coscienze putride di / chi parla e tace (Ora qui, ora là). E in Sacchi neri (Carme lento) l’orrore, il disgusto e il risentimento dell’io poetico narrante per le vite ingiustamente fagocitate dalle acque assassine del Mediterraneo (insieme alla denuncia della regnante ipocrisia della “civiltà” occidentale) si fa sempre più forte fino ad invocare una sorte di dolorosa punizione divina su quanti (i Potenti della Terra) sono responsabili di tanti morti e di tanto sangue innocente:… Sotto il sole che regna imperituro / sadicamente invoco dolori contro i colpevoli… 

Nella poesia La zattera l’io poetico, preso dalla visione-immagine del mare, delle acque che appaiono avere quasi sempre una valenza metaforica negativa, come qualcosa che fagocita e ingoia, torna come al passato, alla memoria, all’immaginazione e al suo sentirsi come un novello Ulisse dantesco, pronto a costruire le sue zattere con i pochi mezzi a disposizione e a mettersi in alto mare aperto (direbbe Dante) per scoprire mondi sconosciuti:Costruivo zattere con legni scheggiati /  nelle notti assolate di Dicembre. / Avrei solcato fiumi e mari, / spingendomi oltre / in territori mai svelati da nessuno. Subito dopo, però, c’è come un improvviso ritorno alla realtà: In quei pensieri affondavo / e lo scricchiolante legno si spezzava, / dopo insicuri movimenti / su un mare oleoso. Si spezzava e affondava proprio come i barconi dei disperati migranti nel Mediterraneo…

Nella seconda sezione della silloge (Ecchimosi) troviamo ancora e già nella lirica di apertura (Colloquio) la terribile presenza della morte: adesso è la mitologica Atropo (una delle tre Moire o Parche) che si diverte a recidere i fili di tante vite, con spietatezza ma anche con tanta stanchezza, visto che ha lavorato tanto con la sua bella forbice: Poco più in là, Atropo / scorciava fili senza pietà / e stanca / si reggeva a un fuso / impolverato. 

Questo lezzo di morte in un mondo in cui a regnare e a prevalere sembra essere la morte invece della vita e della gioia di vivere, lo rintracciamo anche in Primavera a Prypiat. Il canto delle betulle, poesia dedicata alla tragedia di Chernobyl, cioè del disastro del 1986 nella centrale nucleare, che tante conseguenze nefaste, di breve e lungo periodo, ebbe per il mondo intero. Intanto, ne Le tamerici danzano, l’io poetico narrante lamenta le speranze mietute e nella brezza che so che c’è non gli resta che prendere atto che: Il mistero forse soggiace / nel dire dei lampioni fissi, che stanno certo meglio di noi, avvolti come sono, nella loro divina indifferenza (direbbe il Montale di Spesso il male di vivere). E tra la (ir-)realtà che ci circonda e la nostra condizione esistenziale, la narrazione prosegue con Quel lenzuolo di polvere, componimento dedicato “Ai terremotati del Centro Italia”, nel quale si leggono alcune parole importanti ed emblematiche che fanno ben emergere la particolare poetica visionaria, epifanica, pareidolitica del Nostro, poetica affine alla poetica degli oggetti, del correlativo oggettivo, che stiamo cercando di delineare (le sottolineiamo col neretto): Non so se è il tempo della resa / o della dannazione senza remissione. / Non so se dalle porte scardinate / e dalle brune finestre strappate / le anime siano già fuggite / o se ancora dimoranonella pietra./ … Dov’è il sangue dei morti? / La Terra l’ha risucchiato a sé / nei vaghi involti dei suoi intestini. / Solo statue di gessocon occhi / che corrono verso ceppi di ricordi / di quando ieri si respirava ancora. /… Mai si può credere di poter ritrovare / i cumuli di sensazioninelle nebulose / ora che dagli attimi dilaniati / si è alzata una fitta polvere. 

Anche nella lirica Parestesia della terra (scritta per il terremoto di Visso, dell’ottobre del 2016) troviamo parole altamente metaforiche e simboliche: E tu ti chiedi perché /accade ciò che non ha forma: / se l’invisibile non c’è / allora non ha mani né unghie / per afferrare e tramortire. Un / mostro iroso che ha fame / senza volto, né occhi, / scia di vento che taglia. / E tu ti chiedi perché / anche oggi (si) deve fluttuare / in un singulto di onde / tra pezzi di giorno e ore finite. / Reduci di colloqui coll’aldilà  / abbiam perso i nostri malli, / in balia di temperature austere / inerti, imploriamo la tregua. / E tu ti chiedi perché / qui è un camposanto di crepe / e l’asfalto ondula improvviso…/ come una coperta sfilata / di colpo lasciandoci nudi…/ E tu ti chiedi perché / pure il vegliardo pomo / oggi ha provato dolore / quando quel senso di vuoto / ha mischiato le sue radici. / Un santo dal braccio mozzo /dietro una coltre di polvere / mi parla, ma non afferro. E, alla fine, come non vedere che quella parestesia della terra appare come una metafora della parestesia di noi poveri umani e mortali, sempre più caduchi e traballanti, oscillanti, pieni di crepe e, insomma,  probabili macerie-relitti nel mare impetuoso, pericoloso della vita che è pronto a gettarci lungo la battigia come qualcosa che non vale nulla?

Nella poesia Sezione 98 del cimitero Behesht-e Zahra, ritorna l’impegno civile, la protesta e la condanna del poeta del regime iraniano che, nel 2014, fece impiccare Reyhaneh Jabarri, una giovane e coraggiosa donna che si ribellò alla violenza sessuale di un suo connazionale uccidendolo: Una condanna alla pena / d’esser donna nel mondo, / regimi di paura e canaglie / ideologiche per una difesa / all’onore. Subito dopo si può leggere Quaderni rossi, dedicata alla strage avvenuta in una scuola militare di Peshawar (Pakistan), nel dicembre del 2014, che aveva provocato la morte di 140 persone, molti dei quali bambini e adolescenti.

In Di scisse emozioni (lettera a Orbàn) ritorna il tema, caro al poeta, della sofferenza e dell’assassinio dei migranti che vengono respinti e lasciati morire nei mari pur di non accoglierli e, questo, per razzismo, xenofobia e difesa dell’egoismo nazionale. E così leggiamo la durissima contestazione e protesta dell’io poetico narrante, sempre più disgustato da tanta mancanza di pietà per il nostro simile (non mancano, anche qui, alcuni enjambement di cui, il Nostro, sa fare sempre accorto e sapiente uso). Ma l’urlo disperato del poeta continua, poi, contro le persecuzioni e le torture che un Potere crudele e sanguinario riesce a infliggere a chi non si conformizza, contesta, non si piega e grida la propria libertà. Trittico del fuoco. Lamento per le donne yazide è dedicato a 19 donne curde che, nel 2016, vennero imprigionate e chiuse dentro gabbie metalliche e poi arse vive da un gruppo di estremisti islamici a Mosul (Iraq). La loro colpa: non aver ceduto alle richieste sessuali di questi criminali. 

Subito dopo, in Stelle nere (Stragi di Bruxelles) la protesta continua e si legge che: Per un dio sultano / si è fatto il buio / strappando con lame / la luce ordinaria. / Si può credere di vivere / mentre si urla… e, più avanti, in Humus negato dedicata  Ai siriani bombardati: Io dico che s’illude / di campare chi grida / e trafora le sue carni. / S’innerva lo sciame / di una pioggia d’acciaio / che inchioda le sfitte / macerie,  humus negato. Come dire che per questa povera gente bombardata non c’è altro humus, altra terra, come loro tomba, se non le macerie… 

Nella terza sezione, intitolata Dedicatio, troviamo liriche dedicate, appunto, ad autori cari al Nostro, quelli ai quali vuole rendere omaggio. Noi citiamo le più importanti. Due sono per Antonia Pozzi, la poetessa milanese che si tolse la vita a soli 26 anni, forse perché quella che viveva non la soddisfaceva e avrebbe voluto cambiarla: Ausculti il tempo che precede. Allafine, con tanta amarezza e dolore per una vita spezzata nel fiore della giovinezza, così conclude Spurio: Se parli di te, confessi il lutto di / giornate abiurate alla gioia. / Il nulla odora di grigio / ma illumina aneliti di fuga / quando, severa, compi / la scelta della terra.Il titolo della seconda poesia per l’amata Pozzi  è La nutria non sa. Nella bellezza di tutti i versi, questi restano davvero impressi: Nelle intemperie di ore / lance di vergogne represse / all’enigma pensi – sofferta – / le sembianze del tuo io.

Seguono, poi, un omaggio al grande Federico García Lorca, a 79 anni dalla morte per fucilazione da parte dei franchisti (Nella magnolia), e una lirica in omaggio allo scrittore brasiliano (scomparso pure nel 2014) Julio Monteiro Martins, nel giorno del suo ultimo volo.Titolo:Cactus e carioca; quindi ad Amelia Rosselli (Hai dominato l’aria) e ad Alda Merini (Numeri e sigle). Anche qui l’omaggio vuole come scolpire per sempre le caratteristiche umane e poetiche di una donna che tanto ha sofferto ma che tanto ha saputo creare con il verso, con la parola poetica. Infine, una lirica è dedicata alla memoria di Rosario Livatino  Non è stella lucente (Al giudice ragazzino) – il coraggioso magistrato siciliano che, in un’Italia di politici corrotti e di giustizia malata, aveva pensato di poter combattere il cancro della Mafia, della corruzione e del malaffare ma venne assassinato, in un agguato mafioso, il 21 settembre del 1990. 

La quarta e ultima sezione, che dà il titolo alla silloge, è intitolata, appunto, Pareidolia. Per far capire al lettore il senso della sua poetica, Spurio fa precedere le liriche da due potenti frasi. La prima è tratta dal Vangelo di Giovanni (21, 4):  Essendosi già fatto giorno, Gesù si presentò sulla riva; ma i discepoli non conobbero che era lui;la seconda da Fedro: Non sempre le cose sono come sembrano, il loro primo aspetto inganna molti: di rado la mente scopre che cosa è nascosto nel loro intimo. Come dire che le cose della vita ci appaiono ma non sempre riusciamo a vederle per quelle sono, non sempre riusciamo a coglierle nella loro reale immagine e consistenza. Non solo, ma come avverte Fedro, non sempre la nostra mente riesce a scoprire cosa veramente le cose celano, nascondono nella loro essenza, nella loro misteriosa intimità. L’occhio fotografa ma la mente può errare, può farsi depistare. Ed è qui che interviene il poeta che, grazie al suo terzo occhio, che proprio l’arte, la poesia, la sensibilità poetica gli consentono di possedere, riesce a far luce dove per gli altri è solo buio. Circonvoluzioni che non vedi è il titolo della seconda emblematica poesia della sezione, fatta precedere da alcuni versi dell’amato Eliot tratti da La terra desolata: E l’albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo, l’arida pietra nessun suono d’acque. La terza lirica – un vero e proprio manifesto e una vera e propria dichiarazione di poetica – porta il titolo della silloge: Pareidolia, ed è anch’essa preceduta da versi dell’amatissimo Federico G. Lorca (da Poeta en Nueva York): Mentre la sera divenne torbida di palpiti e boscaioli. Scrive Spurio con grande maestria di poeta visionario e, appunto, pareidoliaco: Se la notte s’avvera / io non so il suono pesante / e i tralicci di angoscia verde / che recide di netto / quando siede sul trono del buio. / Io cercavo di afferrare / una forma, creare una geometria / con angoli flosci e rette svanite / ma il bonario abete che danza, / ora veleggia in un mare afflitto. / Riconosco quel che uno / immagina del già esperito / ma annullo me stesso e / sbraito negli attimi ineguali. / La cavalletta che vedo ben salda / senza fine appare e scompare dove s’àncora quando so / che pure esiste e non c’è? / Le stelle son compagne di falene, / meduse telluriche e barbe di allori / nella notte che annuncia se stessa / e riscopre il bivio di ieri. Insomma, tutto si manifesta, tutto ci appare, sembra avere un senso, una forma e una consistenza ma, poi, tutto sembra essere misteriosamente diverso… E sorgono spontanee le domande e i dubbi.

Pure molto emblematica di una particolare poetica è la poesia Sembianze del poeta, in cui viene tracciato il profilo del poeta moderno e post-moderno, il suo diverso modo di fare e di pensare la poesia e il proprio mestiere di poeta: Il poeta è un incauto inclemente / perché spazia tra scaglie di vita / e lunghe autostrade pericolose / inzuppato da velleità arrugginite dalle ore. / In lui domina un senso non consapevole / che squarcia con lame inarrestabili / malli di creazione e magmi interiori. / Non dice, ma sa / non pensa, ma costruisce. / Solidifica il vacuo / e materializza l’aeriforme / in caleidoscopiche esplorazioni di vita. / Ha smesso di far rimar cuore con amore / e deturpato il verso fisso / stridendo rime e rompendo schemi di cemento

Anche la poesia che segue (Davanti a un frigo) sembra continuare sulla scia della precedente mentre, più avanti, nella lirica Nudità capillare, colpiscono questi emblematici versi di una visione dolorosa della vita, nella quale sembra prevalere sempre di più l’assurdo, l’irreale e il surreale, mentre la ragione fa fatica ad imporsi e, in verità, è sempre più debole: Nel teatro dell’assurdo / si gioca e si vive / quando corri dietro al niente / in cerca della ragione.E pure nella poesia Duloxetina (che è il principio attivo di un antidepressivo) l’io poetico narrante si lamenta e si sfoga su una vita, su un’esistenza intossicata più dal dolore e dalla fatica di vivere che da qualche psicofarmaco: il lamento su di una vita che non è nostra, vissuta da sveviano inetto alla vita, visto che cerchiamo di imitare quella degli altri, che ci appare ben diversa dalla nostra. E, così, leggiamo subito questi simbolici e, oserei dire, quasi ermetici versi, proprio secondo il modo di fare poesia del Nostro: C’erano pure i sassi / ad ancorare alla terra, / poche ore e la Pasqua / avrebbe esordito. / Camminando su bave di cifre, / aliti di pensieri ossessivi: / mimavi le altrui vite / e la tua perdeva vigore. / Le increspature delle mani / non sempre restituiscono / il carico dei giorni trascorsi; / io vagavo nel possibile ritorno / credendo che la forzatura / del vocabolo fosse / un artificio d’ardesia. / Ecco che le spore / di un vissuto tossico / rincorrono il salubre motivo / per vendicare fogge / di un antro insostenibile

Il motivo intimistico ed esistenziale di questa ultima sezione della raccolta prosegue nella lirica Vortica-mente – stanza 1 e, infatti, l’io poetico sfoga la propria angoscia esistenziale, i propri pezzi d’angoscia. Nella nostra povera mente che appare come una groviera con i suoi buchi, ovvero con i suoi vuoti, con le sue insufficienze, le parole finiscono per torcersi e magari anche contorcersi e, quindi, vanificarsi sulla pagina che aspettava di essere riempita e, del resto, c’è anche il refill ormai consumato, quasi emblema della fatica di scrivere, di fare versi su una vita, un’esistenza che duole e si trascina.

La lirica Tu cresci troppo è dedicata a un fico settembrino, nel terzo anno d’età. Qui l’io poetico sembra voler parlare di se stesso attraverso l’immagine di un fico, quasi come a voler istituire una sorta di paragone tra lui e la pianta, ed è quest’ultima che appare trionfante rispetto al corso della vita degli uomini che l’io narrante simboleggia. Subito dopo si legge Verso il mare: la simbologia qui appare essere tra il correre di noi uomini, nel tempo, verso la vita e la possibile felicità e il correre del fiume verso il mare per perdersi e morire in un istante: ed è in un istante che noi e la nostra possibile felicità possono perdersi e morire.

Corri e scolorisci la notte è la poesia che chiude la silloge e i versi non potevano essere più belli: Dell’anima che si piega e / si siede non vista, ti parlo. / Non chiedere il senso: / la sera s’è incenerita, / la stanza vive storie, / vorticano le onde / e i petali intirizziti nell’angolo / stillano gocce di mistero /… La lotta si consuma tra l’erba e / il sospiro che brilla e riparla. / Slega il buio all’istante: corri e / ruba le forme più belle, ad esse / congiungi le idee che s’alzano, / corri: ora sei quello che vuoi. Della nostra stanca anima, che si ripiega come su se stessa e trova la sua pace riposando su una invisibile sedia, lei stessa invisibile…: è di lei che lo stanco, sofferente ma mai indomito io poetico narrante vuol parlare al lettore, avvertendo, però, di non chiedere il senso di tutto questo. La sera è terminata, s’è fatto buio, la stanza è piena di storie, le onde del mare s’innalzano vorticose, mentre i gelidi petali sembrano mandare i loro misteriosi messaggi…Tutto appare racchiudersi e consumarsi nella lotta tra l’erba (simbolo di vita e di vitalità) che cresce e il sospiro dell’uomo e della sua anima che non si arrende, che, nonostante tutto, non demorde e vorrebbe sciogliere e mettere subito in fuga il buio per poi correre e rubare, acciuffare le cose, le forme più belle della vita per unirle, congiungerle alle idee, ai pensieri che si elevano, che sembrano prendere il volo: solo allora si potrà essere quello che si vuole, quello che si sogna!…

Quelle di Lorenzo Spurio ci appaiono una poesia e una poetica che tanto debbono agli autori classici e anche a quelli moderni e a noi più vicini, ma che hanno saputo, ormai da tempo, trovare la loro particolare forma, la loro peculiare via al fare poesia e a farlo in maniera originale. Del resto, chi non è debitore degli autori che ci hanno preceduto? Quella di Spurio è una poetica che si svolge tra impegno civile ed esistenzialismo, tra (ir-)realtà e visioni-apparizioni-epifanie-immagini ovvero – come le chiama lui – pareidolie che soltanto il poeta, con la sua particolare sensibilità, il suo particolare sentire e vedere riesce a cogliere e a farle diventare realtà poetiche. Il suo esistenzialismo non è mai mero esistenzialismo, cioè fine a se stesso, autoreferenziale; il suo non è mai mero ripiegamento verticale, ripiegamento dell’io su se stesso, dell’io che piange e si lamenta del proprio dolore, ma vuole essere orizzontale, cioè emblematico della condizione esistenziale di tutta l’umanità e, dunque, con valore universale. Il dolore personale, individuale non vuol essere altro che la metafora del dolore universale, del dolore del mondo di cui il poeta sente di doversi far carico affinchè i suoi messaggi siano, appunto, rivolti a tutti gli uomini e abbiamo un senso, un significato e un valore non soltanto per l’oggi ma soprattutto per il domani. 

*Lorenzo Spurio è nato a Jesi (AN) nel 1985. Poeta, scrittore, critico letterario e operatore culturale, ha pubblicato varie opere in volume, su riviste e in antologie. Sue poesie sono state tradotte in spagnolo, catalano, portoghese e in altre lingue. Per la poesia si è interessato anche del panorama della poesia della sua regione, le Marche, con alcune pubblicazioni antologiche, saggi e incontri sul territorio. Ha prodotto saggi sulla letteratura – prevalentemente straniera – comparsi in rete, su riviste e opere collettane, tra cui quelli dedicati a Federico Garcia Lorca del quale è attento studioso. Nel 2021 ha creato il blog dedicato al poeta spagnolo “El mundo de Federico Garcia Lorca” dove inserisce suoi contributi critici e di terzi collegati a Federico Garcia Lorca. Ha tradotto dallo spagnolo poesie di Federico Garcia Lorca, Rafael Alberti, Concha Méndez, Miguel Hernandez, Luis Cernuda, Josémaria Alvarino, Dina Bellrham, Anahi Lazzaroni e Niní Bernardello. Nel 2011 ha ideato e fondato la rivista aperiodica di letteratura online “Euterpe” che nel 2022, a seguito di un riammodernamento, ha dato vita alla nuova versione della stessa denominata “Nuova Euterpe”. Sempre nel 2011 ha fondato il Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” giunto nel 2023 alla sua dodicesima edizione. E› stato presidente di Giuria del Concorso Letterario «Città di Porto Recanati – Premio Speciale Renato Pigliacampo» negli ultimi cinque anni e fino alla sua sospensione avvenuta nel 2019; è presidente di Giuria del Premio Letterario «Città di Chieti» e membro di giuria in vari premi letterari tra cui il «Tulliola» di Roma. Ha collaborato e collabora con le riviste “Il Mangiaparole”, “Xenia”, “Oceano News”, “L’area di Broca”, “Diwali”, “Lumie di Sicilia”, “Dedalus”, “El Ghibli”, “La Macchina sognante”, “Oubliette Magazine”. 

Tra le numerose opere poetiche, di saggistica letteraria e di narrativa citiamo le più importanti:Neoplasie civili, Agemina, Firenze, 2014, La testa tra le mani, Ass.ne Sena Nova, Senigallia, 2016, Tra gli aranci e la menta. Recitativo dell’assenza per Federico García Lorca, PoeitKanten, Sesto Fiorentino, 2016 [II edizione, 2020], Pareidolia, The Writer, Marano Principato, 2018, Il restauro delle linee, Ensemble, Roma, 2021; Jane Eyre, una rilettura contemporanea, Lulu Edizioni, 2011, La metafora del giardino in letteratura, Faligi, Aosta, 2011, Flyte & Tallis. Una analisi ravvicinata di due grandi romanzi della letteratura inglese: Espiazione di Ian McEwan e Ritorno a Brideshead di Evelyn Waugh, Photocity, Pozzuoli, 2012, La parola di seta. Interviste ai poeti d’oggi 2012-2015, PoetiKanten, Sesto Fiorentino, 2015, Scritti marchigiani. Diapositive e istantanee letterarie, Le Mezzelane, Santa Maria Nuova, 2016, Cattivi dentro. Dominazione, violenza e deviazione in opere scelte della letteratura straniera, Helicon, Arezzo, 2018, Il canto vuole essere luce. Leggendo Federico García Lorca, Bertoni, Perugia, 2020, Inchiesta sulla poesia, Place Book Publishing, Rieti, 2021, Il tuffo di Colapesce. Scritti sulla Sicilia: lettere, incontri e circostanze, Gruppo Culturale Letterario Edizioni, Pulsano, 2023; Apologia del perduto, Arpeggio Libero, Lodi, 2015, Le due valigie e altri racconti, Alter Ego/Augh, Viterbo, 2018.

Queste le traduzioni:  Dina Bellrham, Le iguane non mi turbano più, Le Mezzelane, Santa Maria Nuova, 2020, Anahi Lazzaroni, Il vento soffia / Qualcuno lo disse, Bertoni, Corciano, 2022, Dina Bellrham, La donna d’elio, VJ Edizioni, Milano, 2022. Infine, numerose sono le sue curatele di poesia. Dal 20215 al 2022 ha ottenuto innumerevoli  e importanti riconoscimenti nazionali e internazionali.

*Salvatore La Moglie, scrittore

Salvatore La Moglie