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Nico Pirozzi, Italiani imperfetti

Gli ebrei napoletani, una piccola comunità che nel 1938 contava 274 famiglie per un totale 851 membri, soffrirono le discriminazioni imposte dalle leggi razziali del 1938 come tutti gli altri ebrei italiani, ma scamparono a rastrellamenti e deportazione in Germania, grazie alle Quattro Giornate di Napoli, la rivolta di popolo che negli ultimi giorni del Settembre 1943 costrinse la Wermacht a lasciare in fretta la città, senza effettuare i già previsti rastrellamenti né eseguire in pieno gli altri ordini di Hitler.

Tale circostanza rende ancora più dolorosa e paradossale la sorte di Luciana Pacifici, una bambina ebrea napoletana di soli otto mesi, sfollata poche settimane prima con i genitori e altri parenti in Toscana, ma qui arrestata dai nazisti il 6 Dicembre 1943 e poi «lasciata morire di fame e di freddo all’interno di un carro bestiame che grondava sangue, sudore e merda», durante la traduzione al campo di sterminio di Auschwitz assieme ad altre 604 persone ammassate nei dieci carri bestiame partiti dal “Binario 21” della stazione di Milano il 30 Gennaio 1944. 

A ricostruire la vicenda di Luciana Pacifici e della sua famiglia è Nico Pirozzi in Italiani imperfetti. Storie ritrovate di una famiglia di ebrei napoletani (Memoriae – Museo della Shoah, 2023). Nico Pirozzi, storico e “giornalista di precisione” già noto per altri studi sulla persecuzione degli ebrei in Europa e sulla comunità ebraica napoletana, in questa occasione ripercorre le vicende che nel 1917 portarono il toscano Amedeo Procaccia, sposato e con due figli, a trasferirsi a Napoli per assumere l’incarico di ‘Shammash’, assistente e custode del Tempio. Da qui il progressivo radicamento nella comunità partenopea, l’adesione convinta al fascismo, i matrimoni dei figli e l’apparentamento con altre famiglie, i Pacifici e i Molco, fino alla decisione di sfollare per sottrarsi ai pesanti bombardamenti alleati, prima a Portici e poi nella campagna toscana, in un paesino tra Lucca e Pisa. Furono arrestati in nove: la piccola Luciana; il cuginetto Paolo Procaccia, di quattro mesi più grande; i genitori, Loris Pacifici ed Elda Procaccia; gli zii Aldo Procaccia, Milena Modigliani e Sergio Molco; e i nonni Amedeo Procaccia e Jole Benedetti. Tre famiglie provenienti da Napoli, fuggite a causa dei bombardamenti poche settimane prima dello sbarco degli Alleati a Salerno. Tre generazioni prima discriminate dalle leggi fasciste e poi spezzate dalla politica di sterminio del popolo ebraico concepita dai nazisti tedeschi ma attuata con zelo anche dagli italiani che aderirono alla Repubblica Sociale fondata da Mussolini sulle sponde del Lago di Garda.

Merito di Pirozzi è il tenere insieme, grazie a una consolidata tecnica narrativa, le vicende quotidiane di Amedeo Procaccia, dei suoi figli Aldo ed Elda e dei nipotini Paolo e Luciana, con le grandi vicende della Storia nazionale. È il sapere coniugare la puntuale e puntigliosa ricostruzione dei fatti evocati con lo scandaglio, sofferto e commosso, di quelle anime in pena. Valga per tutte la pagina che descrive le ultime fasi del viaggio verso Auschwitz: «Se la prima parte del viaggio ebbe come tragico motivo la disperazione  e il pianto, la seconda fu interamente scandita dalla preghiera. In un’atmosfera quasi surreale, Amedeo, Aldo e Sergio tirarono fuori dalle loro valigie il talled, per unirsi agli altri uomini in preghiera al centro del vagone […]. L’ultima parte del viaggio, quella che cominciò quando entrarono in Polonia, fu segnata dal silenzio: un silenzio solenne, importante, più denso di qualsiasi pianto o preghiera. Era il silenzio delle ultime cose. Lo stesso che si avverte quando la morte da evento imprevedibile si trasforma in fatto tremendamente vicino e reale».

*Raffaele Messina, scrittore

Raffaele Messina