VerbumPress

Quelli che lucrano sull’ambiente

Il criminologo Vincenzo Musacchio chiarisce il significato di reato ambientale

Stiamo prosciugando il pianeta delle sue risorse ad un ritmo talmente vorticoso da essere ormai vicini al punto di non ritorno. Secondo gli scienziati esiste una sola possibilità per il futuro: sganciare la crescita economica dal degrado e dal depauperamento dell’ecosistema terrestre. Più facile a dirsi che a farsi. Perché non tutti sono disposti a cambiare il proprio stile di vita. Anzi. Molti lucrano sull’ambiente. Ecomafia 2022, l’annuale Rapporto di Legambiente attesta che i reati contro l’ambiente accertati nel 2021, sono stati 30.590, con una media di quasi 84 reati al giorno, circa 3,5 ogni ora. Un dato preoccupante, che continua a restare alto, nonostante la flessione del -12,3% rispetto all’anno precedente. Va però ben inteso che cosa si intende quando parliamo di reato ambientale. L’abbiamo chiesto a Vincenzo Musacchio, criminologo forense, esperto di mafie transnazionali.

Cos’è un reato ambientale? È una condotta penalmente rilevante che viola una specifica normativa in materia di ambiente e cagiona gravi danni o rischi all›ambiente e/o alla salute umana. Esistono definizioni individuali per singoli reati legati, ad esempio, al traffico di rifiuti o all’inquinamento.

Quali sono i reati ambientali più comuni? In Italia abbiamo una classificazione bene precisa contenuta sia nel codice penale sia nelle leggi penali speciali. I reati ambientali più documentati sono: l’emissione o scarico illegale di sostanze nell’aria, acqua o suolo; il commercio illegale di specie selvatiche; il commercio illegale di sostanze che riducono lo strato di ozono; il trasporto o scarico illegale di rifiuti; gli incendi dolosi a danno dell’ambiente. La legge del 2015 ha introdotto nuove, e gravi, fattispecie delittuose. In totale sei nuovi delitti: l’inquinamento ambientale, il disastro ambientale, il traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, l’impedimento del controllo, l’omessa bonifica, l’ispezione di fondali marini. Il codice penale prevede i seguenti reati ambientali: incendio boschivo (423 bis c.p.); inondazione, frana, valanga (426 c.p.); crollo di costruzioni o altri disastri (434 c.p.).  

Che tipo di connessione c’è tra mafie e reati ambientali? Sicuramente una interconnessione molto stretta. Le mafie, con le complicità di politici, funzionari pubblici, professionisti, imprenditori, riescono a realizzare grandi profitti proprio perpetrando condotte lesive della tutela dell’ambiente. Penso, ad esempio, al traffico e all’intombamento di rifiuti tossici. È inimmaginabile per le mafie poter commettere simili reati senza la complicità di imprenditori e politici. 

La differenza di legislazione in materia ambientale tra gli Stati europei può costituire un problema per la perseguibilità di tali reati? Purtroppo, sì. È un grosso problema. È possibile ad esempio che un singolo Stato membro dell’Unione europea consideri reato una specifica condotta che in un altro Stato non è punita affatto e che può addirittura essere considerata lecita o punibile solo con una sanzione di tipo amministrativo. Siccome la maggior parte dei reati ambientali ha natura transnazionale, questa discrepanza tra gli Stati membri incide notevolmente sulla possibilità di un’azione coordinata contro i reati che colpiscono più Paesi europei, che sono, tra l’altro, la maggior parte.  

Corrisponde al vero che in alcuni Stati membri dell’Unione europea manca una legislazione specifica sul diritto penale dell’ambiente? Sì. Questo incide negativamente soprattutto sull’azione repressiva a livello europeo poiché non c’è Stato membro che sia immune da simili reati. L’emblema di questa discrasia riguarda proprio il traffico di rifiuti tossici che in Italia è reato mentre in alcuni Stati membri è soltanto un illecito contravvenzionale e di natura amministrativa. 

Cosa si può fare per porre rimedio a questo tipo di lacune? La lotta alle ecomafie richiede un’azione multiforme e pluridimensionale che coinvolga politica, imprenditoria, forze dell’ordine, magistratura, conoscenze e competenze scientifiche sia in campo ambientale sia della salute umana. Quello che oggi manca sia all’Italia sia all’Europa. 

Come mai si parla poco di questi argomenti? Con i crimini ambientali non c’è spargimento di sangue quindi i riflettori spesso restano spenti su tali fatti. Sembra non ci siano vittime perché il loro impatto mortale è spesso visibile nel medio o addirittura nel lungo periodo. Penso all’inquinamento da rifiuti smaltiti illegalmente o all’inquinamento dell’aria o dell’acqua e al loro impatto sulla popolazione che vive in determinate zone. A Napoli, ad esempio, nella cosiddetta “Terra dei fuochi”, la popolazione ha scoperto di essere stata avvelenata solo decenni dopo l’inizio delle attività criminali. 

Ci sono grandi profitti in questo ambito criminale? I Casalesi, da molto tempo, oltre a dedicarsi al traffico di droga o di armi, si sono spostati anche nel settore della criminalità ambientale. Il pentito campano Nunzio Perrella, ex-boss del rione Traiano a Napoli, confessò al magistrato Franco Roberti, che lo stava interrogando per fatti di droga che per lui la “munnezza” era oro più della droga stessa. Aggiungendo: “Si guadagna tanto e si rischia poco”.

La recente pandemia e la crisi economica hanno interessato anche questo settore? Certamente. Con l’epidemia di Covid-19 in Europa, il mercato dei traffici illegali di rifiuti è diventato sempre più florido. Ogni anno in Europa nel periodo pandemico sono stati prodotti oltre duemila milioni di tonnellate di rifiuti, di cui oltre quaranta milioni di tonnellate sono classificati come pericolosi. Le nuove mafie sono ben organizzate fra loro e le nostre, ad esempio, hanno contatti stretti con tutte le altre associazioni criminali radicate negli Stati membri dell’Unione europea. I rifiuti pericolosi sono in genere trasferiti in uno Stato membro compiacente (es. Slovenia, Bulgaria, Romania).

Cosa si può fare per provare ad arginare il fenomeno delle ecomafie? Il primo passo credo sia quello di costruire una cooperazione europea e internazionale idonea per contrastare questo genere di attività della criminalità organizzata. Occorrerà tenere sotto stretta osservazione il rapporto tra corruzione e crimini ambientali, tra corruzione ed energie rinnovabili e tra corruzione e gestione illegale dei rifiuti di ogni tipo. Sarebbe opportuno, inoltre, utilizzare tutti gli strumenti e le strategie antimafia a disposizione, comprese le interdittive di tipo amministrativo e le sanzioni pecuniarie. 

Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni Ottanta. È tra i più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali. Esperto di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto europeo di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative in ambito europeo.

*Romina Gobbo, vicedirettore Verbum Press

Romina Gobbo