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Federico Carli, lavoriamo per una nuova Italia in un mondo nuovo. Il governo? Bene in politica estera, sul resto attendiamo i prossimi mesi*

La fortuna ma anche la grande responsabilità di portare sulle spalle una eredità culturale, politica, economica e ideale di un nonno famoso, che è stato anche un grande Italiano, con una voce autorevole anche in Europa. Tra i firmatari del trattato di Maastricht che ha costruito l’Europa, anche se poi è finita nelle mani dei burocrati. Ma se si dice questo -lamenta Federico Carli -si viene arruolati d’ufficio tra gli antieuropeisti. Federico Carli, che del nonno ha curato l’opera omnia e ne ha raccolto il lascito ideale, in questa intervista espone le sue idee con garbo e misura, senza iattanza professorale ma con l’umiltà del ricercatore e dello studioso, ma anche con comprensibile orgoglio. Si vede che sa muoversi nell’ampio mare aperto dei problemi del nostro tempo, animato com’è da voglia di fare, studiare, produrre idee e proposte.

Professor Federico Carli, immagino che intervistandola i giornalisti vogliano farla parlare del nonno Guido, che è stato Governatore della Banca d’Italia, ministro del Tesoro, presidente di Confindustria, parlamentare indipendente nella lista Dc: un esempio virtuoso di coesistenza in una stessa persona di tecnica al massimo livello coniugata con una coscienza storica e una sensibilità sociale.  Non farò nemmeno io eccezione, parleremo di suo nonno ma prima parliamo di lei e soprattutto dell’Associazione che presiede L’associazione “Guido Carli” è nata nel 2003 a Milano…A Milano? Come mai non a Roma? Le cose sono andate così. A mio nonno la Dc offrì un seggio al Senato come indipendente, il che meravigliò un po’ chi si aspettava che si candidasse con La Malfa. Il seggio era a Brescia, città dove il mio bisnonno Filippo, economista e sociologo, aveva lavorato frequentando anche la famiglia Montini. Mio padre Andrea, fu battezzato da Mons Montini, allora Sostituto alla Segreteria di Stato, il futuro Paolo VI. A Brescia e a Milano si era creata attorno a mio nonno una rete di amici, per questo nel 2003 venne l’idea di riprendere quei rapporti e di costituire l’associazione a Milano. Siamo nel 2003, quindi quest’anno l’Associazione fa venti anni. Ma Lei la presiede da sette anni e le ha dato una impostazione diversa. Sì, nel senso che ho proposto e ottenuto di dare all’associazione non solo un respiro nazionale, e non una fisionomia lombardo centrica, ma anche una configurazione territoriale. Abbiamo sedi a Roma, Genova, Cosenza, Bari, a Ferrara, a Napoli, puntiamo ad avere entro il 2025 almeno una sede in ogni regione. Per capire questo Paese, bisogna essere presenti e conoscere da vicino il territorio. Mi si accende una lampadina. Questa articolazione territoriale, in prospettiva, forse anche in una lunga prospettiva, potrebbe diventare il nucleo, il serbatoio di professionalità, figure tecniche e politiche formate in modo da diventare classe dirigente, e da far scendere in politica, per esempio alle elezioni? L’associazione e la visione di renderla capillare sul territorio non hanno le elezioni come primo obiettivo. Ma lavoriamo nella società, per una Italia nuova, in un mondo che vogliamo nuovo, a cominciare da una riconfigurazione dell’orizzonte europeo, e, certo, questa eventualità di un impegno diretto non la posso escludere. Intanto puntiamo a contribuire alla costruzione di una classe dirigente che, sull’esempio di Guido Carli, sappia esprimere capacità tecniche di livello e insieme una coscienza storica e sociale. Ma c’è un’altra caratteristica dell’associazione di cui sono orgoglioso. Quale? La varietà dei componenti: per area geografica, culturale, professionale e anagrafica. Ci sono giovani e ci sono persone in là con gli anni; ci sono psicologi, economisti, sociologi, giuristi, provenienti da diverse scuole e diversi orientamenti. Si punta allo scambio di queste esperienze per fare poi una sintesi operativa. Quali sono stati i suoi maestri oltre, ovviamente a Guido Carli, ai quali si ispira? Giuseppe Guarino, Marcello De Cecco, Paolo Savona, Pierluigi Ciocca, e in una fase successiva Rainer Masera (ho conosciuto da vicino, naturalmente, Ciampi e Padoa-Schioppa). Tutti questi personaggi sono accomunati da un profilo affine: competenza tecnica, senso della storia, amore per la libertà e senso dello Stato. Avendo in comune l’idea che la politica si deve avvalere dei tecnici ma non farsi sostituire da loro quando si deve decidere. Per fare un esempio tra tutti: mio nonno quando era ministro del Tesoro nel governo Andreotti era sì un tecnico ma non solo, era un tecnico con una profonda sensibilità politica. Tra Guido Carli e Giorgetti abbiamo avuto al Tesoro (poi diventato ministero dell’Economia) solo tecnici; prima erano solo politici. Del resto il ministero del Tesoro è il più politico dei ministeri. La gestione dei flussi finanziari dello Stato in base alle richieste della società italiana è un atto eminentemente politico. Abbiamo parlato del contenitore – l’associazione – ora parliamo del contenuto. Quali sono i principi che la ispirano?  E soprattutto che cosa fate? I principi che la ispirano naturalmente si richiamano al lascito ideale, politico e valoriale di mio nonno. L’insegnamento di Guido Carli è quanto mai attuale. In che cosa esattamente consiste questa attualità/inattualità di questo insegnamento? L’ho illustrata una volta così, ricordando il viaggio a Washington di De Gasperi nel 1947, con una delegazione di cui Guido Carli, allora giovane capo dell’Ufficio italiano cambi, faceva parte. Carli aveva già allora, e aveva poco più di 30 anni, la grande capacità di fondere le sue competenze giuridiche ed economiche con la conoscenza della storia e la sensibilità verso le grandi dinamiche della vita sociale. Questa capacità è ancora decisiva per affrontare i problemi complessi del nostro tempo. Abbiamo avuto una sfilza di governi tecnici. Questa capacità non c’era? La tecnica da sola non basta, se non c’è consapevolezza del tempo storico dove si agisce. Mi faccia un esempio di una governo tecnico sprovvisto di queste caratteristiche. Il governo Monti. Lo stesso Monti, che pure era giunto alla vetta di una popolarità che gli aveva fatto prefigurare radiosi destini, ha mostrato di non avere antenne tali da captare quello che si agitava nella società, nel Paese reale. Tornando all’associazione. Lei ha detto una volta che sono stati costituiti 15 tavoli di studio e in alcuni casi siete arrivati a formulare anche proposte concrete. Questi tavoli riguardano a esempio la finanza pubblica, rapporti con l’Europa, le città metropolitane, l’inferno delle periferie, la scuola, il turismo. Sembra un programma di governo. Cosa fate di queste proposte?

Noi organizziamo dibattiti, riunioni ristrette di studio, facciamo eventi, anche internazionali. Il 24 marzo faremo un convegno a Palazzo Giustiniani su un tema importante: economia e giornalismo, poi un altro su Bancor giornalista (cioè Carli giornalista, che usava scrivere articoli sull’Espresso firmandoli con questo pseudonimo, quando era Governatore di Bankitalia, NdR). Inviteremo Paolo Savona, Rainer Masera, Mario Baldassarri, e Lamberto Dini. Poi ne faremo un altro sulla informazione finanziaria e un altro ancora.

Come quello di mesi fa a palazzo Doria Pamphili, quando ha parlato l’ex governatore della Banca d’Inghilterra al quale avete consegnato il premio Bancor. Ma su Bancor le farò dopo una domanda. Noi teniamo convegni, facciamo circolare le idee. Invitate anche uomini di questo governo? 

Ci sono stati dei casi in cui a riunioni ristrette abbiamo invitato anche qualche esponente governativo. Ma un cittadino potrebbe domandarvi, applicando la scacchistica mentale deplorata da Gramsci: da che parte state? A destra, a sinistra, al centro? Superiamo queste etichette. Quel che posso dire con chiarezza è questo: l’orizzonte culturale e ideale dell’Associazione ha queste coordinate: i valori liberali e il pensiero cristiano, che ha al centro la persona. L’associazione è politicamente indipendente, che sul modello anglosassone vuole fare proposte politicamente rilevanti. Non siamo asservibili né assimilabili ad alcun partito politico determinato. Scusi se insisto. Allora chi sono i vostri interlocutori? a chi vi rivolgete? Noi non facciamo un discorso di vertice. Ci rivolgiamo direttamente alla società civile. Mi piace ricordare, anche in questa occasione, un discorso di Moro, fatto a Bari nel dicembre del 1975, quando stava per lasciare il governo (il governo Moro –La Malfa, che cadde dopo lo sgambetto di De Martino che se ne uscì con la trovata, rivelatasi nefasta per il Psi, degli equilibri più avanzati, NdR). Lei cita Moro, ma esattamente? In quel discorso l’allora presidente del Consiglio si rivolse, fece proprio un appello, alle energie vive, positive emergenti della società civile perché si manifestassero concretamente la loro presenza e si impegnassero per il progresso del Paese. A proposito di Moro: domani ricorrono 45 anni dal rapimento che lo portò all’uscita dalla politica e poi dalla vita. Quanto mancano oggi al Paese figure come Moro, nella politica, e come Guido Carli, nell’economia? Di figure come queste, non se ne vedono in giro. È un problema che non riguarda solo l’Italia ma tutto l’Occidente, riguarda gli Stati Uniti, la Francia, la Germania. Figure come quelle che hanno fatto Maastricht, politici italiani che hanno guidato i grandi partiti di massa, figure come Mitterrand, Brandt, Kohl. O in altri campi figure come Rizzoli, Pirelli, Agnelli. Mancano certo oggi personaggi figure con quel carisma, con quella autorevolezza, con quella caratura ideale. E tuttavia bisogna andare avanti, con quello che c’è. Come diceva Menichella (che fu Governatore della Banca d’Italia) “chiste so ‘e carte” (queste sono le carte, e con queste carte bisogna giocare NdR).  Mancano i leader, manca la leadership. Il leader ha come caratteristiche l’autorevolezza e il coraggio, e più la situazione è incerta più è necessaria una maggior dose di coraggio e capacità di innovare. Lei una volta a questo proposito ha citato una bella frase di George Bernard Shaw. Il grande scrittore irlandese diceva distingueva tra saggi e pazzi. Il saggio tende ad accettare la realtà, il pazzo cerca di modificarla, di cambiare le regole. Il progresso alla fine è frutto dell’opera dei pazzi. E mettiamo pure le virgolette se preferiamo. Suo nonno in quale delle due categorie lo metterebbe? Era un saggio o un pazzo? Era un pazzo ma consapevole dell’importanza del quadro complessivo di riferimento storico. Lei è ottimista verso il futuro? Sì, bisogna sperare, lavorare studiare costruire e sperare. Quando ci sono cambiamenti, e c’è incertezza, e questo è un periodo così, quello è il momento della creatività e del coraggio, liberando le energie che possono essere utili alla rinascita del Paese.

Su cosa basa questo ottimismo, che mi pare l’ottimismo della volontà coniugato con il pessimismo dell’intelligenza? Lo baso su una semplice constatazione. Questo Paese, sia pure confusamente, e cambiando periodicamente cavallo, ha mostrato negli ultimi 30 anni di avere comunque un’ansia di cambiamento. Diciamo che le ha provate tutte. In questo senso sono ottimista, ottimista verso il popolo. Prima con Berlusconi, poi con Monti, poi con Renzi, Grillo, Salvini. Hanno sostanzialmente fallito. Ora con Meloni. Sinceramente io non so quale sarà l’evoluzione politica dell’on. Meloni, leggo che vorrebbe trasformare il suo partito in un partito conservatore, di stampo europeo. Non so. Dico però che, dopo tanti tentativi, andati a male e dopo tanti governi tecnici, si presenta oggettivamente una nuova occasione, per riportare al centro la politica. Che certo si potrà e si dovrà avvalere dei tecnici e delle loro competenze ma senza abdicare in favore dei tecnici la responsabilità e capacità di decidere. Questa anomalia ha fatto danni all’Italia. Guido Carli credeva nei giovani (come Moro) al punto che quando riceveva a colazione qualche personalità economica, invitava un giovane a sedersi a tavola. E alla fine gli chiedeva anche di esprimere il suo punto di vista sui temi oggetto di conversazione. È un metodo che anch’io cerco di applicare, sia nella mia attività di studioso e professore, sia nella conduzione dell’associazione. Torniamo ai vostri interlocutori, che sono soprattutto la pubblica opinione, la società civile. Ma per far arrivare le vostre idee e farle conoscere, oltre ai convegni e alle iniziative che fate, non occorre l’aiuto della stampa? Questo è un tasto dolente e cercherò di affrontarlo con serenità ma anche con schiettezza. Oggi una forte componente della stampa è asservita a interessi ben noti e costituiti. Il dibattito pubblico è piuttosto asfittico, niente di paragonabile a quello degli anni Ottanta.  Domina quello che viene chiamato il mainstream, o vulgata che dir si voglia; si stenta a trovare il pensiero critico, dominano lo schematismo manicheo che classifica e impoverisce il dibattito, o di qua o di là. Lo vediamo per esempio sull’Europa: o si è filo o si è contro. Se ci si azzarda a proporre una nuova visione dell’Europa, se si dice che l’Europa che vogliamo non deve essere quella in mano ai burocrati, com’è oggi, se non ci associamo alla vulgata del “ce lo chiede l’Europa”, allora si viene subito arruolati tra gli antieuropeisti. La stampa è fortemente responsabile di veicolare questi schematismi, che avvelenano il dibattito politico, e soffoca il pluralismo delle idee, che è essenziale per far crescere la società. Viceversa, dall’uniformità e dal pensiero unico non nasce i progresso. Quindi lei è critico verso la stampa ma sembra assegnarle un ruolo importante. Questo paese, non solo la politica, il Parlamento, ma l’intera società, avrebbe bisogno di una stampa autorevole, libera, forte e coraggiosa. Purtroppo oggi salvo eccezioni non c’è. Dove sono le inchieste di una volta; l’andare controcorrente? La varietà delle opinioni? Una stampa debole è causa e al tempo stesso anche effetto di istituzioni deboli. Detto in altre parole, dal declino che affligge l’Italia da circa 30 anni la stampa non si può chiamare fuori, fa parte di questa crisi. Lei, a proposito di un certo schematismo che domina il dibattito pubblico, ha citato l’esempio di uno dei suoi maestri, vittima di questa percezione manichea delle idee altrui:  il professor Giuseppe Guarino. Esattamente: Guarino, che annovero tra i miei maestri, i una volta per aver espresso dei giudizi critici su alcuni aspetti del modo di procedere dell’Europa, fu fatto oggetto di ostracismo. Prima i giornali lo cercavano per interviste, pareri, poi non lo cercò più nessuno. E stiamo parlando di un maestro. In questo irrigidimento, che è poi una distorsione, tanta stampa ha le sue responsabilità, che certo non sono solo di oggi avvengono da lontano. Da lontano in che senso? Negli ultimi 25-30 anni, lo accennavo prima, l’Italia ha conosciuto una fase di grave declino. Ci saranno certamente state cause internazionali. Ma tra le cause endogene certamente al primo posto c’è l’arretramento della politica, l’indebolimento della politica, quasi un’abdicazione a vantaggio dei tecnici. Questo arretramento della politica, connesso alla disintegrazione di tutto un sistema di partiti di governo, ha trascinato con sé anche la stampa. Vediamo anche gli intellettuali che prima avevano un ruolo illuministico e di stimolo del dibattito pubblico. Oggi: dove sono gli intellettuali? Quei pochi che parlano sono appiattii anche loro su posizioni mainstream.

Mi par di capire che è un andazzo generale, e che il problema è l’assenza di un pensiero critico, ucciso dal conformismo, da quella che è la vulgata dominante. Ma certo. Le faccio un altro esempio: Federico Caffè, che mio nonno considerava il più grande economista italiano dopo Piero Sraffa (amico di Gramsci, NdR) aveva un grande rapporto di stima verso mio nonno, ma ciò non gli impediva di scrivere articoli di critica alla politica della Banca d’Italia. Oggi chi avrebbe il coraggio di fare una cosa simile? Dal citato viaggio a Washington del 3 gennaio 1947 (nella storia d’Italia non c’è solo l’infausto 3 gennaio del ’25, quando Mussolini inaugurò la dittatura, De Gasperi tornò in Italia con un prestito di 100 milioni di dollari. Una montagna di denaro, che il governo usò come grande occasione per ricostruire un Paese disastrato dalla guerra: scuole, strade, fabbriche, opere nel Mezzogiorno, lavoro. Viene naturale l’accostamento al Pnrr, anch’esso una montagna di soldi. Le domando: le pare che anche questa occasione del Pnrr la si stia cogliendo nella sua valenza storica per mettere a posto le cose che non vanno in Italia, o non c’è piuttosto il rischio che questa imponente massa d’acqua monetaria si stia disperdendo in mille rivoli? Del Pnrr si dovrebbe parlare meno in termini evocativi, generici, e quasi rituali, e pensare a fare progetti importanti che soprattutto e danno la luce. Sarebbe bello poter dire, come fu per il prestito del ‘47: questa opera è stata fatta grazie al Pnrr. Ecco perché vedo un grave rischio…Cioè? Il rischio che qualcuno pensi che il Pnrr sia una grande operazione propagandistica di fidelizzazione da parte dell’Europa e verso l’Europa. C’è bisogno di opere pubbliche, infrastrutture, specie nel Mezzogiorno, di innovazione tecnologica, di mettere in sicurezza il territorio, spesso colabrodo.  Ma sono tutte opere che, arrivo a dire, l’Italia avrebbe comunque dovuto fare anche se non ci fosse il Pnrr. Qualcuno mi obietterà: e le risorse? Rispondo: come ci ha insegnato Keynes, gli investimenti si autofinanziano. A proposito dei giovani che spesso non studiano la storia del proprio Paese, anche per colpa di certi programmi scolastici: Lei che ha curato l’opera omnia di suo nonno, se dovesse spiegare a loro con poche parole: chi era Guido Carli? Anzitutto era un uomo che amava profondamente l’Italia e aveva un alto senso dello Stato. Aveva una profonda conoscenza del sistema internazionale e l’intuizione-convinzione che l’Italia doveva radicarsi in questo contesto di relazioni e istituzioni (è lui tra i firmatari del Trattato di Maastricht). Credeva nei giovani, amava la libertà, al punto che anche quando era governatore, non rinunciava a esprimere le proprie idee, naturalmente non in quella veste, e la illustrava usando lo pseudonimo di Bancor, sull’Espresso. Quegli articoli erano frutto di conversazioni con Eugenio Scalfari, che poi rielaborava a suo modo le idee di Carli (Scalfari com’è noto non usava registratore, rielaborava le conversazioni fidandosi della memoria, e così fece con il papa Francesco a cui attribuì la tesi che l’inferno non esiste e ne fu garbatamente smentito). Ecco: dica la verità: suo nonno l’ha mai smentito Scalfari, sia pure in modo privato non ufficiale? No mai. A dirla tutta non sempre Scalfari riportava in modo esatto le idee espresse da mio nonno, a volte proprio non le aveva capite. E tuttavia non è stato mai né corretto, né smentito, tantomeno rimproverato. Sempre parlando dei giovani: leggendo la prestigiosa biografia di Guido Carli, i suoi altissimi incarichi, un giovane sprovveduto potrebbe pensare: ma era un collezionista di cariche! In realtà mio nonno non le cercava. Era famoso per la sua competenza, la sua visione ed era anche schivo. Basterà questo aneddoto per chiarire il concetto. Il presidente del Consiglio Andreotti lo convocò un giorno nel suo studio di San Lorenzo in Lucina e gli chiese di entrare nel governo come ministro del Tesoro. Carli, che aveva in quel periodo alcuni problemi respiratori, era riluttante ad accettare. E Andreotti, con una delle sue celebri battute rispose: Ma io le sto chiedendo di fare il ministro del Tesoro, non la maratona di New York. Lei fa parte di un comitato di studio sui problemi del turismo. Cosa manca a Bel Paese per essere un polo assoluto di attrazione del turismo mondiale? Mancano non poche cose. Le infrastrutture. Un solo esempio chi volesse andare a vedere i Bronzi di Riace, quante difficoltà ha a raggiungere Reggio Calabria? Esempi del genere se ne possono fare tanti, specie per il Mezzogiorno. È solo un problema di infrastrutture, per quanto siano importantissime? Mancano altre cose: una strategia di comunicazione, la qualità dei servizi (alberghi, ristoranti, il livello qualitativo degli alberghi a Roma è insufficiente, così dei ristoranti. Bisogna arricchire l’offerta e qualificarla. Sono stato a Chicago e per salire sul grattacielo ho pagato 80 dollari, per entrare al Colosseo 18 euro. Sarebbe preferibile che i beni artistici (musei, monumenti, ecc.) costassero un po’ di più ma che nel contempo attorno a questi bani artistici ci fossero servizi a basso costo per il turista. Invece che succede? Che il turista che è appena uscito da un monumento viene spennato se compra una bevanda o va a pranzo. Una domanda inevitabile. Gliela rivolgo in quanto economista, studioso dei problemi dell’Italia e alla luce delle idee che ha illustrato prima, del lascito ideale di Guido Carli, e del comune amore per l’Italia: che giudizio dà di questo governo. Esaminiamo i vari livelli del discorso…Mi pare di ascoltare suo nonno, che aveva questa cura metodologica dialettica nel distinguere le vaie parti di un discorso da fare. Sul piano internazionale questo governo  si sta muovendo bene e sta costruendo una credibilità che non aveva all’inizio, penso soprattutto verso gli Stati Uniti e anche altri Paesi La presidente del Consiglio Meloni ha ottenuto risultati sempre sul piano internazionale svolgendo un buon lavoro nelle varie missioni all’estero. Sul piano europeo mi pare stia andando in una direzione positiva, esprimendo con intelligenza una visione sul piano economico, c’è stata una diffidenza iniziale circa la capacità di raffrontare i problemi del Paese. Questo non si è verificato.  Non ci sono state “pazzie” pericolose (secondo quanto dice Bernard Shaw, prima citato. Insomma finora c’è stata più continuità che discontinuità. Però…Però ora si dovrebbe poter passare alla fase due: individuare le linee da seguire, le priorità da affrontare, le decisioni da prendere; meno spesa improduttiva, più spesa per gli investimenti, tutela del risparmio.

Il risparmio deve essere posto tra le priorità dell’agire politico: risparmio, pensioni, sanità, lavoro, famiglia: questa la costellazione che tiene unita una società. Perciò nei prossimi dieci dodici mesi avremo un quadro più chiaro e definito per poter esprimere un giudizio più motivato. Insomma, par di capire, lei dice al governo, che ora è il momento di fare. Hic rhodus hic salta. È così? Certamente. Però una cosa comunque la voglio dire con chiarezza. Cioè? Da italiano, che ama il suo Paese, e vuole una Italia nuova nel contesto di una Europa dove torni a decide la politica e non i burocrati, bisogna fare il possibile per consentire a questo governo di avere successo. Perché questo è un momento di cambiamento, una fase di fermento internazionale in cui l’Italia può e deve far sentire la sua voce e le sue proposte.

*da Beemagazine del 16 marzo 2023

*Mario Nanni, direttore editoriale Beemagazine 

Mario Nanni