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Muse, modelle, amanti. Il caso di Dorothy Dene e Frederick Leighton

Quanto un legame amoroso o una relazione possono influire sul processo di creazione artistica?

Come e in che misura una donna può orientare e improntare la realizzazione di un’opera d’arte? E che conseguenze ciò può avere? Certo è che dietro molti capolavori di grandi pittori si celano spesso non solo l’immagine, ma anche la personalità e l’essenza di figure femminili di particolare fascino, che non poco contribuirono alla fama delle opere stesse, consegnandole alla storia.

Il 27 gennaio 1899 moriva Dorothy Dene (1859-1899), modella, attrice, musa e (forse) amante del pittore inglese Frederick Leighton (1830-1896), membro del gruppo dei Preraffaelliti – Confraternita artistica nata nel 1848 in Inghilterra – che si servì di lei per numerosi soggetti presenti nei suoi quadri. Il rapporto lavorativo tra i due è dimostrato da un disegno a matita su carta bianca al Leighton House Museum di Londra, in cui l’artista raffigura Dorothy peraltro nella medesima posizione e nello stesso atteggiamento che ritroviamo pure in una fotografia dell’epoca; entrambe le prove furono usate da Leighton come ausilio per la realizzazione di un quadro raffigurante Antigone, oggi in collezione privata, eseguito nel 1882, in cui la figura dell’eroina, protagonista dell’omonima tragedia (442 a.C.) di Sofocle (497-406 a.C.), campeggia maestosa nella tela, solenne e autorevole, fiera e ispirata. La massa della figura si staglia netta e luminosa contro uno sfondo privo di riferimenti ambientali, in un contrasto molto accentuato che ha come effetto quello di far emergere la donna nella sua compatta solidità, evidenziandone la chioma di fini riccioli dorati e il profilo importante.

F. Leighton, Testa di Dorothy Dene (1881). Londra, Leighton House Museum

Ma chi era Dorothy Dene? Il suo vero nome era, in realtà, Ada Alice Pullan, attrice e modella che posò per diversi artisti del tempo, apprezzata per la sua bellezza mediterranea, classica e corposa, oltre che per la folta chioma riccioluta. Fu Leighton probabilmente a suggerirle di cambiare nome nel 1882, anno in cui venne realizzato il quadro, per poter agevolare la carriera di attrice della ragazza, di cui forse si era invaghito e di cui divenne benefattore, introducendola nella società inglese. Il dipinto presentato, quindi, suggella un’amicizia e sancisce l’inizio di un rapporto lavorativo e affettivo destinato a durare fino alla morte dell’artista, avvenuta nel 1896. 

F. Leighton, Antigone (1882). Collezione privata

All’eroina protagonista della tragedia di Euripide, dunque, viene dato il volto della musa del pittore, ma reso più autorevole e solenne grazie alla contaminazione con un’iconografia desunta dalla tradizione, quella della Dea Giunone. Associata al matrimonio e al parto, ma conosciuta in genere come protettrice delle donne, Giunone viene solitamente raffigurata senza simboli particolari o attributi, dignitosa e calma, con una tiara o un diadema sul capo (un esempio di tale iconografia è fornito dal busto in pietra rossa alla Galleria Borghese di Roma, opera di un anonimo artista del XVII secolo). Analoga solidità caratterizza la figura di Leighton, cui egli attribuisce caratteri semi-divini, trasformando la sua musa in una creazione ultraterrena ed eterna.

Il volto di Dorothy sarà, infatti, consegnato ai posteri grazie anche al mito di Antigone, personaggio con cui si identificherà, divenuto nel frattempo immagine di coraggio e di ribellione, lei che era “nata contro”, come dice il suo stesso nome, derivato dal greco ἀντί (contro) e γονή (nata). Molti anni dopo, infatti essa rivive – in una versione iconica e pop – nell’Antigone di Elisa Pasquini (1986), artista toscana contemporanea, che la trasforma nella protagonista di una pop tale colorata e d’impatto, una moderna wonder woman impegnata ed emancipata, che cela i tratti della semisconosciuta Dorothy Dene, figura oggi dimenticata dell’Inghilterra vittoriana di fine Ottocento.

E. Pasquini, Antigone (2012). Lucca, Studio dell’artista

Eppure Dorothy vestì i panni di numerose figure letterarie e mitiche di cui si ornarono i bellissimi e sognanti dipinti di Leighton, tra cui la Desdemona dal verde vestito del 1888; contribuì a esprimere l’ideale di classicità e di italianità agognato dall’artista inglese, da sempre affascinato dalle bellezze italiane a tal punto da scegliere la penisola (Firenze e Roma in primis) come sua seconda patria; inoltre, al tempo fu molto fotografata, ricercata (e chiacchierata) per la sua fisicità e la sua presunta relazione con Leighton; ma soprattutto, rese iconici i dipinti del maestro con la sua concreta e solenne fisicità, fatta di bellezza e forte personalità, quella di una donna che segnò la vita e la produzione di un artista.

*Valentina Motta, scrittrice

Valentina Motta