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Luigi Pirandello, a 155 anni dalla nascita, tra modernità, decadentismo e crisi della civiltà borghese

Lo scrittore Salvatore La Moglie fa il punto su poetica e tematiche nell’opera dell’immortale genio siciliano nato nel 1867

Cercare di fare il punto sulla poetica e sulle tante tematiche nell’opera di un autore così immenso come Luigi Pirandello a 155 anni dalla sua nascita e farlo nell’economia di poche pagine non è impresa agevole e può, pertanto, risultare sempre alquanto schematica e anche incompleta. In ogni modo, si cercherà di affrontare l’impresa tenendo presente che Pirandello, insieme a Svevo, è certamente lo scrittore del Decadentismo italiano ed europeo che meglio ha saputo esprimere la crisi della civiltà borghese e quello che Sigmund Freud, con felice e calzante formula, ha definito il disagio della civiltà, una civiltà moderna che sembrava giunta al suo declino, alla decadenza e capace solo di correre verso la catastrofe della guerra mondiale e della bomba atomica così efficacemente profetizzata da Italo Svevo ne La coscienza di Zeno

Conclusa la stagione del Positivismo e andati in frantumi i grandi valori, gli ideali e le certezze che sorreggevano gli spiriti di allora, all’intellettuale decadente della Modernità non resta che una misera lanterninosofia dopo il crollo della fede e dei grandi sistemi ideologici. La scienza, prima con Copernico (maledetto Copernico…) e poi con Darwin, ha dato due grandi scossoni contro la lettura biblica della creazione e ha provocato quello che il grande sociologo tedesco Max Weber ha definito con efficacia il disincanto del mondo. A questo punto, Pirandello, come tanti altri tra ‘800 e ‘900, in piena epoca di crisi della ragione, finisce per avvicinarsi alle filosofie irrazionaliste e a certi filoni di pensiero relativistico. Tra le letture non mancano Friedrich Nietzsche (il nichilismo), Henri Bergson (il vitalismo, lo slancio vitale ma anche il concetto del tempo come non assoluto marelativo, psicologico, soggettivo che sarà, poi, tanto caro a Marcel Proust) e Alfred Binet (il nostro Io è plurale e la nostra personalità non è univoca ma prismatica). Si tenga, infine, presente, che Pirandello conosce la psicanalisi di Freud e il freudismo e Einstein e la sua rivoluzionaria teoria della relatività.

Di fronte al trauma della Modernità loscrittore, l’intellettuale decadente si sente inetto alla vita, cioè inadeguato, disadattato, estraneo alla realtà in cui vive, incapace di vivere la vita di tutti i giorni. Quest’uomo (simile a quello vissuto durante l’Età del Barocco) è un antieroe, non vive più in un mondo razionale, certo e definito in cui si può cogliere la totalità e in cui ci si può sentire al centro. Egli ha, insomma, piena consapevolezza di aver perso il senso della totalità del mondo e di non sentirsi più al centro dell’universo. Smarrito e sconfitto da una realtà che avverte sempre più complessa e incomprensibile, si sente piuttosto periferico. Si è scoperto l’inconscio con le mille realtà dell’individuo e così il mondo, la stessa realtà si frantuma e appare sfaccettata e sfuggente.

Durante l’Età del Decadentismo e attraverso il romanzo del ‘900 si compiono le seguenti dissoluzioni (o disgregazioni o frammentazioni):

la dissoluzione della realtà, che appare sempre più sfaccettata, instabile, inafferrabile, mutevole e pertanto molteplicemente interpretabile, proprio a seconda del punto di vista o della verità di cui uno è portatore;

la dissoluzione dell’io e quindi del personaggio, che appare non più monolitico, con una personalità univoca e quindi sfaccettato, con più stati d’animo e con un inconscio con cui deve fare i conti;

la dissoluzione delle strutture narrative e sintattiche: vengono meno i nessi logici e razionali nella narrazione e nella sintassi. E così prevalgono nuove tecniche poetiche e narrative: l’analogia, la sinestesia, il correlativo oggettivo, il monologo interiore, il flusso di coscienza, ecc.;

la dissoluzione del tempo cronologico: il tempo cessa di essere lineare e diventa psicologico, rivissuto a livello interiore. Passato, presente e futuro si alternano indifferentemente (si pensi al tempo misto di Svevo). Insomma, viene meno la narrazione, il modo di narrare in senso cronologico e, per es., Proust, nel raccontare, si avvale non solo della memoria volontaria ma anche di quella involontaria (con le famose le intermittenze del cuore). Pertanto, secondo Proust, la letteratura è la sola vita più pienamente vissuta.

LA POETICA

La poetica di Pirandello, intesa sia come tecnica artistica che, soprattutto, come, Weltanschauung, cioè visione generale della vita e della realtà, è molto complessa. Innanzitutto, alla base vi è il relativismo mutuato dal filosofo Eraclito di Efeso secondo il quale tutto scorre (panta rei). Legata a questa concezione è l’altro punto fondamentale della poetica segnata dalla dialettica vita-forma. Nella vita è il movimento, nella forma la morte. Se la vita è flusso incessante, se tutto scorre inarrestabilmente e voglio fissarmi, cristallizzarmi in una forma, cioè in un ruolo, una parte, una maschera, allora è la volta buona che muoio.  Perciò Pirandello scriverà nella novella La trappola che ogni forma è la morte. Una trappola è la famiglia, una trappola è la società in cui viviamo e una trappola è la vita stessa, fin da quando veniamo su questo mondo per vivere il nostro involontario soggiorno.

Altri aspetti fondamentali della poetica di Pirandello sono:

1) la concezione umoristica della realtà. Pirandello, nel 1908, scrive un saggio L’umorismo in cui afferma che il comico è l’avvertimento del contrario mentre l’umorismo è il sentimento del contrario. Fa l’esempio di una vecchia signora che si imbelletta: prevale subito il comico, cioè l’avvertimento del contrario, e ridiamo. Se però  passiamo a riflettere sul perché la vecchietta si è imbellettata (perché non vuole invecchiare, perché vuole ancora sentirsi giovane, essere piacente, rivivere i begli anni, ecc) ecco che il nostro atteggiamento cambia e dal comico passiamo all’umorismo, e cioè a una riflessione amara, a una tragica ironia, alla commozione, alle lacrime, alla pietà. In questo modo, cioè attraverso l’umorismo,  Pirandello riesce a scomporre meglio la realtà, a fare un’analisi lucida, spietata e corrosiva della vita e degli uomini. È quella che alcuni critici hanno giustamente  definito tecnica della scomposizione umoristica che consente, appunto, a Pirandello, di decifrare, decodificare, leggere meglio la realtà facendone emergere tutte le contraddizioni e le incongruenze. 

2) La tragedia del vedersi vivere e la crisi di identità: Un esempio di questa visione lo troviamo ben espresso nella novella La carriola. Il personaggio, preso come da una folgorazione, come da un lampo improvviso si ferma e, guardandosi come in uno specchio, si mette a vedere la propria vita e si chiede se quell’uomo, fissato in quella forma, in quel ruolo, in quella maschera sia veramente lui, se quella vita l’ha voluta proprio lui o se gliel’abbiano costruita gli altri. È così che nasce il personaggio fuori chiave. Scrive Pirandello: Spaventosamente d’un tratto mi s’impose la certezza, che l’uomo che stava davanti a quella porta, l’uomo che abitava là in quella casa, non ero io, non ero stato mai io. Conobbi d’un tratto d’esser stato sempre come assente da quella casa, dalla vita di quell’uomo; non solo, ma veramente e propriamente da ogni vita. Io non avevo mai vissuto, non ero mai stato nella vita. Siamo di fronte alla crisi d’identità  del personaggio pirandelliano, siamo di fronte al personaggio alienato, che si sente estraneo, forestiero di fronte alla realtà, alla vita e a se stesso. Pirandello ribadirà nelle sue opere concetti fondamentali della sua visione della vita come qualcosa che non conclude, che lascia incompleta, incompiuta la nostra esistenza; una vita che è una non vita e, insomma, di una vita che per essere tale non dovrebbe essere costretta dentro una forma ma dovrebbe sempre avere la possibilità di rinascere, proprio nella consapevolezza, appunto, che occorrerebbe morire per rinascere, uccidere la forma, distruggere la maschera che ci imprigiona, proprio come cercherà di fare Mattia Pascal: Hai mai pensato di andare via e non tornare mai più? Scappare e far perdere ogni tua traccia, per andare in un posto lontano e ricominciare a vivere, vivere una vita nuova, solo tua, vivere davvero. Ci hai mai pensato? Del resto per Pirandello: Un uomo quando vive, vive e basta; colui che non vive subisce la vita, cioè si vede vivere; la vita o si vive o si scrive. Se si fosse felici e soddisfatti della propria vita, della propria forma, allora non ci sarebbe bisogno di scappare e di voler cambiare identità nella speranza di essere felici.

3) Gli assurdi penosi della nostra esistenza. Secondo Pirandello la vita è una molto  triste buffoneria, un’enorme pupazzata nella quale prevalgono, alla fin fine, l’assurdo, il paradossale, il nonsenso, il surreale, l’irreale, i casi estremi e incredibili che ci mostrano la tragedia dell’individuo moderno stretto nella morsa di un mondo caotico, disordinato in cui tutto appare alla rovescia e nel quale si sente smarrito, solo, sperduto, estraneo e in incessante inquietudine e terribile solitudine.Sulla realtà delle assurdità della vitaPirandello così spiega ne Il fu Mattia Pascal: Perché la vita, per tutte le sfacciate assurdità, piccole e grandi, di cui beatamente è piena, ha l’inestimabile privilegio di poter fare a meno di quella stupidissima verosimiglianza, a cui l’arte crede suo dovere obbedire. Le assurdità della vita non hanno bisogno di parer verosimili, perché sono vere.

LE TEMATICHE 

Le varie tematiche pirandelliane sono strettamente legate alla sua poetica, per esempio al relativismo è legata la concezione del relativismo psicologico e conoscitivo. Secondo Pirandello vi è l’impossibilità di conoscersi e noi non conosciamo di noi stessi che una minima parte. Proprio in quanto la vita è flusso incessante,  continuo noi sfuggiamo alla conoscenza approfondita di noi stessi e inoltre, secondo Pirandello, noi siamo quello che gli altri vogliono. Noi siamo cioè  uno, nessuno, centomila: uno per noi, centomila per gli altri, e dunque nessuno!… Allora il personaggio pirandelliano  si chiede: chi sono io? Un personaggio femminile risponderà in Così è (se vi pare): Io sono colei che mi si crede.

Se io sono quello che gli altri vogliono, se ognuno di noi ha le sue opinioni, la sua verità, se la stessa verità non esiste (e in questo Pirandello segue il filosofo greco Gorgia) e se, dunque, il mondo e gli uomini sono profondamente inautentici e basati sulla finzione (nulla è più complicato della sincerità), come potrò mai comunicare con gli altri? Siamo alla tragedia dell’incomunicabilità e della disperata solitudine dell’uomo che si chiuderà, sconfitto, in se stesso con  la propria particolare verità. In questo modo il personaggio pirandelliano finisce per essere un disadattato, un inetto alla vita, un uomo senza qualità, un escluso e quindi votato ad essere infelice. Un’infelicità che qualche volta può condurlo alla follia, follia che, in Pirandello, è sempre lucida follia. La pazzia consente al personaggio pirandelliano di essere più lucido degli altri, di analizzare meglio la realtà e gli uomini; finisce anche per essere una particolare forma di contestazione nonché un meccanismo di difesa nei confronti della società, come pure una modalità stessa di vivere nella società, una forma di esistenza che  consente di dire anche atroci verità che non saranno credute.Infatti,neIl berretto a sonagli, Pirandello fa dire a un personaggio: Basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza.

Quello di Pirandello è un  mondo alla rovescia  in cui non si sa  dove inizia la realtà e dove finisce la finzione; tutto avviene in un gioco tragico (il gioco delle parti…) di realtà e di apparenza, di essere e parere in cui l’apparenza può diventare realtà e viceversa. 

Pirandello scava negli abissi dell’animo umano facendo emergere i lati oscuri e inconsci  della personalità tanto che Freud dirà che Dostoevskij e Pirandello hanno anticipato la psicanalisi. In Pirandello vi è  una disperata ricerca di un oltre, di un aldilà enigmatico, che è  nelle cose  e nei fatti  e che cerca di scoprire con la sua continua analisi. Egli invita a scrutare oltre le apparenze, aldilà di esse per cogliere significati più profondi. Nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore scrive: C’è un oltre in tutto, voi non volete, non sapete vederlo

Un altro tema è quello del doppio, dell’altro che è dentro di noi o che potrebbe esserci. Si veda, per esempio, Il fu Mattia Pascal, o anche Uno, nessuno e centomila, in cui assistiamo ad un vero e proprio sdoppiamento della personalità  e alla frantumazione dell’io che appare così sfaccettato e incoerente come la stessa realtà ormai dissolta, inafferrabile e molteplicemente interpretabile.

Altro motivo caro a Pirandello è quello dei pregiudizi e delle convenzioni sociali visti come un grande limite alla libertà personale e all’autenticità  dei rapporti umani e verso cui la reazione del grande  siciliano è, in genere, di tipo nichilista, in quanto nega i valori e le leggi della società senza proporre però un’alternativa. In questo senso egli è stato definito cavaliere del nulla e maestro del dubbio insieme a Nietzsche e a Freud. Nel Mattia Pascal, per esempio, fa capire chiaramente che se non ci fossero le leggi Mattia Pascal sarebbe felice. 

IL PIRANDELLISMO

Pirandello e i suoi personaggi sono stati accusati di cerebralismo, cioè di intellettualismo, per cui si è parlato anche di pirandellismo,  e ciò è stato visto da alcune parti (si pensi soprattutto a Benedetto Croce) come un grande limite. Nei personaggi prevarrebbe l’eccessivo ragionamento e il ripiegamento nella propria angoscia esistenziale. La vita, pertanto, non sarebbe che una stanza della tortura, secondo la felice definizione di Giovanni Macchia. Quest’atteggiamento del personaggio, però, più che un limite, è una caratteristica particolare nelle opere di Pirandello, il quale così scrive e spiega ne Il fu Mattia Pascal: Non è forse vero che mai l’uomo tanto appassionatamente ragiona (o sragiona, che è lo stesso) come quando soffre, perché, appunto delle sue sofferenze vuol vedere la radice (…). 

I personaggi di Pirandello sono in genere dei piccolo-borghesi dalla vita grama, squallida, oscura, angosciata: sono dei vinti, degli sconfitti, dei disadattati, degli inetti che vivono in disarmonia con la realtà e con la storia e, quando aderiscono alla realtà, questa adesione avviene attraverso profonde lacerazioni interiori. Pertanto, la loro sconfitta è puramente verticale, in quanto riguarda se stessi e la loro psicologia, diversamente dai vinti di Verga la cui sconfitta è orizzontale, in quanto investe il momento socio-economico.

Situazione  pirandelliana,  personaggio pirandelliano (così simile a quelli kafkiani):  si ha quando un personaggio vive una situazione che appare irreale, assurda, paradossale, surreale, incredibile, da incubo, o quando la stessa vicenda risulta effettivamente tale. Il personaggio pirandelliano può, pertanto, avere tre tipi di reazione che appaiono simili a quelle del personaggio sveviano:

una reazione passiva: è quella dei personaggi più deboli e più inetti alla vita che si rassegnano alla forma, alla maschera che sono costretti a portarsi addosso e, quindi, avvertono la pena di vivere così;

una reazione ironico-umoristica: è di chi non riesce a rassegnarsi alla parte, ma sta al gioco con un atteggiamento fortemente polemico e umoristico, proprio di chi vuole analizzare e contestare una realtà che vede alla rovescia;

una reazione drammatica: è quella del personaggio che va aldilà delle precedenti per cui, giunto all’esasperazione totale e ridotto alla più disperata solitudine, chiude la sua vicenda in maniera, appunto, drammatica, con il suicidio o la follia più lucida che, però, non potrà essere compresa che da lui stesso.

LO STILE

Infine, qualche nota sullo stile. Pirandello concepisce l’arte come creazione autonoma, cioè libera da influenze ideologiche, politiche, ecc., e che, quindi, non si spiega a fini pratici.

La prosa del grande siciliano è scarna ed essenziale e il suo linguaggio sobrio e concreto, accentua di volta in volta, la paradossalità o l’intensità emotiva di certe pagine, che si avvalgono anche della mimesi dialettale, cioè dell’imitazione del parlato popolare e siciliano. Pirandello rompe con le strutture sintattiche e narrative di tipo ottocentesco e a  prevalere è la tecnica del monologo interiore

L’EREDITÀ

Ottenuto nel 1934 il Nobel per la Letteratura, Pirandello morirà nel 1936. Verso la fine, profondamente deluso dalla realtà presente, si rifugerà nel mito e nel sogno, facendo venire alla luce i seguenti capolavori: I giganti della montagna (mito dell’arte); Lazzaro (mito della religione); La nuova colonia (mito sociale). Lascia il teatro assurdo e grottesco della vita, il caos della orribile trappola del mondo ma entra per sempre nel novero di quei grandi che sono destinati a rimanere eterni. La sua sterminata produzione letteraria resta, infatti, una grande eredità per l’oggi e per il domani e assolutamente attuale appare e continuerà ad apparire nei secoli la sua particolare, dolorosa visione del mondo e della realtà, una visione così emblematica ed esprimente un modo di essere universale dell’uomo su questa Terra da aver creato un vero e proprio filone letterario, ovvero la famosa linea Pirandello-Svevo-Tozzi (la linea dell’antieroe e dell’inettitudine alla vita) alla quale, per tanti versi, sono da aggiungere Alberto Moravia e tanti altri autori che pur non essendo catalogabili come decadenti, di fatto, nelle loro opere e nei loro personaggi, esprimono tanti aspetti della visione e della sensibilità del Decadentismo. Non dimentichiamo, poi, che alla fonte dell’umorismo pirandelliano si era fin da subito abbeverato il grande Eduardo De Filippo che, insieme al fratello Peppino, si recava dal genio siciliano entrando (così ha raccontato) come allievo e uscendo come collega; e non dimentichiamo, infine, che Pirandello e le sue opere sono tra le più recitate e rappresentate nel mondo insieme a quelle degli antichi classici e a quelle di Shakespeare, Moliére, Goldoni e Ibsen.

*Salvatore La Moglie, scrittore

Salvatore La Moglie