VerbumPress

ARTEMIS I ha accarezzato la Luna

Guardare in alto, guardare al futuro, pensare a quante cose straordinarie siamo in grado di creare e portare avanti come esseri umani

“E La Luna bussò alle porte del mondo”: questo è il titolo del mio primissimo articolo sul numero 1 della nostra “Verbum Press”. Era il maggio del 2020 e i più appassionati di voi probabilmente ricorderanno l’argomento: il ritorno dell’essere umano sulla Luna grazie al programma “ARTEMIS”. Circa un anno e mezzo dopo quell’articolo, non posso non riprendere l’argomento perché, da astrofisica e da essere umano, sono emozionata ed eccitata per il primo grande passo compiuto dalla prima missione del progetto, ARTEMIS I, un passo concreto verso il nostro ritorno sulla Luna. Per i nuovi lettori o per gli affezionati un po’ distratti, ricordo di cosa stiamo parlando.

Il simbolo della missione ARTEMIS I. Solitamente i simboli vengono disegnati dall’equipaggio ma in questo caso, non essendoci equipaggio, l’opportunità è stata data dal cosiddetto “creative team” del progetto.

Il progetto ARTEMIS  (NASA [USA], ESA [Europa], JAXA [Giappone], CSA [Canada] e SpaceX [azienda privata USA]) è il successore del primo programma lunare della storia che ben conoscete tutti quanti, il programma APOLLO. L’origine del nome è ovvia: Artemide è la dea della caccia, sorella di Apollo, e ARTEMIS porterà finalmente anche noi donne sulla Luna (e la nostra Samantha potrebbe essere una candidata) come anche i primi astronauti di colore. Non che noi e loro prima non fossimo all’altezza ovviamente; semplicemente prima alcune strade ci erano precluse. Ma le cose, seppure lentamente, stanno cambiando. A parte la questione dell’inclusività, che non è affatto da sottovalutare, potreste chiedervi cosa c’è di nuovo dato che sulla Luna ci siamo già stati. Beh, un nuovo allunaggio è solo l’inizio: lo scopo finale dell’intero programma è quello di costruire una stazione spaziale lunare (il “Lunar Gateway”) in cui stazioneranno gli astronauti nel mentre costruiranno una base lunare. Ebbene sì, faremo del nostro splendente satellite una seconda casa e dico “seconda” per sottolineare che non vogliamo trasferirci lì per fuggire dal nostro mondo; vogliamo trasferirci lì per capire al meglio la Luna, migliorare le nostre tecnologie e magari scoprirne di nuove, come facciamo da sempre grazie alla ricerca spaziale e astrofisica, e per sfruttarne le risorse utili a migliorare la nostra vita sul nostro pianeta. Una su tutte l’elio 3 per la fusione nucleare (vi rimando al numero 1 di Verbum press per maggiori dettagli), sulla quale proprio ultimamente abbiamo fatto un grande balzo in avanti. Tutto questo verrà fatto un passo alla volta, e il primo di questi passi è stato compiuto proprio da ARTEMIS I. Un passo davvero sudato all’inizio. Il primo tentativo di lancio era previsto nella “finestra di lancio” (finestra temporale che ottimizza costi e tempi di viaggio) del 29 agosto 2022 dalle 12:33 alle 14:33, dalla stessa piattaforma dell’APOLLO rimodernata, la 39b. Purtroppo però, un problema al terzo motore ha costretto a rimandare il lancio: non sono riusciti a portarlo alle giuste temperature. Indagini successive hanno verificato che il problema non era il motore in sé (fortunatamente perché in qual caso sarebbe dovuto essere sostituito) ma un sensore di temperatura che dava loro una misura di 15-20° mentre il motore è poi risultato essere alla temperatura giusta per permettere di completare il carico di propellente, -250°. L’unica soluzione definitiva sarebbe stata sostituirlo ma questo non poteva essere fatto sulla rampa di lancio; si sarebbe dovuto riportare il razzo nell’hangar della NASA e quindi rinunciare alla finestra successiva, il 3 settembre. Si è deciso allora di provare comunque il lancio, iniziando il carico di propellente in anticipo in modo da permettere al sensore di stabilizzarsi. Nell’attesa, come insegna la legge di Murphy, c’è stato il carico da undici; una perdita d’idrogeno da una valvola e previsioni meteo affatto favorevoli. Gli ingegneri si erano detti fiduciosi ma la fiducia non è stata ricompensata perché il 3 settembre purtroppo la perdita si è ripresentata (oltre 3 volte il valore critico) e il lancio è stato rimandato nuovamente, a fine settembre stavolta. Per quella data, svariati test hanno permesso di riparare anche questa nuova perdita direttamente sulla piattaforma di lancio ma proprio quando tutto sembrava andare per il meglio, è scattata l’allerta uragano, quella dell’uragano IAN. Il destino si stava divertendo moltissimo, il personale NASA molto meno. Dopo giorni di analisi e contro-analisi sul da farsi, alla fine si è deciso di portare il razzo di nuovo nell’hungar per proteggerlo e per permettere ai migliaia di lavoratori di mettere in salvo le proprie famiglie. Un’odissea davvero, da ogni punto di vista. Eppure si è restati in paziente attesa della nuova finestra di lancio che si sarebbe aperta il 16 novembre alle 07:04 italiane, attesa paziente anche dopo ulteriori piccoli danni al razzo causati dalla tempesta Nicole una volta che il razzo era stato riportato sulla rampa. Si arriva al 14 novembre, quando inizia l’effettivo conto alla rovescia dall’inizio delle operazioni (circa 46 ore prima del lancio). Si presentano nuovi piccoli problemi con corrispondenti grandi ansie ma stavolta tutto va per il meglio! Alle 7:47 italiane del 16 novembre ARTEMIS I ha preso il volo, portandosi a una quota di 157 km per poi rilasciare il primo stadio del razzo “Space Launch System” (SLS), il più potente mai costruito. 

Tutte le fasi della Missione ARTEMIS I (NASA)

Piccola ma importantissima annotazione: essere andati sulla Luna negli anni ’60 non implica che adesso possiamo mettere un razzo sulla rampa di lancio, partire e arrivare sulla Luna schioccando le dita. La tecnologia è cambiata, anche quella che abbiamo riciclato deve essere riadattata a componenti più moderne, sono cambiati gli obiettivi ma soprattutto, è cambiato il livello di sicurezza necessario a poter far partire un razzo: negli anni ’60 Armstrong raccontò che si partiva CON EQUIPAGGIO con solo il 60-80% di possibilità di sopravvivenza. Brutte conseguenze della guerra fredda. Oggi si parte solo se la probabilità di successo raggiunge il 99,99966 %. Tutt’altra storia no? Teniamolo ben in mente prima di alimentare sterili polemiche. Su ARTEMIS I l’equipaggio non c’è ma non ci si può comunque permettere di buttare soldi, lavoro e tempo dedicati a questa prima missione per decenni. Meglio rimandare che buttare a mare tutto.  In realtà, poi, un equipaggio su ARTEMIS I c’è stato ed era composto dal “comandante” Moonikin Campos e le tedesche Helga e Zohar; tre manichini con il prezioso compito di raccogliere i dati necessari a analizzare e capire gli effetti di radiazioni, accelerazioni e vibrazioni durante tutta la missione, in vista delle future missioni con equipaggio. 

Dopo il lancio, ARTEMIS I ha seguito una per una tutte le fasi programmate del suo viaggio (descritte bene nella figura in questo articolo), nella durata complessiva di 25,5 giorni, la permanenza più lunga della storia per una capsula che ospiterà degli esseri umani. Per prima cosa, arrivata in orbita attorno la nostra Terra, la capsula Orion, l’unica parte che viaggerà verso la Luna, si è distaccata dall’SLS e ha aperto i suoi pannelli solari, sua fonte energetica primaria, per poi sfruttare la prima propulsione, datale dall’ Interim Cryogenic Propulsion Stage, necessaria a lasciare l’orbita terrestre. Da quel momento è stato il modulo di servizio fornito dall’ European Space Agency (ESA), con forte contributo italiano, a darle potenza e propulsione necessarie a tutte le manovre successive; modulo che fornirà elettricità, acqua, ossigeno e azoto al modulo dell’equipaggio, oltre a mantenere la rotta e la temperatura della capsula. Oltre una certa distanza dalla Terra, le comunicazioni col centro NASA sono avvenute tramite il “Deep Space Network”, la rete di comunicazione più grande che esista costituita da tre sedi a 120° l’una dall’altra (Canberra [Australia], Madrid [Spagna], Goldstone [California]) per coprire tutta la nostra Terra e per non limitare, quindi, le comunicazioni a causa della rotazione terrestre. Il viaggio verso la Luna è durato 5 giorni, uno in più di quelli delle missioni Apollo perché sono stati effettuati test di verifica di tutta la strumentazione. Il sesto giorno (21 novembre) Orion ha raggiunto la sua distanza minima dal nostro satellite, circa 130 km, per darsi la spinta necessaria (tramite l’effetto “fionda gravitazionale”) a raggiungere l’orbita definita (Distant Retrograde Orbit, DRO), a 70000 km, in cui è rimasta per 6 giorni. Questa orbita retrograda (verso opposto a quello di rotazione della Luna attorno alla Terra) è stata scelta perché altamente stabile con bassa richiesta di carburante. 

Orion ripresa da una delle camere poste sui pannelli solari mentre si trovava sull’orbita DRO. Sullo sfondo la Luna e la nostra Terra (NASA).

Nel caso non lo sappiate, Orion ha testimoniato ogni fase di viaggio grazie a 5 delle 12 camere installate in vari punti, tra esterno e interno. Le primissime fasi post lancio sono state documentate da Argomoon, microsatellite realizzato da Argotec (azienda di ingegneria aerospaziale italiana) e dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Se vi foste persi immagini e video, o voleste semplicemente perdervi nella bellezza, andate sul sito della NASA dedicato alla missione e godetene tutti (tra le fonti).

Orion ha danzato attorno alla Luna fino al sedicesimo giorno (1 dicembre) in cui, dopo un secondo fly-by (volo ravvicinato) sul nostro satellite, ha iniziato il viaggio di ritorno verso la Terra. Arrivata nelle vicinanze, si è prima separata dal modulo di servizio ESA per poi tuffarsi nell’atmosfera col metodo chiamato “Skip Return Entry”, che prevede prima un “rimbalzo” sull’atmosfera stessa e poi un effettivo rientro (prima volta in cui il metodo è stato utilizzato per una capsula per astronauti). Orion ha decelerato da più di 11000 m/s a 8.9 m/s in 20 minuti, raggiungendo temperature di circa 2500 gradi (metà della temperatura sulla superficie solare), prima di aprire il paracadute e ammarare, dopo aver percorso più di due milioniduecentomila chilometri nello spazio. Lo “splashdown” (nome davvero evocativo dal mio punto di vista) è avvenuto senza alcun problema l’11 dicembre 2022 alle ore 18:41, e tutto ha funzionato perfettamente, validando ogni strumento necessari per il rientro.

La capsula Orion subito dopo l’ammaraggio nell’Oceano Pacifico (NASA)

A questo punto, la strada per ARTEMIS II è, se non in discesa, sicuramente con una pendenza più lieve e se tutto andrà come deve, nel 2024 avremo finalmente 4 astronauti (che verranno nominati nei primi mesi del 2023)  che, a bordo della Orion, effettueranno un viaggio della durata complessiva di 8 giorni in orbita attorno alla Luna, arrivando a circa 9000 km di distanza prima di tornare a Terra. A quel punto, la strada sarà spianata per ARTEMIS III e la Luna sarà un po’ più vicina.

Guardare in alto, guardare al futuro, pensare a quante cose straordinarie siamo in grado di creare e portare avanti come esseri umani, sono azioni fondamentali che ci permettono di non abbatterci, di non lasciarci sommergere dalle brutture che abbiamo intorno perché le tragedie, le brutte notizie, i disastri fanno sempre più notizia (e purtroppo più danni) di quanto c’è di bello sul nostro Pianeta e tra noi esseri umani. Ricordiamocelo ogni tanto.

Voliamo tutti in alto con ARTEMIS e guardiamo al futuro. Sempre.

Fonti

https://www.nasa.gov/specials/artemis/

https://www.nasa.gov/content/artemis-i-overview

https://www.nasa.gov/content/artemis-1-images

https://www.nasa.gov/content/artemis-1-video-gallery

https://www.astrospace.it/

www.youtube.com/piùspaziopertutti

www.facebook.com/RomaCaputAstri

Martina Cardillo