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Grazia Deledda, pensava in sardo

Grazia Deledda (Maria Cosima Damiana Deledda), pensava in sardo. Il sardismo si manifestò in ogni sua espressione, dall’infanzia alla maturità. Sempre fedele alle sue origini, portò la cultura sarda in ogni dove; donna dall’impegno perspicace e caparbio,  sfidò critiche e pregiudizi. Pur essendo stata definita illetterata, si fermò alla quarta elementare e proseguì gli studi come autodidatta, nella gelida Stoccolma, il 10 dicembre 1927, le fu attribuito il Premio Nobel per la Letteratura. E’ questa la sua via, una via sarda, il rapporto con la propria tradizione non sempre chiaro e lucido, ma vero. Nella scrittura di Deledda il ritmo del canto sardo si rompe per ricomporsi in una musicalità più libera ed è possibile individuare un continuo ricambio tra prosa e poesia. La Sardegna isola aspra e di ancestrale bellezza, è una terra senza tempo ove si consumano i drammi raccontati da Grazia Deledda in cui affiora la crisi dell’esistenza, creata con la cultura di fine ‘800. La sua formazione culturale, pur assumendo un carattere assai personale, la si può collocare nel Verismo. Occorre ricordare che la sua è una scrittura moderna, i personaggi di cui si parla, non appaiono fittizi, ma autentici, raccontati con penna fluida, tanto che il lettore, attraverso la narrazione può visualizzare gli eventi. La natura umana è luogo di ansie e pulsioni, predestinazione e libero arbitrio, di impulsi proibiti che arrecano angosce. Anche in “Canne al vento”, la sua opera più nota, il tema di fondo è l’espiazione di una colpa segreta. Mentre nel romanzo “La madre” pone l’accento su sentimenti forti, i quali ruotano intorno al tema della corruzione e del pentimento. Che dire infine delle figure femminili nelle opere di Grazia Deledda? La donna e la psicologia femminile sono tracciate dall’autrice con mano sapiente e fine abilità, accomunate da elementi che rendono le donne superiori alle figure maschili, perché dispensatrici di forza e vigore, oltre che di vita (quasi un paradosso in quell’epoca patriarcale). C’è un ponte tra il tempo di Deledda e il nostro, un dialogo che attraversa due secoli. Il suo lavoro intriso di idealismo ed umanità, è allietato da poetica con singolare bellezza. “Noi siamo sardi” è una delle più famose poesie dell’autrice, un’opera fortemente identitaria scritta con parole che risuonano come sussurrate nel cuore di tutti i sardi. A Stoccolma: “Ho guardato per giorni, mesi ed anni il lento svolgersi delle nuvole sul cielo sardo. Ho mille e mille volte poggiato la testa ai tronchi degli alberi, alle pietre, alle rocce per ascoltare la voce delle foglie, ciò che dicevano gli uccelli, ciò che raccontava l’acqua corrente. Ho visto l’alba e il tramonto, il sorgere della luna nell’immensa solitudine delle montagne, ho ascoltato i canti, le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo. E così si è formata la mia arte, come una canzone, o un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo”. Questo suo dire è forse l’apice della vicenda poetica di Grazia Deledda, scrittrice intensa e feconda, la cui fama nel secolo scorso si diffuse in tutto il mondo. Una figura dirompente soprattutto se si considera il fatto che proveniva da una terra che non premiava l’ambizione femminile. Il Verismo della sua narrativa, i toni cupi e l’ansia di liberazione delle sue opere, le storie di passioni primitive che racconta fecero breccia nella critica. Verismo regionale e folcloristico: cronache e leggende paesane, storie di passioni elementari e di esseri primitivi; un mondo del peccato e del male, sentito come fatalità e rappresentato con cupi accenti, si accompagnano o si contrappongono all’ansia di liberazione e di riscatto. Questo estroso e romantico senso di vita, trova espressione soprattutto nella leggerezza idilliaca e trasognata del paesaggio. La critica, in generale, tende ad incasellare la sua opera di volta in volta nel Verismo regionale, nel Decadentismo, oltre che nella letteratura della Sardegna. Altri critici invece preferiscono riconoscerle l’originalità della sua poetica. Cenere, L’edera, Sino al confine, Canne al vento, opere che ebbero le attenzioni di intellettuali italiani ed europei come Giovanni Verga, Pietro Pancrazi, Enrico Thovez. Nella formazione letteraria di Deledda si sente pure l’influsso della letteratura russa , soprattutto le opere di Lev Tolstoj. Nicola Tanda,  coglie il pensiero di alcuni critici: “Deledda, fa coincidere la sua immagine con quella della società sarda. Un profondo disagio attraverso la tensione inquietante della scrittura così disadorna e antiletteraria, la accosta più di quanto non possa apparire a prima vista, tanto a Svevo quanto a  Pirandello, pur con tutte le distinzioni e le differenze che si possono fare e introdurre; come la Sicilia di Pirandello, la Trieste di Svevo e la Liguria di Montale, anche la Sardegna acquista un suo preciso spazio, ed una sua precisa collocazione”.

*Sergio Camellini, psicologo

Sergio Camellini