VerbumPress

DART: prove generali di difesa planetaria

La sonda ha impattato in diretta video contro l’asteroide Dimorphos per deviarne la traiettoria nell’ambito di un esperimento di difesa planetaria

“Meteorite ha sfiorato la terra!” 

Quante volte vagando nel web abbiamo letto un titolo del genere da qualche parte? Troppe, questo è certo. Ovviamente parte del problema è la solita corsa al “clickbait” che porta pagine, canali, giornali a scrivere titoli fuorvianti e spesso assolutamente non realistici. Ma appunto, è solo una parte del problema. L’altra è legata all’ancora, purtroppo, diffusissima incapacità di comunicazione tra scienziati e mondo quotidiano, motivo per cui insisto moltissimo sull’importanza della divulgazione e dell’imparare a parlare a tutti di ciò che fa parte del mondo scientifico. Questa forse tediosa premessa è doverosa perché questo articolo riguarda una missione davvero speciale che ci ha permesso un enorme balzo in avanti nella questione della difesa planetaria da eventuali “meteoriti” pericolosi. Ma andiamo con ordine.

Il Lancio di DART a bordo del Falcon 9, avvenuto il 24 novembre 2021 dalla base di Vandenberg Space Force in California

Tra Marte e Giove esiste una grandissima fascia di asteroidi (estesa tra circa 300 e 500 milioni di km da noi) probabilmente formatasi al posto di un altro pianeta che, a causa della gravità di sua maestà “er palloccone” Giove, non è riuscito a mettere insieme i pezzi (letteralmente!); pezzi che, quindi, hanno iniziato a orbitare attorno al Sole nell’orbita di equilibrio tra la forza gravitazionale del Sole, appunto, e quella gioviana. La maggior parte di questi asteroidi si è formata con tutto il Sistema Solare, quindi circa 4 miliardi e mezzo di anni fa; molti, invece, sono il risultato della fusione o dello scontro tra asteroidi esistenti e quindi si sono formati più in là nel tempo. Pensate che, mettendo insieme tutti gli asteroidi di questa fascia, otteniamo una massa totale pari a… Udite udite… Il 4% della massa della nostra Luna! Eh sì, lo so, siete rimasti delusi ma è proprio così. Nonostante siano davvero tantissimi, la massa totale degli asteroidi è davvero molto bassa (e 1/3 è concentrata nei quattro più grandi, Cerere, Vesta, Pallade, Igea) come lo è anche la loro densità; infatti le sonde che abbiamo mandato oltre la fascia di asteroidi, riescono a oltrepassarla indenni (le prime a farlo sono state le sonde Pioneer alla fine degli anni 50). A parte Cerere, che ha un diametro più che dignitoso (1000 km), tanto da essere entrato a far parte della categoria dei “Pianeti Nani” come Plutone, nessun asteroide ha una forma sferica, anzi: sono tutti bitorzoluti e “stortignaccoli” proprio perché la loro massa non è stata sufficiente quel tanto da permettere alla gravità di plasmarli in delle sfere, forma di equilibrio gravitazionale perfetta. La stragrande maggioranza ha un diametro inferiore ai 10 metri, e di questi la maggior parte addirittura più piccolo di 1 metro, e cadono sulla nostra terra (diventando solo a quel punto meteoriti) con una frequenza di circa uno l’anno. E infatti siamo pieni di frammenti di meteoriti spesso trovati per caso da una persona qualsiasi che passeggiava nel punto giusto con gli occhi ben accorti; infatti i “sassi spaziali” si distinguono facilmente da tutti gli altri sassi terrestri (se volete approfondire, sul mio canale trovate dei video interessanti e il progetto PRISMA dell’INAF vi darà tantissime informazioni più dettagliate).

Immagine della nostra Terra ripresa dalla camera LEIA a bordo del cube-sat italiano LICIAcube dopo essere stato rilasciato da DART.

Ecco. L’impatto sulla Terra. Questo è l’argomento che più ci interessa ovviamente. Come avete letto, ho parlato di una frequenza di impatto elevata solo per asteroidi molto piccoli (che sono anche i più numerosi in assoluto, ricordatevelo) e quindi più innocui. Gli asteroidi più grandi e più vicini a noi, che definiamo “potenzialmente pericolosi”, sono meno del 10% di tutti gli asteroidi esistenti, ne conosciamo il 90%, quasi tutti in pratica, e nessuno di questi è a rischio di impatto con la Terra per svariate decine di anni almeno (poi dovremo rifare i calcoli perché le condizioni al contorno cambieranno). Vi starete di certo chiedendo: perché allora li chiamate “potenzialmente pericolosi”? Domanda legittima. Per noi astrofisici sono definibili così tutti gli asteroidi con diametro maggiore di 140m che arrivano a una distanza da noi inferiore agli 8 milioni di km e che quindi, in un lontano futuro, nel caso succeda qualcosa che dèvi la loro orbita, potrebbero rischiare di dirigersi verso la nostra Terra. Niente a che vedere con una possibilità di impatto reale. E quando sentite la parola “sfiorare” (com’è stato per il famoso asteroide con la mascherina dell’aprile 2020, ricordate?) parliamo di un passaggio a circa 6 milioni di km da noi, 16 volte la distanza Terra-Luna. Capite perché c’è un problema di comunicazione? Per noi astrofisici, è chiarissimo il significato di “sfiorare” o di “potenzialmente pericoloso” ma decontestualizzate, queste due espressioni giustamente creano terrore e allarmismo. 

Le impressionanti immagini riprese da DRACO 2,5 minuti (920km), 11 secondi (68km) e 2 secondi (12 km) prima dell’impatto di DART con Dimorphos

Detto questo, però, non possiamo predire il futuro degli asteroidi per centinaia di anni e quindi un evento come quello che ha estinto i dinosauri o quello descritto dal bellissimo film “Don’t look up” di Adam McKey (2021), guardatevelo se non l’avete fatto), potrebbe un giorno diventare realtà. Per evitare di trovarci impreparati e increduli come l’umanità del film, però, la scienza si è iniziata a muovere concretamente per capire come poter difendere il nostro pianeta. Lo ha fatto tramite la NASA, con uno straordinario contributo della nostra Italia e della sua Agenzia Spaziale (ASI). Tutto è iniziato il 24 novembre 2021, quando a bordo di un razzo Falcon 9 della Space X è stata lanciata la sonda DART (Double Asteroid Redirection Test). Come il nome stesso suggerisce, lo scopo di questa missione è quello di ridirezionare l’orbita di un asteroide posto in un sistema binario di asteroidi ed effettuare così il primo test concreto di tecniche di difesa planetaria. Il sistema di asteroidi in questione è composto dall’asteroide principale, Didymos (780 m), e la sua luna, Dimorphos (160 m), che gli gira attorno in circa 11 ore a una distanza di poco più di 1 km. La loro orbita attorno al Sole, che completano in poco più di due anni, è molto ellittica e va da oltre i 300 milioni di km dalla Terra (oltre l’orbita di Marte) fino a circa una decina di milioni di km da noi. Avere un sistema binario di asteroidi di questo genere è stata un’occasione eccezionale per pensare a una missione come DART. Questa piccola sonda, con un peso di circa 600 kg e grande come un cubo con lato di 1.8m (più i pannelli solari), è stata lanciata per farla schiantare su Dimorphos, con lo scopo di deviare la sua orbita di circa l’1%, il che corrisponde a far variare il tempo di rivoluzione attorno a Didymos di circa 10 minuti. Il motivo per cui si è deciso di farla schiantare sull’asteroide-luna è che, essendo la primissima volta in cui si effettua un test simile, qualsiasi piccolo errore non comporterebbe altro che una modifica errata dell’orbita di Dimorphos attorno a Didymos e non di Didymos attorno al Sole, evitando qualsiasi rischio per noi. DART aveva a bordo DRACO (Didymos Reconnaissance and Asteroid Camera for Optical navigation), una camera ad alta risoluzione che è servita come navigatore e analizzatore dei dati del sistema di asteroidi. Inoltre, portava con sé LICIACube (Light Italian CubeSat for Imaging of Asteroids) un cube-sat (tipologia di satelliti piccolissimi) tutto italiano targato ASI (con il contributo dell’azienda ARGOtec) con lo scopo di documentare con delle immagini, tramite i due strumenti LEIA e LUKE (ma guarda, riferimenti a Star Wars!) l’impatto di DART con Dimorphos e raccogliere tutti i dati del periodo successiv, tra cui quelli che ci diranno se la deviazione è stata quella che ci aspettavamo e, quindi, se la missione è stata del tutto un successo. LICIAcube è stato rilasciato tra l’11 e il 12 settembre e il 21 settembre ci ha mandato un’immagine della nostra Terra che potete vedere: sì, è sfocata, bruttarella, perché in fondo LICIACube è stato ottimizzato per riprendere il sistema di asteroidi da molto vicino e non la nostra Terra da lontano, ma è la prima immagine del nostro pianeta ripresa da uno strumento tutto italiano. Alla fine, gajardo no?

Insomma, il 24 settembre alle 19:14 americane (piena notte da noi) DART si è schiantata su Dimorphos andandogli incontro a una velocità di circa 22530 km/h (6 km/s). Le meravigliose immagini che vedete qui nell’articolo sono soltanto 3 fotogrammi dellla meravigliosa sequenza fatta da DRACO degli ultimi 5 minuti prima dell’impatto (e che trovate in timelapse qui https://www.nasa.gov/press-release/nasa-s-dart-mission-hits-asteroid-in-first-ever-planetary-defense-test). Dire che sono spettacolari secondo me è dire poco.

Se ve lo state chiedendo no, la soluzione “gajarda e macha” di “Armageddon” non funzionerebbe: se si frantuma un asteroide, c’è comunque il rischio che un bel pezzo staccatosi ci arrivi rovinosamente addosso e non solo: perturberemmo il sistema in un modo incontrollato rischiando di andare a deviare qualche altro asteroide. Insomma, il film resta figo ma non “fatelo a casa” ecco.

Luke (a sinistra, distanza 56.7 km) e LEIA (a destra, distanza di 79.8 km) ci mostrano in primo piano Didymos e poi Dimorphos, nascosto nella nube di detriti generata dall’impatto con DART

A questo punto non ci resta che aspettare che LICIAcube ci dica se oltre a essere riusciti a far impattare una sonda partita da Terra, dopo un viaggio di 10 mesi, su un sistema di asteroidi che ruota attorno al Sole (cosa ormai non così sorprendente ormai), siamo anche riusciti a deviare Dimorphos esattamente nel modo che volevamo. Nel caso fosse così, stiamo effettivamente imparando come evitare, sia mai sarà necessario, che un asteroide punti rovinosamente verso di noi e che il nostro pianeta subisca la fine di “Don’t Look Up”. 

Nel frattempo godiamoci le due prime immagini mandateci da LICIAcube in cui LUKE e LEIA ci mostrano la nube di detriti che si è alzata da Dimorphos dopo l’impatto e meravigliamoci ancora una volta nella bellezza della scienza e della bravura dell’essere umano, quando sa come sfruttare il proprio cervello.

FONTI

https://dart.jhuapl.edu/Mission/Impactor-Spacecraft.php

https://www.nasa.gov/planetarydefense/dart/dart-news

https://solarsystem.nasa.gov/asteroids-comets-and-meteors/asteroids/didymos/in-depth/

www.youtube.com/piùspaziopertutti

http://www.prisma.inaf.it/ 

*Martina Cardillo, astrofisica

Martina Cardillo