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Estate bollente, acqua sprecata. Cosa sta succedendo al nostro Mediterraneo?

L’Italia è di fatto il paese europeo con la più alta dispersione idrica per uso civile. E poi la guerra che non è mai finita e nuove tensioni nel cuore dell’Europa

Estate bollente, acqua sprecata e l’Europa meridionale che, secondo diversi esperti, diventerà come il Sahara.  Questi i temi rimbalzati tra social e tv durante i mesi di pausa estiva, mesi che hanno visto rincorrersi promesse da campagna elettorale perché sì, siamo anche nel rush finale che porterà gli italiani al voto il 25 settembre prossimo. Cosa sta succedendo al nostro Mediterraneo?

Oltreoceano, partiamo da una notizia positiva. La Camera dei rappresentanti USA ha approvato l’Inflation Reduction Act, voluto fortemente da Joe Biden, che è diventato legge. L’America dice sì al piano verde e stanzia 369 miliardi di dollari per abbassare il gas serra del 40% entro il 2030. Non basta per fermare il climate changing che sta sconquassando l’equilibrio naturale del nostro pianeta, ma è già una buona notizia. 

Si tratta del più importante investimento in politiche ambientali della storia americana, oltre a rappresentare una strategia solida da qui al 2030, il secondo paese al mondo (dopo la Cina) per emissioni di CO2 (più di 5milioni di tonnellate). Numeri da incubo. Gli USA non sono da soli ad avere una legge specifica sul clima. Il Regno Unito ha stabilito entro il 2050 la sua neutralità carbonica, la Finlandia vuole arrivarci nel 2035, Danimarca, Germania e Portogallo puntano al 2045. 

Per riuscire a contenere il riscaldamento globale entro la soglia di 1,5° – reputata sicura dal Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) – bisogna raggiungere il traguardo emissioni zero entro la metà del ventunesimo secolo. Obiettivo previsto anche dall’Accordo di Parigi, firmato da 195 paesi, inclusa l’Unione europea. A dicembre 2019 la Commissione europea ha presentato il Green deal europeo, il piano per rendere l’Europa climaticamente neutrale entro il 2050. E l’Italia? Rincorre, per adesso.  

Secondo l’esperto di tecnologia e saggista americano Alec Ross, ex consigliere dell’Innovazione di Hillary Clinton, intervistato da Repubblica, il prossimo decennio dovrà essere quello dei massicci investimenti in fondi di energia rinnovabili: solare, idroelettrico, biomasse, eolico e nucleare. Ci vogliono scelte coraggiose – come enormi parchi solari in Sicilia e poi l’idroelettrico – o l’Italia diventerà il Sahara, chiosa Ross. Intanto però la siccità avanza e perdiamo sempre più acqua ogni anno. 

Diciamoci la verità, negli ultimi venti/trent’anni lo Stato non ha investito molti quattrini per far fronte alla crisi idrica, alle perdite delle condotte e al risanamento delle reti ed oggi non abbiamo armi per combattere la siccità che avanza inesorabilmente. Il reportage condotto da Antonio Fraschilla de L’Espresso racconta che servirebbero quasi 60miliardi di euro per ammodernare le reti, a fronte dei 4,3 stanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Secondo questo passo, secondo Utilitalia – federazione che riunisce le Aziende speciali operanti nei servizi pubblici dell’Acqua – ci vorranno 150 anni per mettere in sicurezza il nostro Paese da una siccità che però sta muovendo passi sempre più ampi e preoccupanti da un’estate a un’altra (!). La confusione amministrativa del nostro Paese è tale che diverse province non hanno più un ente gestore e l’ufficio che dava le autorizzazione all’utilizzo dei pozzi e li censiva. Caos insomma. L’Italia è di fatto il paese europeo con la più alta dispersione idrica per uso civile, agricolo e industriale, condannata a pagare 60milioni di euro l’anno di multa all’Ue perché non depura l’acqua di fogna che va nei fiumi e si riversa nei nostri splendidi mari. I consumi sono da decenni fuori controllo: per uso civile in Italia si consumano 245 litri di acqua pro-capite, 100 litri in più rispetto la media dell’Unione Europea. Tanto. Troppo.  

E’ così non abbiamo molte soluzioni per difenderci dalla siccità, la natura intanto fa il suo corso e i numeri della Coldiretti sono impietosi, le imprese agricole hanno perso 6miliardi di euro, dimezzato il raccolto del mais nelle regioni del Nord che rappresentano quasi il 90% dell’intera produzione nazionale. Il distretto del Po in grandissima difficoltà – 20 milioni di abitanti – la sua acqua e quella dei suoi affluenti genera il 40% del Pil italiano fra produzione agricola, industriale, zootecnica e idroelettrica, così come fotografato da Milena Gabanelli su Il Corriere della Sera.  Per la prima volta l’acqua salata ha risalito il delta del Po per 40 km generando un processo di desertificazioni irreversibile, raccolti compromessi e acqua salmastra non più utilizzabile per le colture. Un disastro. Di fronte alla tropicalizzazione del clima sarebbe opportuno raccogliere nei periodi di piovosi ma, come abbiamo visto, la dispersione della nostra rete è enorme. Che fare? In queste settimane i leader politici in campagna elettorale hanno affermato – chi più chi meno – la loro ricetta. Speriamo in fatti concreti.  

E poi c’è la guerra che non si è fermata e nuove tensioni in corso. Cosa sta succedendo nei Balcani? Un nuovo fronte caldo nel cuore dell’Europa a sei mesi dall’invasione russa in Ucraina.

Un nuovo fronte, ancora una volta, nel cuore dell’Europa. La tensione tra la Serbia e il Kosovo – e le minacce di un intervento militare da parte del presidente serbo Aleksandar Vucic a difesa della minoranza serba dalle presunte discriminazioni di Pristina – si inserisce nel quadro ormai stabile di alleanze cristallizzatosi dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dei tank russi. 

Sono trascorsi soltanto sei mesi da quel 24 febbraio, ma sembra molto di più. La guerra è diventata un’abitudine, nomi di città ucraine come Kharkiv, Bucha, Zaporizhzhia, Kramatorsk, Mariupol sono stati prima assimilati e poi quasi dimenticati sui bagnasciuga di una delle estati più calde di sempre. In tutti i sensi. Eppure esattamente sei mesi fa accadeva qualcosa di impensabile per la storia recente del nostro continente, i tank russi che cannoneggiavano sulle case delle città di un Paese europeo, l’attacco diretto contro Kiev, missili e i continui bombardamenti in nome della “denazificazione” celebrata da Putin in uno stadio pieno di bandiere e cittadini russi festanti. Facce, simboli e propaganda che ci hanno portato indietro di decenni, fino ai fantasmi di quella “Seconda guerra mondiale” che credevamo ormai sepolta in un passato lontano, mutato dalla velocità dell’era digitale. E’ invece no. E’ stata aggredita una democrazia che da anni cercava sempre più di legarsi a Bruxelles guardando a Ovest. 

Cosa sta succedendo adesso nei Balcani?

Il presidente Vucic, alleato di Vladimir Putin, ha dichiarato durante un discorso alla nazione “Salveremo il nostro popolo” esortando la Nato a fare “il proprio lavoro” nel proteggere e garantire la sicurezza della minoranza serba in Kosovo, Paese che ha ottenuto l’indipendenza proprio grazie a un intervento militare dell’Alleanza atlantica alla fine degli anni Novanta. Il presidente serbo parla poi di “persecuzione” dei serbi in Kosovo e della possibilità di trovare un compromesso da qui ai prossimi dieci giorni. 

La scintilla. Le relazioni da sempre pessime tra i due Paesi vicini sono peggiorate negli ultimi mesi dopo la decisione di Pristina di richiedere ai membri della minoranza serba di cambiare le targhe delle loro auto da quelle serbe a quelle kosovare. Così come la Serbia ha applicato una politica simile alla minoranza kosovara negli ultimi dieci anni.

Già da alcune settimane la Nato – visti i segnali di tensione – aveva aumentato la sua presenza militare nella parte settentrionale del Kosovo. A rendere il clima incandescente è, naturalmente, il coinvolgimento della Russia, alleata storica di Belgrado.

L’indipendenza della Repubblica del Kosovo (17 febbraio 2008, 1,873 milioni di abitanti), ricordiamo, non è stata riconosciuta da cinque Paesi membri dell’Unione europea: Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna. Inoltre soltanto la metà degli Stati membri dell’ONU ha riconosciuto l’indipendenza a Pristina con la forte opposizione di Russia e Cina all’interno del Consiglio di Sicurezza. Una situazione complessa e mai davvero risolta. Belgrado, di fatto, rivendica l’intero territorio come parte integrante dello Stato serbo. 

Il premier kosovaro Albin Kurti non si nasconde e già due settimane fa aveva dichiarato a Repubblica: “Rischiamo la guerra. Dietro la Serbia c’è Putin”. Dall’agosto del 2001 la Serbia ha installato intorno al Kosovo 48 basi operative avanzate, 28 dell’esercito e 20 della gendarmeria. Intanto, l’entrata in vigore dei provvedimenti legati alle targhe è stato posticipato al primo settembre, c’è ancora margine per soffocare un nuovo fronte di guerra.  Staremo a vedere.

Anche questo numero, nonostante la pausa estiva, ha visto copiosi i contributi dei nostri autori, che da gennaio 2020 non hanno mai mancato di supportare il nostro giornale che tra pochi mesi compirà tre anni di “vita”. In questo tempo abbiamo cercato, con la redazione tutta e il nostro editore Regina Resta, di proporre sempre contenuti di qualità, ma soprattutto di riflettere e far riflettere intorno a temi e questioni legate alla nostra contemporaneità. Ci stiamo riuscendo? Questo dovrete essere voi a dirlo. Ma ci auguriamo di sì! 

Hope. Nella cover lo Stephan’s Quintet, gruppo di cinque galassie situato in direzione della costellazione di Pegaso, scoperto dall’astronomo francese Édouard Stephan nel 1877 e fotografato dal James Webb Telescope che ne ha rilasciato le immagini nel luglio scorso. Hope (speranza) quindi, attesa di mondi migliori. Intanto queste meravigliose immagini “curano” una parte del nostro, ricordandoci l’immensità dell’universo e di quanti mondi lontani vi ruotano dentro. Il James Webb Space Telescope ci mette di fronte a distanze insondabili, stupefacenti, le cui equazioni, dal profondo del tempo, ci parlano di noi.

*Roberto Sciarrone, direttore responsabile di Verbum Press

Roberto Sciarrone

Direttore responsabile di Verbum Press