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Tra il mito e la storia – Felice Vinci, autore dell’Omero nel Baltico” spiega le sue ultime ricerche

Per 30 anni le ricerche su “Omero nel Baltico” di Felice Vinci, ingegnere nucleare e “storico per hobby”, hanno attirato l’attenzione di tanti appassionati di storia e attratto l’interesse di tutti coloro che sono interessati nel revisionismo storico. Secondo Felice Vinci la civiltà greca delle origini, e molti miti classici, sono arrivati nel Mediterraneo dal Nord. Cosi spiega Vinci anche le radici comuni e il patrimonio culturale che unisce tutti popoli dell’Europa. Felice Vinci condivide con i lettori di Verbum Press le novità del suo ultimo libro “I segreti di Omero nel Baltico” nel contesto delle sue ricerche iniziate circa 30 anni fa.    

– Come e quando è nato il suo interesse verso le opere di Omero?

Io sono sempre stato un grande appassionato di Omero e di mitologia – non solo di quella greca – a partire da quando (ero ancora un bambino) mi appassionai ad un bellissimo libro, Storie della Storia del Mondo, che racconta ai ragazzi la guerra di Troia: scritto da Laura Orvieto ai primi del Novecento, è uno straordinario evergreen che, dopo più di un secolo, è in pubblicazione ancora oggi. Questo interesse si è poi sviluppato frequentando il liceo classico, che un tempo era seguito molto più di adesso anche da chi poi, come me, all’università ha seguito studi scientifici.

– Quali sono i punti principali della teoria presentata in “Omero nel Baltico”?

Il reale scenario dell’Iliade e dell’Odissea è identificabile non nel mar Mediterraneo – dove dà adito ad innumerevoli incongruenze: un clima sistematicamente freddo e perturbato, battaglie che proseguono durante la notte, eroi biondi intabarrati in pesanti mantelli di lana, fiumi che invertono il loro corso, il Peloponneso pianeggiante, isole e popoli introvabili, e così via – ma nell’Europa settentrionale. Le saghe che diedero origine ai poemi omerici provengono dal Baltico e dalla Scandinavia, dove nel II millennio a.C. fioriva una splendida età del bronzo e dove sono tuttora identificabili molti luoghi omerici, fra cui Troia (nella Finlandia meridionale, a 100 km da Helsinki), Itaca (in un arcipelago danese, l’unico al mondo ad avere tutte le caratteristiche indicate da Omero) e i siti dei viaggi di Ulisse (al di fuori del Baltico, tra le coste e le isole atlantiche della Norvegia). 

Queste saghe poi furono portate nel Mar Egeo dai biondi navigatori achei, migrati dal Nord, che nel XVI secolo a.C. fondarono la civiltà micenea in Grecia. Essi ricostruirono nel mondo mediterraneo il loro mondo originario, in cui si erano svolte la guerra di Troia e le altre vicende della mitologia greca, e perpetuarono di generazione in generazione, trasmettendolo poi alle epoche successive, il ricordo dei tempi eroici e delle gesta compiute dai loro antenati nella patria perduta. La messa per iscritto di questa antichissima tradizione orale, avvenuta in seguito all’introduzione della scrittura alfabetica in Grecia, attorno all’VIII secolo a.C., ha poi portato alla stesura dei due poemi nella forma attuale. Essi, riletti in questa chiave, ci danno una testimonianza straordinaria e assolutamente unica del mondo dell’età del bronzo nordica, di cui ci rimangono bellissimi reperti archeologici ma di cui finora non avevamo nessuna testimonianza letteraria: questa rilettura dei poemi omerici – secondo cui la guerra di Troia sarebbe avvenuta prima, e non dopo, l’arrivo nel Mediterraneo degli Elleni, l’origine nordica dei quali è stata già sostenuta da molti studiosi già in passato – sposta indietro di un millennio la storia della preistoria europea! Inoltre questa nuova prospettiva potrebbe favorire un diverso approccio all’idea di unità dell’Europa, basata non più sull’economia e sulla finanza, ma anche sulla nostra eredità culturale e sulla consapevolezza delle nostre comuni origini.

– Come e perché è nato il libro “I segreti di Omero nel Baltico”?

Quasi trenta anni dopo la pubblicazione di Homericus Nuncius, il mio primo libro in cui già esponevo i risultati della mia teoria, e più di dieci dopo l’ultima revisione di Omero nel Baltico, ho sentito la necessità di tornare nuovamente sull’argomento per rivedere, aggiornare e ampliare tutta la materia, che è in continua evoluzione, sia per gli sviluppi che nel frattempo vi sono stati in campo archeologico, sia per gli ulteriori approfondimenti sul tema specifico. Ciò senza tralasciare il fatto che nel frattempo avevo trovato un nuovo editore, che mi ha garantito un prodotto di qualità anche dal punto di vista editoriale ed un’ottima distribuzione (come già era avvenuto per l’altro mio libro, pubblicato nel 2020, intitolato “I misteri della civiltà megalitica”, che è stato per mesi il primo nella classifica dei Bestseller di due importanti distributori quali IBS e Libreria Universitaria, per “Archeologia” e “Archeologia preistorica”).  

Naturalmente in questo importante rifacimento ho tenuto ben presenti i commenti degli studiosi, nonché le osservazioni e i contributi di archeologi, di storici, di geografi nonché di studiosi e ricercatori in vari altri campi e discipline, durante tutte le occasioni di approfondimento che vi sono state nel frattempo. Infatti le otto edizioni pubblicate all’estero nel frattempo (in USA, Russia, Estonia, Svezia, Germania, Danimarca, Francia e Spagna), per non parlare degli articoli di stampa, hanno consentito ad un pubblico sempre più vasto di specialisti e di appassionati di entrare in diretto contatto con questa teoria. Da qui anche i convegni internazionali dedicati all’argomento, tra cui due in Finlandia, uno presso l’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo e, più recentemente, la conferenza organizzata nel 2017 ad Atene dall’ATINER (Athens Institute for Education and Research).

Nel frattempo, un punto di svolta molto importante è stato il convegno organizzato dall’Università di Roma La Sapienza nel 2012, i cui Atti sono stati pubblicati nel numero monografico 2/2013 della “Rivista di Cultura Classica e Medioevale” (scientificamente autorevolissima in campo filologico, sia in Italia che all’estero) tutto dedicato alla mia teoria e intitolato “La Scandinavia e i poemi omerici. La parola agli scienziati, con contributi di letterati”. Ne è emerso tra l’altro il riconoscimento che questa teoria “si rivela non in contraddizione con tutte le più recenti teorie storiche e i confronti archeologici”. 

A questo punto, considerando altresì il fatto che recentemente gli archeologi hanno rilevato “sorprendenti somiglianze” tra la Grecia micenea e l’età del bronzo nordica – il che s’inserisce perfettamente nel quadro che ho delineato – per non parlare della sensazionale scoperta di una grande battaglia sul fiume Tollense avvenuta attorno al 1250 a.C. nella Germania settentrionale (che ha prodotto un gran fermento tra gli studiosi e molti ripensamenti sull’età del bronzo europea), ho ritenuto che fosse necessario e urgente riprendere il discorso dall’inizio, rivedendolo, ampliandolo e integrandolo con tutto ciò che di nuovo è emerso nel frattempo, ma anche riorganizzando dove necessario una materia che col tempo è diventata sempre più vasta e complessa.

– Quali sono le novità rispetto ad “Omero nel Baltico” in questo ultimo libro?

La continua ricerca e le discussioni con studiosi e istituzioni – ma anche con tanti lettori attenti, interessati e appassionati – hanno prodotto molte importanti novità: solo per citare qualche esempio, basti pensare alla ricollocazione dell’Ade omerico e del Capo Malea, che ha tra l’altro consentito di individuare il sito esatto della città “cretese” di Gortina (di cui l’Odissea ci ha tramandato una descrizione che corrisponde in modo straordinario all’attuale Göhren, cittadina tedesca sull’isola Rügen), per non parlare dell’altrettanto stupefacente corrispondenza, sia geografica che mitologica, di due città menzionate insieme in un verso dell’Iliade, Tarfe e Tronio, situate “sulle rive del Boagrio”, con le due località svedesi di Torpa e Tranås, affacciate a qualche chilometro l’una dall’altra su un lago la cui origine è legata ad un’antica leggenda locale, immediatamente riconducibile al suo nome omerico: Boagrios in greco significa “bue selvaggio”. Ma non meno importanti mi sembrano le novità riguardanti la “via dell’ambra” (che coinvolgono la stessa figura di Omero nella sua dimensione nordica), la nuova interpretazione del mito del Vello d’Oro con la sua ricollocazione (molto distante dall’attuale Colchide), nonché gli accenni nel mondo omerico ai miti della Fenice e della nascita di Apollo, in cui sorprendentemente si ritrovano le radici della simbologia associata al nostro albero di Natale. 

D’altronde sia nell’Iliade che nell’Odissea non mancano i passi e gli episodi che, opportunamente interpretati, consentono di delineare anche le principali caratteristiche del mondo primordiale da dove erano discesi gli antenati degli Achei cantati da Omero: in tale quadro, mi è stato possibile anche individuare la reale collocazione degli Etiopi omerici, di cui mi ero già occupato nelle edizioni precedenti, e decrittare finalmente l’enigmatica definizione che di essi dà l’Odissea: “quelli del (sole) Iperione che scende e quelli dell’Iperione che sale”, dove l’“Iperione” (Hyper-iōn, “quello che va al di sopra [dell’orizzonte]”, è il sole di mezzanotte!

E che dire delle stupefacenti relazioni tra il mondo dei Feaci, i grandi navigatori dell’Odissea, e quello degli antichi Polinesiani? Non solo: un’attenta rilettura dei poemi omerici e di altri testi, insieme con un’approfondita analisi geografica, ha consentito di trovare una collocazione del tutto inaspettata ma assolutamente plausibile anche per le Isole dei Beati e i Campi Elisi, che rappresentano l’ultima memoria di un mondo antichissimo e già mitico ai tempi di Omero, basato sulla navigazione ma ormai scomparso da millenni, di cui ci restano le tracce in miti, leggende e monumenti megalitici sparsi in tutto il mondo (su cui mi ero già soffermato nel mio precedente libro sul megalitismo).

– Nei paesi del Nord ci sono ricerche approfondite sulle narrazioni omeriche?

Che io sappia ancora no, ma è ben nota la grande prudenza con cui si muove il mondo accademico rispetto a teorie nuove, che comportano cambiamenti di paradigma di grande portata. Al riguardo, è significativo il commento su “Omero nel Baltico” da parte di Claudio Cerreti, professore ordinario di Geografia all’Università di Roma: “Ciò che qui viene messo in discussione [l’ambientazione mediterranea dei poemi omerici] non è una qualche certezza scientificamente provata, ma molto più semplicemente una tradizione, che a sua volta ha sempre posto infiniti problemi di dimostrazione: una tradizione, però, radicata e quasi connaturata alla nostra cultura, al punto da rappresentare l’unica ma insieme formidabile resistenza contro qualsiasi ipotesi divergente”.

– Il significato dei cambiamenti climatici nelle tue ricerche?

È molto importante, data l’importanza che clima e geografia hanno sempre avuto (e continuano ad avere) sulla storia dei popoli e dei loro spostamenti e migrazioni. Infatti non mancano gli indizi che il mondo artico all’estremità settentrionale della Scandinavia (che durante l’epoca neolitica, precedente all’età del bronzo, aveva goduto di un clima molto più mite di quello attuale) sia stato la sede originaria degli antenati degli Achei omerici, degli Indiani e dei Persiani (i quali nell’Avesta, il loro testo sacro, ricordano il loro paradiso primordiale distrutto dal gelo e dal ghiaccio). Ne consegue che nella mitologia greca vi sono state almeno due diverse stratificazioni temporali: quella corrispondente all’epoca dell’epos omerico, databile alla prima età del bronzo, e un’altra assai più antica, corrispondente all’età megalitica, fiorita nel Neolitico, durante la quale all’estremità settentrionale della Scandinavia si era sviluppata una civiltà arcaica favorita da un periodo eccezionalmente caldo, chiamato dai climatologi “optimum climatico post-glaciale”. Questa era stata l’epoca felice di Crono, il signore dell’età dell’oro nonché padre di Zeus, il “dio della tempesta”, che gli succedette allorché il tracollo dell’optimum climatico fece diventare invivibili le regioni dell’estremo nord, che così divennero, secondo l’Odissea che infatti vi ambienta la discesa di Ulisse all’Ade, la “terra dei morti” (per la quale in questo ultimo libro ho trovato una nuova collocazione, supportata di molti indizi, geografici e non). 

Ciò aveva costretto gli antenati degli Achei omerici a scendere verso il sud della Scandinavia e l’area baltica, dove molto tempo dopo ebbero luogo la guerra di Troia e gli eventi raccontati nei due poemi; nel contempo, gli antenati degli Indiani e degli Iranici scendevano verso le steppe dell’Asia centrale, per poi stabilirsi in India e in Iran. Ma successivamente, durante l’età del bronzo, vi fu un altro tracollo climatico, probabilmente in seguito alla catastrofica esplosione del vulcano di Thera (Santorini), intorno al 1620 a.C. (i cui effetti sono stati registrati in varie parti del mondo anche lontanissime, dall’America alla Cina): ciò spinse i discendenti degli Achei che avevano combattuto a Troia a scendere dal Baltico verso il più tiepido Mediterraneo, dove diedero inizio alla civiltà micenea, fiorita in Grecia a partire dal XVI secolo a.C.. 

D’altronde durante l’“optimum climatico” preistorico, il Sahara era, almeno in parte, una savana irrigata da grandi fiumi, i cui letti disseccati sono tuttora individuabili tramite rilevamenti satellitari (pensiamo ai graffiti rupestri del Tassili, che mostrano una fauna ben diversa da quella attuale). Dunque in quel periodo si erano sensibilmente ridotti sia il gelido deserto artico (la tundra), sia il torrido deserto tropicale, il primo ovviamente a causa del riscaldamento dell’atmosfera, il secondo perché il conseguente scioglimento dei ghiacci comportava un maggior tasso di evaporazione e di circolazione dell’umidità, con conseguenti precipitazioni anche in zone che poi sono diventate molto aride. Effetti simili, anche se più limitati, si sono verificati anche in tempi molto più recenti, durante il “periodo caldo medievale”, durato alcuni secoli a cavallo dell’anno mille della nostra èra (all’incirca dal IX al XIII secolo d.C.). 

Il raffreddamento verificatosi al finire di quest’ultimo ha portato alla crisi del XIII secolo (di cui recentemente si è occupato Alessandro Barbero) ed ha avuto effetti devastanti in varie aree geografiche: se da un lato ha segnato la fine della colonizzazione vichinga in Groenlandia, dall’altro potrebbe essere stata la prima causa del declino della civiltà islamica, in seguito alla diminuzione delle precipitazioni ed al conseguente inaridimento delle regioni comprese nelle fasce subtropicali (ad esempio, nel Medioevo Baghdad – ma pensiamo anche alla Palermo arabo-normanna – era una città enorme, ricca, bella e fiorentissima, un vero e proprio giardino). E adesso, dopo la fine della Piccola Età Glaciale (la PEG, come la chiamano i climatologi, durata fino alla metà dell’Ottocento), il clima si sta di nuovo riscaldando, il che nel prossimo futuro comporterà grandi conseguenze. 

– Quale sarebbe il legame con l’albero di Natale del mondo omerico?

In un Inno omerico dedicato ad Apollo, il grande dio solare, si racconta che Apollo, fu partorito a Delo da Latona, la quale al momento delle doglie si strinse con le braccia a una palma, puntò le ginocchia sul morbido prato e il dio venne alla luce. Ora, nel libro espongo molte ragioni per dimostrare che questa “palma” è in realtà identificabile con un abete rosso, tanto più che ad Apollo, il grande dio iperboreo, questo albero nordico calza a pennello, mentre una palma appare del tutto fuori posto. Inoltre, l’abete rosso in Francia viene tradizionalmente chiamato “l’albero del parto”: questa è proprio la situazione descritta nell’Inno ad Apollo, in cui Latona si aggrappa all’abete rosso mentre dà alla luce Apollo, il dio del sole. Dunque l’abete rosso rappresenta l’antico simbolo pagano della festa del solstizio d’inverno, che segna la nascita del sole nuovo, e ciò potrebbe essere all’origine dell’antica tradizione europea del ceppo di Natale, che veniva fatto bruciare nel camino. A questo punto è ragionevole supporre che l’origine della tradizione dell’abete-albero di Natale sia molto più antica di quanto non si sia finora creduto: essa forse è addirittura riconducibile alla civiltà degli Achei nordici prima della loro migrazione nel Mediterraneo! In effetti, riguardo alla sua provenienza, gli studiosi propendono per l’area della Germania o della Livonia, una regione del Baltico orientale dove, come tengo a sottolineare nel mio libro, nel folklore e in certe tradizioni si mantiene tuttora ben viva la memoria della mitologia greca.

*Ülle Toode, giornalista

Ulle Toode