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Roma Pride 2022: la comunità LGBTQIA+ torna a fare rumore

Dopo due anni di silenzio provocati dalla pandemia, l’11 giugno 2022, le strade di Roma sono tornate a riempirsi di colori in occasione del Roma Pride. Un Pride che ha visto la partecipazione ingente di ben 900.000 persone, tra cui anche il Presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti e il Sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Un gesto importante e significativo quello del Sindaco Gualtieri che, oltre a confermare il suo impegno nella lotta ai diritti della comunità arcobaleno, ha scelto di portare lo striscione “Torniamo a fare rumore”, motto del Pride 2022 dedicato a Raffaella Carrà. Accanto alle rappresentanze politiche, anche il mondo della musica ha schierato in campo Elodie, madrina del Roma Pride 2022, dimostratasi orgogliosa e emozionata per essere stata scelta dalla comunità per ricoprire un ruolo così importante. Tuttavia, nonostante il successo raggiunto dal Roma Pride, è importante continuare a lottare e fare rumore, prima di tutto per essere in grado di controbattere a chi ancora pensa: “Che senso ha il Pride? Perché festeggiarlo? E solo una festa di debosciati e gente mezza nuda”. Ecco, per tutti coloro che dovessero affermare ciò, basta rispondere con piccoli punti storici e culturali che li metteranno a tacere. Innanzitutto, il Pride non è semplicemente una “festa” ma è anche una festa. Principalmente il Pride è una rivendicazione storica nata dai “Moti di Stonewall”, una serie di violenti scontri fra gruppi omosessuali e la polizia di New York avvenuti 27 giugno 1969 all’interno dello Stonewall Inn, un bar gay in Christopher Street nel Greenwich Village, quartiere del distretto di Manhattan. Quindi, il Pride è sì una festa ma una festa nata dal sangue di uomini e donne che hanno combattuto per i loro diritti. Inoltre, basta guardare ai preoccupanti dati sul riconoscimento dei diritti in Italia per capire l’importanza di continuare a celebrare il Pride. Oltre a ciò che successo meno di un anno fa con l’affossamento del Ddl Zan in Senato, l’Italia, con il suo 25% per il rispetto dei diritti umani delle persone gay, lesbiche, bisessuali, trans e intersessuali, si ferma solo al 24esimo posto della classica fatta da ILGA (International lesbian and gay association) su un range di 49 paesi tra Europa e Asia Centrale. In sintesi, l’Italia non è ancora un paese “queer friendly” e, nonostante le parate che ci aspettano sono ancora tante, se si continua a “fare rumore”, forse qualcosa alla fine cambierà.

*Arianna Di Biase, giornalista

Arianna Di Biase