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Il presente che blocca il futuro… Così in cielo come in terra

>> bolle spaziali

Dal maledetto 24 febbraio, nella mia testa è fissa l’immagine che vedete in questo articolo: il comandante dell’Apollo 18 (USA), Tom Stafford, e il comandante della Sojuz 19 (Unione Sovietica), Aleksej Archipovič Leonov, che si abbracciano nel loro incontro spaziale previsto dall’Apollo-Sojuz Test Project, anno 1975. Sul mio canale trovate una pillola dedicata a questa storia, il cui titolo è esplicativo: “La Scienza vince sulla guerra: dall’ Apollo Soyuz Test Project alla ISS”. Sulla Terra eravamo ancora in piena guerra fredda ma lassù, nello spazio, da cui la Terra appare senza confini, splendida e luminosa, eravamo già avanti, proiettati verso il futuro. USA e Unione Sovietica iniziarono una collaborazione che con qualche pausa arrivò fino alla progettazione e alla creazione della nostra splendida Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e che continua ancora…Ma per quanto?

Mi mette paura soltanto scriverla questa domanda ma, purtroppo, è una delle tante che ci si sta ponendo dal dannato 24 febbraio scorso, quando la vita di milioni di persone è stata sconvolta, spezzata, distrutta, senza poter far nulla. Io non ho conoscenze di geopolitica, non sono una giornalista che può raccontare la cronaca di questa guerra assurda ma da scienziata posso darvi un’idea di quanto tutto ciò che sta accadendo sulla nostra Terra, stia sconvolgendo anche lo Spazio, di cui facciamo parte. Ovviamente non posso e non voglio paragonare una vita umana a una missione (o un esperimento) spaziale ma ricordiamoci sempre che lo Spazio è il nostro futuro, in un modo o nell’altro. Bloccare la ricerca lassù, significa fermare il tempo quaggiù e questo, se non oggi, lo pagheremo tra qualche anno. Ma cerchiamo di fare ordine.

L’astrofisica e la ricerca spaziale sono da sempre caratterizzate dall’ alternarsi continuo di competizione (sana) e collaborazione. Le varie agenzie spaziali, dalla NASA (USA) all’ESA (Europa), dalla Roscomos (Russia) alla JAXA (Giappone), sono agenzie “pubbliche”, nel senso che vengono finanziate dai rispettivi Stati. Questo comporta sia garanzie, ovviamente, che problematiche. Queste ultime possono essere di tipo economico, legate alla decisione degli Stati di diminuire i fondi riservati a ognuna, che di tipo politico, come è accaduto durante la guerra fredda e come sta accadendo anche in queste ultime settimane. In un mondo ideale dovrebbe essere solo la scienza a decidere se sia la collaborazione a dominare sulla competizione, o viceversa; nella realtà, invece, la decisione è in buona percentuale politica. In queste ultime settimane, tale percentuale si avvicina al 100%. Vediamo insieme alcune delle conseguenze di quanto sta accadendo. E ribadisco, soltanto alcune perché la questione è ancora più ampia di quanto vado a raccontare. 

L’Europa più lontana dallo spazio e dal Pianeta Rosso – Purtroppo è un dato di fatto. Partiamo dalla missione Exomars, ricordate? Ne abbiamo parlato in un paio di numeri passati: inizialmente programmata per il 2020, a causa di alcuni problemi nei test e della pandemia, è stata rimandata al settembre di quest’anno. Purtroppo, la situazione che si è venuta a creare ne ha causato un ulteriore rinvio (2024, perché la “finestra di lancio” per il pianeta rosso si ripete più o meno ogni due anni) se non la cancellazione definitiva. Il motivo è che nasce come missione di appartenenza di ESA e Roscosmos, Europa e Russia. Russo è il razzo che avrebbe dovuto portarlo nello spazio (il PROTON M), russo il lander che avrebbe fatto atterrare il rover Rosalind Franklin (il primo dedicato a una donna) e russi tre degli strumenti a bordo. Da qui la decisione del Consiglio Generale dell’ESA (16-17 marzo scorsi) di rinunciare a partire. La Russia ha poi sospeso la collaborazione con lo spazioporto europeo a Kourou, in Guyana Francese. Questo ha comportato l’annullamento di diversi lanci previsti con vettori Sojuz (gli unici commercializzati dalla Russia e gestiti anche dalla europea ArianeSpace) tra cui quello di due satelliti Galileo, il progetto europeo alternativo al GPS americano. Dmitry Rogozin, capo di Roscosmos, ha successivamente ricattato la società londinese One-Web, chiedendole di vendere le azioni in cambio dell’utilizzo del vettore Sojuz per lanciare i suoi satelliti. La One-Web, che sta creando una rete satellitare per la connettività ad alta velocità in tutto il mondo (facendo concorrenza alla Space-X) ha però preso la decisione di non cedere, rinunciando ai lanci. L’alternativa più realistica per non dover cancellare questi due importanti progetti europei, sembrava fare affidamento sullo sviluppo del razzo europeo Ariane 6, inizialmente previsto per fine del 2023 ma la cui preparazione nelle ultime settimane ha subito un’accelerazione. In realtà, vedremo più avanti, la soluzione che si adotterà è un’altra inaspettata.

Insomma, l’Europa ha subito un fortissimo blocco nel settore spaziale, sia per la ricerca scientifica pura che per la tecnologia più strettamente legata alla nostra Terra. Oggi non ci rendiamo conto di quanto questo significhi ma proviamo a immaginare un mondo in cui, una guerra o un qualsiasi altro grave avvenimento, avesse bloccato il lancio del primo satellite mai realizzato. Vi dico una conseguenza per tutte: non esisterebbe internet.

La Stazione Spaziale Internazionale a rischio – Com’era prevedibile, i primissimi scambi “spaziali” dopo l’inizio della guerra sono stati legati alla ISS. In particolare, Rogozin avrebbe minacciato sul suo canale telegram di provocare un deorbiting della stazione spaziale: in poche parole, una lenta caduta verso la Terra. In realtà, non c’è stata una minaccia vera e proprio ma il capo di Roscosmos ha “solo” ricordato che per mantenere la ISS in orbita, sono necessari i propulsori presenti su capsule e moduli russi. Per quanto sia stato un chiaro avvertimento in risposta alle sanzioni inflitte alla Russia, risulta ben diverso da un’effettiva minaccia di far cadere la ISS. Avvertimenti, comunque, che continuano anche oggi in proporzione all’aumento delle sanzion. E’ comunque un fatto che, come abbiamo detto, la stazione spaziale nasce da una collaborazione tra USA e Unione Sovietica, anche se da tempo allargata all’Europa, al Giappone e ad altri paese. Dal pensionamento dello Space Shuttle nel 2011, fino al novembre 2020 in cui è partita la prima capsula Dragon della Space X, soltanto le sonde Sojuz potevano trasportare uomini sulla ISS e riportarli a Terra. E l’ultimo ritorno, che c’è stato lo scorso 30 marzo, è stato appunto effettuato con una Sojuz, la Ms-21, nella quale erano presenti i due cosmonauti Pyotr Dubrov e Anton Shkaplerov e l’astronauta americano Mark Vande Hei che, visto il momento, potrebbe essere l’ultimo americano ad aver volato con una Sojuz. Un altro problema fondamentale è la collaborazione scientifica a bordo: moltissimi esperimenti che si portano avanti nella ISS sono in comune tra diversi paesi. Il 3 marzo scorso, in risposta alla decisione dell’agenzia spaziale tedesca (la DLR) di interrompere qualsiasi operazione congiunta o collaborazione con la Russia, Roscomos ha fermato i progetti scientifici congiunti nella ISS, in cui si trovava e si trova ancora l’astronauta tedesco Matthias Maurer. In generale, è altamente a rischio l’accordo che prevede di mantenere attiva la ISS fino al 2025: è vero che si aveva già in programma di dismetterla ma farlo in questo modo e prima del tempo sarebbe un danno epocale per quello che riguarda esperimenti fondamentali, dal riciclaggio, alla ricerca sull’alzheimer, alla ricerca sugli effetti delle radiazioni sul corpo umano.

Il ruolo dei privati – Ormai sappiamo che le aziende private hanno un ruolo sempre più importante nella ricerca spaziale, potremmo dire necessario. Affermazione dimostrata proprio in questo momento terribile. Elon Musk, fondatore della Space X, ha risposto per primo al messaggio di “minaccia” di Rogozin relativo al deorbiting della ISS. Come? Col semplice logo di Space X. Niente di più. Ed è vero: in questi anni, i vettori Falcon 9 e le capsule Dragon targate Space X, hanno permesso all’America di avere di nuovo un canale indipendente dalla Russia per la ISS (e non solo) e, nel caso dovesse servire, potrebbe sostituire i moduli russi necessari alla sua propulsione. Speriamo non serva, ma sapere che potrebbe esserci una soluzione aiuta sicuramente. Non solo. In risposta al vice primo ministro ucraino Fedorov che il 26 febbraio chiese a Musk di occuparsi anche dell’Ucraina oltre che di Marte, il magnate ha inviato tutto il necessario per permettere al paese di connettersi alla sua rete Starlink in caso divenisse necessario a causa di malfunzionamento o disattivazione delle reti tradizionali. Rete attualmente funzionante e utilizzata in Ucraina. Per finire, anche tra privati si arriva alla collaborazione (per fortuna): il 21 marzo scorso Space X ha reso disponibili i propri Falcon 9 per lanciare i satelliti della One-Web, sua diretta concorrente. 

Gli esseri umani – Voglio chiudere questo articolo con una nota ottimistica nello sfacelo totale che ci sta circondando. Mentre ai vertici sta accadendo quanto abbiamo descritto, per quel che riguardo tutti gli altri esseri umani coinvolti negli esperimenti e nelle missioni spaziali, il segnale è di tutt’altro tipo. Proprio nei giorni delle minacce di Rogozin relative alla ISS, l’equipaggio che era a bordo (Expedition 66) era costituito da quattro astronauti americani (Raja Chari, Thomas Marshburn, Kayla Barron, Mark Vande Hei), uno tedesco (Matthias Maurer) e due cosmonauti russi (Pyotr Dubrov, Anton Shkaplerov). Costoro hanno continuato a coabitare in questo “piccolo” laboratorio orbitante e a collaborare per quanto possibile e, soprattutto, per quanto permesso.  Successivamente, la Sojuz MS-21 ha portato a bordo i membri dell’ Expedition successiva, la 67, i tre cosmonauti Oleg Artemyev, Denis Matveev, Sergey Korsakov che hanno fatto notizia per le loro tute giallo-blu. Tante sono state le elucubrazioni relative a questi colori ma probabilmente non sapremo mai la verità. Quello che sappiamo di certo è che americani, europei e russi continuano la loro vita spaziale insieme. E la finiscono anche, perché proprio il 30 marzo, l’astronauta americano Mark Vande Hei è tornato a Terra con i due cosmonauti, Dubrov e Shkaplerov, con la stessa Sojuz MS-21 che ha portato a bordo i loro colleghi, atterrando in Kazakistan, come di consueto, accolto in modo amichevole, come di consueto.

Insomma, quando ci si allontana dai giochi politici e di potere, che purtroppo hanno un ruolo pesantissimo anche sulla scienza, gli esseri umani “spaziali” continuano a tenersi per mano cercando di non mollare la presa, tentando di salvare quello che è e sarà il nostro futuro. Solo in questo modo, infatti, quando finalmente tornerà un barlume di speranza sulla Terra, nello Spazio saremo pronti a renderlo più acceso.

Martina Cardillo