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Bambini soli in fuga e giornalisti coraggiosi

>> #PilloleDiEmozioni

Le sirene, le bombe, la fuga e il dramma di vivere tutto questo da soli, non accompagnati, senza mamma e papà, il dramma nel dramma. Il flusso dei bambini in fuga dall’Ucraina è incessante. Migliaia e migliaia di minori, troppo spesso non assistiti, si stanno riversando nei Paesi di frontiera e chiamano le istituzioni a garantirne non solo l’accoglienza, ma la protezione dai trafficanti e dal giro delle adozioni illegali. Dalle cancellate di confine, accompagnati dai militari polacchi e, spesso, dai giornalisti, arrivano i minori in fuga dalla guerra. Siamo tutti consapevoli di essere giunti alla fine di un’epoca e che un’altra sta per cominciare. Preoccupati per un futuro che si presenta incerto, e apparentemente privo di direzioni, ci accingiamo a lasciare un passato, tuttora presente, intrappolato in una mole di problemi ambientali, sociali, economici, dai quali dovremmo svincolarci per progettare un nuovo modello di vita. Secondo i dati forniti dall’Unicef, oltre un bambino su due ha lasciato l’Ucraina. Una situazione mai vista, ammette il portavoce dell’Unicef, quasi impossibile da affrontare. Sono i bambini, dunque, così come le donne e gli anziani, il volto più triste e incomprensibile dell’invasione russa. Al confine arrivano infagottati per proteggersi dal freddo. I più piccoli sono sul passeggino, i più grandi non si staccano dal calore delle mamme. Quello dei minori, specialmente quelli che arrivano senza i papà, ma senza neppure le mamme, è un tema molto delicato sul quale si concentrano le attenzioni di numerose associazioni e organizzazioni per la tutela dei loro diritti.  La guerra sta portando ad una massiccia ondata di rifugiati in tutta Europa. Venendo all’Italia, una più grave preoccupazione riguarda proprio i minori non accompagnati. Se non vengono presi in carico dalle istituzioni rischiano di finire in mano ai trafficanti di organi, vittime di tratta (nuova schiavitù del terzo millennio), o entrare nel business degli affidi e delle adozioni illegali. Bisogna far arrivare emozioni dissuasive all’invasore, ma come si fa? Uno dei modi per vivere la guerra non da spettatori sul divano e comprendere la sofferenza causata dalle armi, è affidato a giornalisti sul campo, che vivono dove è pericoloso vivere, ci fanno diventare un “noi” accanto a chi piange, chi muore, chi soffre, chi non ha acqua, non ha pane, aggrappato solo alla testarda speranza che il futuro non sia finito. Sono gli inviati speciali che non analizzano seduti e comodi, ma raccontano consapevoli del rischio, tutto ciò che vedono e vivono, sperando di essere protetti dalla scritta “press” sul giubbotto. Uno scudo fragile, che non protegge dal cecchino o da un mortaio, come purtroppo è successo diverse volte. Taluni dicono: “Se la Russia smette di combattere finisce la guerra, se l’Ucraina smette di combattere finisce l’Ucraina”. Senza i giornalisti che si calano nell’umanità violentata, saremmo soltanto spettatori remoti della scena bellica. Non sono i robot o altri congegni telematici che possano farci capire e commuovere nel profondo. Occorre qualcuno con il coraggio di mescolare il proprio sudore a quello del prossimo, occorre chi raccoglie i feriti, con lamenti veri, diversi dalle fiction sempre a lieto fine. Serve chi riesce a far ridere un bambino a piedi scalzi nel fango nevoso, Qualcuno che abbia le stesse paure degli abitanti di Kiev; è questa la paura che rende tutti concittadini. I giornalisti, in televisione, fingono tranquillità, scambiabile, a volte, con la spavalderia. Ma chiusi i collegamenti con le redazioni centrali (e con le nostre case), hanno voglia di piangere, piegati dall’inesorabile pesantezza della guerra. Per ritornare alla problematica dei minori, i bimbi arrivati sul suolo italiano non possono né essere adottati né essere affidati. Lo Stato ucraino sta assegnando loro, nell’ambito del possibile, dei tutori, e dovranno rientrare in Patria, quando la situazione sarà sotto controllo. Pertanto, la loro permanenza in Italia andrà gestita soltanto dalle associazioni di accoglienza temporanea, per proteggerli dall’illegalità. Questa è, indubbiamente, una notizia piacevole in mezzo al guado del dramma.

Concludo con due mie brevi liriche: “Male, perché esisti e crei diversità negli eguali? Evidenzi delirio di potenza; la fantasia greve che t’impregna il cervello non è connessa al cuore, sai tu pronunziare la parola amore? Ahinoi, v’è costrizione e dolore”. Per finire:

“Stasera son molto triste, le lacrime mi rigano il viso, busso alle porte del Paradiso e nessuno risponde; come mai? Eppure mamma e papà li hanno portati là, anche se faccio brutta figura ora scappo, ho paura”.

Sergio Camellini