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Effetti psicologici del Covid19, tra isolamento sociale e vita reale

Quant’è cambiata la nostra percezione del mondo?

L’impatto psicologico dell’esperienza della quarantena a cui ci ha costretti il Covid-19 è stato a dir poco totalizzante ed ha sortito l’effetto detonatore di una bomba, mettendo forzatamente “in pausa” le abitudini del mondo intero. Vite interrotte che porteranno per lungo tempo i segni di questo momento storico epocale.

L’isolamento sociale totale, imposto nel periodo di estrema emergenza dalle misure di sicurezza, ha inevitabilmente intaccato il modo di vivere di ciascuno di noi, modificando la nostra percezione del mondo.

È inevitabile che gli equilibri psichici, poco stabili già prima della pandemia, abbiano sofferto maggiormente l’impatto di un simile evento.

Molti hanno lamentato disturbi afferenti alla sfera dell’umore, alterazioni del ritmo sonno-veglia, irritabilità. Stati ansiosi e spunti depressivi hanno completato il ventaglio dei disordini psicofisici in cui tante persone si sono riconosciute.

Il Covid ha imposto una convivenza coatta h24 genitori e figli, ha obbligato gli adulti ad un confronto senza filtri con il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza. Irrompendo, talora, con la forza distruttiva di un uragano, il Covid-19 ha sbriciolato in un lampo la stabilità di intere costellazioni familiari, lasciando affiorare impietosamente tutti i “non – risolti” e scoprendo spietatamente le fragilità di ciascuno.

Le città erano, in quei giorni sospesi e onirici, spaventosamente deserte e silenziose come quelle degli incubi post-apocalittici del peggiore dei film horror. 

È mancata la fase di elaborazione del lutto per i familiari delle numerose vittime del Coronavirus, mostro invisibile che ha strappato all’improvviso persone alla vita ed agli affetti.

È mancato il lavoro a tanti, che si sono ritrovati dalla sera alla mattina a non aver più nulla da mangiare.

C’è stata la DAD, vera e propria rivoluzione copernicana in una scuola che è passata dall’800 all’iperspazio in un battito di ciglia, a cui il Covid ha privato i suoi maturandi del suono dell’ultima campanella, dei lucciconi di fine anno e degli abbracci e delle foto con i prof ed i compagni. 

Scarsamente si è parlato dell’impatto psicologico che l’evento pandemico ha impresso su questi ragazzi.

Ciascuno ha vissuto una quarantena diversa dall’altro, in ragione della qualità del clima affettivo e familiare che hanno respirato in questo tempo dilatato.

Timanfaya Hernandez del Collegio Ufficiale degli Psicologi di Madrid chiama “Sindrome della Capanna” questo rinnovato gusto per una vita “slow”, che lascia assaporare la bellezza del tempo e dell’attesa nella tranquillità casalinga, ma mette in guardia dagli aspetti negativi che le fanno da contraltare.

Ed infine, in un primo ritorno di semi-normalità, un fiorire di egoismi vari, di superficialità e di meschinità motivati dall’irrazionale ed illogica ostinazione a continuare la vita di sempre nonostante la pandemia in atto. Di nuovo contagi e ricoveri finché, con l’arrivo del vaccino, sono cominciate nuove faide guelfi – ghibellini, pro vax vs no vax.

Galimberti a ragion veduta definisce la nostra “l’epoca delle passioni tristi”, dove le autorità e le agenzie educative vengono spudoratamente derise e irrise e la regola viene percepita sempre come limitazione e ostacolo e mai come tutela e garanzia della propria ed altrui libertà.

Una società “adultescente” per citare Ammaniti, che non vuole diventare grande, non tollera la frustrazione e non è in grado di intuire, al contrario, le potenzialità intrinseche alle difficoltà che vive. Non è, sostanzialmente, in grado di crescere.

Che non è in grado di maturare l’arte psicologica di trasformare la fragilità in opportunità: l’arte della resilienza.

È l’abilità dell’ostrica di trasformare il dolore in una perla di rara bellezza, che, senza strepitare, lavorando giorno dopo giorno sulla pietruzza che la ferisce, è la volontà della ginestra di attecchire sulla roccia più aspra per offrire lo spettacolo del suo tenace fiore, è la caparbietà della spada che si tempra nella fiamma battuta dal martello.

*Jean-Pierre Colella, docente

*Nicoletta Romanelli, docente

Nicoletta Romanelli