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Caronte dantesco

La presentazione di Caronte è uno stilema di rara efficacia descrittiva ed espressiva

Nell’anno dedicato a Dante, si celebra qui il sommo Poeta con una breve riflessione su Caronte. Nella mitologia classica era figlio di Erebo e della Notte e traghettava i morti da una sponda all’altra dell’Acheronte, per immetterli nell’Ade. 

Nel descrivere il personaggio Dante segue l’Eneide di Virgilio: il nocchiero della livida palude, si presenta imprevedibile e iroso. L’antico pelo mette subito in risalto l’orrida plasticità del fisico asciutto, nerboruto, indebolito dall’età. Il suo carattere, però, è fermo, forte, inflessibile e svolge il compito con determinazione. Il paesaggio dell’Antinferno è squarciato dal suo urlo crucciato e imperioso e le anime, lasse e nude, prima che compaia Caronte, avvertono il senso angoscioso delle sue parole, che cadono minacciose, e, in attesa del loro destino sono sconvolte. Le urla disumane lacerano lo scenario, che, attraverso lo fioco lume e l’attesa ansiosa, ispirava già un senso di disagio. 

La presenza di Caronte rende drammatica la scena, anima la disperazione. La bestemmia dei dannati intenerisce l’elegiaco pianto delle anime condannate e l’orrore del paesaggio riempie l’aria di angosciosa attesa; la giustizia divina incute timore anche in Dante, non ostante le rassicurazioni di Virgilio. 

La presentazione di Caronte è uno stilema di rara efficacia descrittiva ed espressiva: include in sé il senso di orrore, di sconforto, di disperazione. Attraverso il personaggio si avverte subito lo squallore del luogo in tutta la complessa e ordinata estensione. A differenza di altri personaggi, Caronte è stigmatizzato da una lunga e significativa perifrasi, da una metafora di grande valore espressivo: un vecchio, bianco per antico pelo. La scelta non è casuale, ma ha la sua ragione semantica e stilistica, concretizzata nel significativo lessema vecchio, con studiata sfumatura di ribrezzo. Tutto il verso è caratterizzato dall’onomatopeica, che, mediante la presenza anaforica della r, conferisce alla scena un plastico e sconcertante realismo. 

Dante nella descrizione priva Caronte delle caratteristiche ripugnanti e grottesche, che si incontrano in Aen. VI, 298-301, dove Virgilio lo presenta con il crudo realismo, che poteva vedere nell’orrida plasticità delle grottesche raffigurazioni, date dagli Etruschi, per i quali il personaggio era il demone dell’Averno. 

Caronte in Virgilio e in Dante è un essere mostruoso e, almeno all’inizio, silenzioso. È rappresentato con immagini descrittive e realistiche di rara efficacia e plasticità, in funzione dell’orrore e dell’angoscia, che deve trasmettere alle anime, in attesa d’essere traghettate. Impersona il demonio, che ottempera al compito assegnatogli da Dio ed è agli antipodi dei pusillanimi di qualche scena addietro.

Oltre ad essere severo nocchiero, è anche funesto ammonitore dei dolori e dei lutti, desinati ai dannati. Il suo grido, anime prave, è emblematico e introduce molto bene la nuova scena, che si tinge di colori sempre più foschi. 

Per la sua funzione Caronte è un personaggio vivo e palpitante, circonfuso dell’atmosfera poetica, che ammanta l’Inferno. Con la sua arte Dante crea un personaggio nuovo, che si innesta sull’antico, per vivere presso i posteri come essere soggetto al volere di Dio. Compie lo stesso lavoro di sempre, ma ora con un fine diverso. Dante sulla scia dell’interpretazione figurale, dettata dai padri della Chiesa, i quali vedevano nelle divinità pagane un’anticipazione dei demoni infernali e dei diavoli, accoglie Caronte nella veste tràdita dagli antichi mitografi e gli imprime un corso diverso. Nell’Inferno dantesco Caronte esegue la volontà di Dio: suo compito è escludere le anime dannate dalle gioie del paradiso, mediante il severo monito: non isperate mai veder lo cielo.

*Orazio Antonio Bologna, filologo classico

Orazio Antonio Bologna