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Saffo, la poetessa per la quale nulla è più bello di ciò che si ama

Ognuno di noi, a cui piaccia la poesia, si crea una piccola raccolta di versi preziosi che diventano la sua antologia prediletta e che non obbediscono a limiti di tempo o regole di scuola, ma seguono solo un gusto personale per affinità empatiche con certi poeti.

Per me che amo scrivere versi con cui la fantasia può costruire un mondo suo, Saffo è la poetessa preferita, giunta da lontano dei secoli così mutilata e pur così completa come lirica pura.

Mi sembra pari agli dei

quell’uomo che di fronte a te

siede, e da vicino ti ascolta

mentre tu dici dolci parole

e amorevole sorridi. Davvero a me questo

il cuore fa sussultare nel petto:

non appena per un attimo ti guardo

non ho più voce,

la lingua è rotta, fuoco sottile

subito è diffuso sotto la pelle,

con gli occhi nulla più vedo,

un rumore mi ronza nelle orecchie,

sudore freddo mi avvolge.

Un tremito tutta mi prende,

sono più verde dell’erba,

mi sento poco lontano dalla morte

ma tutto bisogna sopportare.

– ode 31 di Saffo 

Tutto quello che ci è rimasto di lei è essenziale e consono alla sensibilità moderna proprio perché i suoi temi sono profondamente umani, al di fuori del tempo, per questo sempre attuali. Ci sono leggende perfide e gentili su questa poetessa di Lesbo, vissuta a Mitilene che si dedicò al culto del bello e all’educazione più raffinata delle fanciulle. Si parlò della sua bellezza e della sua deformità. Della sua ardente passione per Faone e del suo disperato salto dalla rupe di Leucade, per martirio d’amore. Ha poca importanza quella che è stata leggenda.

Lasciamo pure che i comici ateniesi l’abbiano coperta di infamia mentre il contemporaneo Alceo la soprannominò “pura e divina”; oltre la favola resta la poetessa con quel tanto di indefinito che la rende più suggestiva per certi versi librati a mezz’aria, con accenni che ci lasciano sorpresi e si perdono nell’atmosfera simili ad accordi di pianoforti smorzati e sonori per un abile gioco di pedali.

E’ di questa Saffo che ebbe forse maggiore conoscenza il Pascoli nel suo “Solon”; quella fanciulla che reca da Lesbo due canti al vecchio saggio e che nell’amore si consuma nella morte s’eterna, mi pare sintetizzi davvero l’opera della decima musa. L’amore, per lei, era tale smarrimento che “poco è più morte” come avrebbe detto Dante; quella beatitudine di trovarsi di fronte all’amato, a sussurrare dolci parole, quel sapersi adorata e contemplata le dona un brivido di estasi: ma è sofferenza. “Povera Saffo” la brama di annientarsi, appare in una lirica di addio per una giovane che lascia la sua scuola: “Oh davvero vorrei essere morta” incomincia e poi risogna le ore liete tra fiori, unguenti e ghirlande.

Il motivo del distacco è frequente in lei che si affeziona alle allieve e poi le vede partire ciascuna pe r la sua strada.

Il mondo la poetessa lo vede a modo suo ad occhi socchiusi; in una piacevole sensazione di leggero stordimento, di sopore come danno i profumi; c’è morbida sensualità orientale e ingenuità greca; lei è donna e fanciulla allo stesso tempo, piange per l’adolescenza che passa.  Le sue meditazioni che sono sospiri spuntano quando la natura è più calma, nella notte al tramonto della luna o quando appare in cielo Vespero, o mentre la pioggia batte sui rami del melo e un vago torpore offusca i pensieri.

Lirica grande quella di Saffo, vibrante e calda; ad apertura di libro reca sempre un messaggio ed ha il fascino di certe brevi composizioni cinesi; anzi i motivi sono a volte gli stessi, e si può quindi dedurre che le corde del sentimento umano varcano i limiti del tempo e dello spazio perché il cuore è sempre lo stesso.

Non le manca l’ingenua malizia   e l’orgoglio del suo sesso, come in quel “Pomo dimenticato” che simboleggia certo una troppo   ardua   conquista per uomini volgari.

Del resto per lei nulla è più bello di ciò che si ama; non eserciti di cavalieri, non flotte, non eroi che combattono; 

«C’è chi dice sia un esercito di cavalieri, 

c’è chi dice sia un esercito di fanti,

c’è chi dice sia una flotta di navi sulla nera terra

la cosa più bella, io invece dico

che è ciò che si ama»

perfino Elena scelse, fra tanti, Paride, e dimenticò ogni altro affetto sia dei genitori, sia del marito, sia della figliola.

Tale è la potenza di Afrodite a cui la poetessa dedicò un inno giuntoci quasi intero.

«Afrodite eterna, in variopinto soglio,

Di Zeus fìglia, artefice d’inganni,

O Augusta, il cor deh tu mi serba spoglio,

Di noie e affanni.

E traggi or quà, se mai pietosa un giorno,

Tutto a’ miei prieghi il favor tuo donato,

Dal paterno venisti almo soggiorno,

Al cocchio aurato

Giugnendo il giogo. I passer lievi, belli

Te guidavano intorno al fosco suolo

Battendo i vanni spesseggianti, snelli

Tra l’aria e il polo,

Ma giunser ratti: tu di riso ornata

Poi la faccia immortal, qual soffra assalto

Di guai mi chiedi, e perché te, beata,

Chiami io dall’alto.

Qual cosa io voglio più che fatta sia

Al forsennato mio core, qual caggìa

Novello amor ne’ miei lacci: chi, o mia

Saffo, ti oltraggia?

Se lei fugge, ben ti seguirà tra poco,

Doni farà, s’ella or ricusa i tuoi,

E s’ella non t’ama, la vedrai tosto in foco,

Se ancor nol vuoi.

Vienne pur ora, e sciogli a me la vita

D’ogni aspra cura, e quanto io ti domando

Che a me compiuto sia compi, e m’aita

meco pugnando.»

Saffo assiste le fanciulle, le educa ad ogni arte amabile, è fedele alle Grazie, odia ogni volgarità.

Saffo amò Gongilla graziosa nella sua tunica bianca e che fa tremare chi la guarda; Saffo disprezzò la contadina che non sapeva neppure tener alzata la veste con grazia sopra le caviglie.

Quel mondo ideale che il Foscolo desidera nelle “Grazie” glielo ispira la fanciulla di Lesbo. Per questo amo la sua poesia, anticipazione di atteggiamenti romantici, colti nella loro giusta proporzione, senza sdolcinature, né svasature; passione e sentimento dominano nei suoi versi ma non v’è monotonia alcuna né ripetizioni, perché infinite sono le sfumature che passano da una tonalità ad un’altra, attraverso modulazioni ricche di sorprese e di risorse.

E’ semplice nel modo di esprimersi, è musicale nella scelta delle parole, è serena e sconcertante, è pacata e torbida; non vede nel mondo altro che freschezza e immagini di commozione; non conosce che delicatezza, non vibra che di speranza anche nella malinconia.

Non imita nessuno e da lei attinsero ispirazione i più grandi scrittori come ad una fonte pura e cristallina; in tutta la lirica posteriore si trovano echi della sua voce: da Catullo a Rilke, dai Francesi del secondo ottocento ai nostri ermetici con Quasimodo che quasi a ritrovare se stesso le dedicò il suo amore di traduttore e di poeta.

*Regina Resta, editore Verbumpress

Regina Resta