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Il mito degli anni 80’. Tra Stephen King e Netflix

“Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, ma chi li ha?” scrive Gordon “Gordie” Lachance, ormai adulto nell’ultima scena del film “Stand by me – Ricordo di un’estate” di Rob Reiner.

Quelle parole, dense di significato, ricapitolano l’avventura che Gordie ed i suoi compagni vivono nella calda estate del 1959.

La vicenda si sviluppa intorno al tema del viaggio che quattro amici dodicenni intraprendono da Castle Rock, piccola cittadina di provincia dell’Oregon in cui vivono, alla ricerca del corpo (“The body” il racconto di Steven King a cui si ispira il film) di Ray Brower, loro coetaneo scomparso nel bosco. 

Protagonista e voce narrante è Gordie Lachance, fratello minore di Denny, prototipo del bravo ragazzo americano, brillante negli studi e promettente giocatore di baseball, che muore prematuramente in un incidente. 

L’ingombrante memoria del “figlio perfetto” incombe sulla vita di Gordie come inarrivabile termine di paragone. Pur essendo dotato di una straordinaria capacità di raccontare storie, è, però, l’esatto opposto di Denny e si sente trascurato dai genitori. Particolarmente controverso il rapporto con il padre.

Altri membri della crew sono Chris Chambers, fratello di “Caramello”, bullo della banda del paese e per questo mal visto dai concittadini , Teddy Duchamp, stravagante figlio di un reduce di guerra che avrebbe combattuto nello “Sbarco in Normandia”, ma in realtà malato di mente e violento, e Vern Tessio, classico ragazzotto in sovrappeso, impacciato e maldestro.

Durante l’ultima estate che trascorrono insieme prima di approdare al ginnasio, i ragazzini avranno occasione di confrontarsi con le proprie fragilità e con la paura di crescere, vivendo il tempo del viaggio come una sorta di rito di passaggio all’età adulta. La rivalità con la banda dei bulli, capeggiata da “Asso” Merrill, porterà il gruppo ad acquisire cognizione della propria maturazione.

Il gruppo, inteso come spazio transazionale, per parafrasare una famosa metafora di Winnicott, conduce ad una presa di consapevolezza delle proprie debolezze ma suscita nei quattro preadolescenti, dal destino già segnato in piccola cittadina di provincia, una gran voglia di riscatto.

Famiglie disfunzionali riecheggiano anche in “IT” ed il cliché dei figli che fanno da padri ai loro padri, è ancor più marcato.

La storia del gruppo dei “perdenti”, come si autoproclamano i protagonisti, si svolge a Derry, Maine, nell’estate del 1960. È possibile individuare molti parallelismi con “Stand by me” già a partire dai tipi psicologici in esso tratteggiati. 

William “Bill” Denbrough è il leader balbuziente con velleità di scrittore (alter ego di King in persona) il cui fratellino viene brutalmente assassinato da IT (scena che ha popolato gli incubi di un’intera generazione). Poi ci sono Benjamin “Ben” Hanscom, il grassoccio insicuro oggetto degli scherni e delle vessazioni dei bulli, capeggiati da un improbabile Elvis cattivo, Henry Bowers. 

C’è Edward “Eddie” Kaspbrak, dalla salute malferma, asmatico e vittima di una madre iperprotettiva tanto da rasentare la Sindrome di Muchausen. Richard “Richie” Tozier, il simpaticone del gruppo, Stanley “Stan” Uris il boyscout e Michael “Mike” Hanlon, discriminato perché nero. 

In “IT” il gruppo si arricchisce della presenza femminile di Beverly “Bev” Marsh, detta “treccine”, con un padre manesco e autoritario, che solletica i primi turbamenti amorosi nei compagni (decisamente più esplicito il contenuto del romanzo rispetto alla trasposizione cinematografica realizzata come miniserie TV del 1990, anno in cui si sviluppa anche la storia del gruppo ormai adulto).

La crew di IT deve affrontare l’orrore e l’ipocrisia del mondo degli adulti, che, colpevolmente, nasconde una depravazione ed una corruzione visibile solo ai loro occhi ingenui. 

Si ritroveranno soli e sgomenti ad affrontare le proprie paure, dal momento che IT assumerà la forma di ciò che ciascuno di loro teme di più. È solo unendo insieme le loro insicurezze che il gruppo troverà il coraggio di affrontare il mostro ed allontanarlo. 

Un gruppo di adolescenti “vintage” si è guadagnato la simpatia e la popolarità tra i coetanei e non solo. Sono i ragazzi di “Stranger Things”, vera e propria serie culto della seconda decade degli anni 2000, è ambientato in un “nuovo” passato, cioè negli anni in cui furono realmente girati “Stand by me” e “IT”. 

“Stranger Things” rappresenta la summa dell’immaginario horror, fantascientifico e del romanzo/film di formazione degli anni 80. 

È letteralmente l’apoteosi di tutti i cliché degli anni 80: un campionario di musica, outfit, giocattoli, cartoni animati, videogiochi, pubblicità e film, con tanto di citazioni più o meno esplicite. 

La ricostruzione delle atmosfere 80’s è curata con una dovizia di dettagli tale da ingolosire lo spettatore più attento a scoprirne le citazioni.

Nella serie di punta di Netflix troviamo una crew formata da una comitiva storica composta da Michael “Mike” Wheeler, Dustin Henderson, Lucas Sinclair e William “Will” Byers, quattro compagni di scuola (come in “Stand by me”) appassionati di scienza. Nel corso della prima stagione Will scompare misteriosamente dalla cittadina di Hawkins, Indiana ed i suoi amici, sconvolti, faranno di tutto per mettersi sulle sue tracce. Al gruppo si unisce “Undici”, ragazzina dotata di poteri ESP (citazione del film “Fenomeni paranormali incontrollabili”). Parallelamente si svolge la storyline di altri personaggi Nancy Wheeler, sorella maggiore di Mike, classica ragazza studiosa e carina, fidanzata con il belloccio del liceo, figlio di papà Steve Harrington e di Jonathan Byers, fratello maggiore e protettivo di Will. Troviamo qui una sorta di doppio binario della trama che vede protagonisti i più piccoli ed i grandi e che poi, nel suo dipanarsi, trova un punto di contatto quando anche Barbara Holland, migliore amica di Nancy, scompare misteriosamente. 

I toni della prima stagione sono piuttosto cupi e la fotografia rispecchia esattamente il mood della storia.

Nella seconda serie Will è di nuovo nel gruppo e si aggiungono altri personaggi “Max” Mayfield, ragazzina-maschiaccio sullo skateboard ed il suo fratellastro Billy Hargrove, bello e dannato. I fratelli grandi diventano comprimari ed antagonisti e riportano alla mente il gruppo variegato per età de “I Goonies” (altro cult di avventura degli anni 80’).

Nelle prime due serie le avventure della crew si svolgono in autunno/inverno.  

Nella terza stagione di “Stranger Things”, invece, le vicende del gruppo si svolgono nell’estate del 1984 ed i toni si alleggeriscono per lasciare alòo spettatore momenti di spensieratezza, cogliendo appieno la fluorescenza e la leggerezza di quel mitico decennio. L’ingresso di altri personaggi come Robin Buckley ed Erica Sinclair, dalla personalità graffiante e beffarda, contribuiscono a sciogliere le tensioni della trama ed a virare decisamente in direzione comedy-action alcuni episodi.

In “Stranger Things” il gruppo è la seconda casa. Gli adulti, ad eccezione del granitico Jim Hopper, rude sceriffo di Hawkins, punto di riferimento e di urto dei piccoli protagonisti, sono presi dalle proprie routine.

Joyce Byers, madre di Will e Jonathan, è una donna nevrotica ma, a suo modo, presente.

Il gruppo dei pari, la difficoltà di affrontare il cambiamento imposto dalla crescita, la sfida da vincere, gli amori adolescenziali, il fare i conti con le perdite degli affetti più cari ed il perenne scontro generazionale sono i temi intorno ai quali ruotano le trame di “Stranger Things.”

“Stranger Things”, dunque, rappresenta l’anello di congiunzione con i capolavori tratti dalle opere di Steven King, in cui, immagini e ricordi, canzoni e suggestioni, riescono a condensare in uno sciame simbolico, tematiche universali e transgenerazionali, fotografie sbiadite di un viaggio al tempo stesso meraviglioso e spaventoso, l’adolescenza, che ha visto tutti noi protagonisti.

Ed ora un breve excursus sulle colonne sonore dei film tratti da King. Non si può non iniziare questo articolo con la stupenda canzone “Stand by me” di Ben E. King dell’omonimo film di Rob Reiner. “Stand by me: ricordo di un’estate” poi è un film con i protagonisti iconici degli anni ’80: River Phoenix (fratello del premio Oscar “Jocker” Joaquin Phoenix) Kiefer Sutherland e Corey Feldman (che riecheggiano ancora oggi nelle fattezze e caratteri dei ragazzi di “Strangers Things”& “Big Bang Theory”). Altro film tratto da Stephen King con la  colonna sonora di Pino Donaggio è “Carrie: lo sguardo di Satana” con un acerbo John Travolta, passando poi per la trasposizione di John Carpenter ed il suo “Christine, la macchina infernale” con il sound sincopato “Bad to the bone” di George Thoegood mentre l’automobile incantata si ricostruisce bullone per bullone. Inoltre John Carpenter è anche autore di colonne sonore memorabili per tutti i suoi film. Poi anche Cronenberg ha rispolverato Howard Shore (Signore degli anelli) per tradurre in sequenze cinematografiche le pagine di King, in la “Zona morta”. Ed infine “La metà oscura” di Romero con musiche di Christopher Young. Senza dimenticare il suo “Brivido” prodotto da De Laurentiis. Quest’ultimo ha finanziato ben 6 pellicole tratte da King (con il motto: “Se tanta gente ha comprato e apprezzato il libro, altrettanta sarà disposta a pagare il biglietto per vedere il film”): “Fenomeni paranormali incontrollabili”, “La zona morta”, “L’occhio del gatto” (con gli effetti speciali del nostro geniale Rambaldi), “Unico indizio la luna piena”, “A volte ritornano” e “Brivido”. Insomma Stephen King è riuscito ad ispirare  i vari compositori che hanno accompagnato il suo immaginario filmico.

*Jean-Pierre Colella, docente

*Nicoletta Romanelli, docente

Jean-Pierre Colella