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Public history, il racconto della storia per guardare al futuro

La Public History è quel campo delle scienze storiche cui aderiscono storici e intellettuali che svolgono attività di ricerca e di comunicazione della storia all’esterno degli ambienti accademici, utilizzando luoghi e strumenti differenti, senza, tuttavia, scadere nella spettacolarizzazione di contenuti e valori. Una pratica che riscuote sempre più successo poiché intercetta un bisogno diffuso di recupero della memoria, una rinnovata consapevolezza del senso della storia quale magistra vitae. Si tratta di un vasto movimento internazionale, una disciplina che ha avuto origine alla fine degli anni Settanta nel mondo anglosassone e si sta propagando in Europa e in Italia, coniugandosi con l’attitudine congenita di molte istituzioni culturali a una lunga attività d’impegno civile e di pratiche di storia in pubblico e con le comunità locali che hanno contribuito a innovare con originalità le forme della comunicazione del sapere storico. Fanno parte della Public History tutta una serie di attività, svolte da Musei, Biblioteche, eruditi e appassionati locali, e promosse da enti pubblici, privati, associazioni e cooperative culturali che vanno dalla forma tradizionale dello studio storico, fino alle rievocazioni, alle battaglie in scala, alle rappresentazioni teatrali, alla narrativa.  Lo scopo è la promozione della conoscenza storica e delle metodologie della ricerca presso platee diverse, favorendo il dialogo multidisciplinare, la valorizzazione del patrimonio storico, culturale, materiale e immateriale in ogni sua forma, nonché il contrasto degli “abusi della storia”, ovvero le pratiche di mistificazione del passato finalizzate alla manipolazione dell’opinione pubblica.  Una risorsa preziosa per favorire la coesione sociale, la comprensione e l’incontro fra persone di differente provenienza, di generazioni diverse e con memorie talvolta contrastanti. L’ampia diffusione ha reso necessario l’istituzione, il 21 giugno 2016 a Roma, presso la sede della Giunta Centrale per gli Studi Storici, dell’Associazione Italiana di Public History. Erano presenti come soci fondatori diciotto istituti e società scientifiche, fra cui tutte quelle più rilevanti nelle varie aree disciplinari della storia, degli archivi, delle biblioteche. A Ravenna, nel giugno 2017, il I Congresso Nazionale mentre tra il 29 maggio e il 2 giugno 2020 si terrà a Venezia Mestre la quarta conferenza nazionale dell’AIPH, nuova occasione per sgombrare il campo dalle polemiche di approssimazione e strumentalizzazione.  Il Presidente dell’AIPH Serge Noiret l’ha definita una “disciplina glocale”, intesa come una serie assai articolata di differenti pratiche volte a rendere attivo lo studio della storia e a diffonderlo, non una contrapposizione, ma una nuova area di ricerca anche all’interno dell’università. Public History non vuol dire “volgarizzare” il metodo storico in deroga al rigore scientifico, bensì condurlo fuori da una spirale troppo autoreferenziale, per renderlo comprensibile e utile alla comunità e allo sviluppo della memoria collettiva. “Fare Storia non solo e non tanto per il pubblico, ma con il pubblico”, sfruttando l’attitudine diffusa e “naturale” dell’uomo a costruire e tramandare racconti ed esperienze attraverso luoghi e linguaggi. Propone, insomma, il racconto della Storia associato all’ambito cognitivo ed emozionale. Le neuro-scienze e gli studi sull’intelligenza emotiva e sui cosiddetti neuroni specchio, hanno dimostrato che un concetto, una nozione si ricordano meglio e diventano familiari se sono associate e veicolate attraverso un’emozione. Il dibattito corrente punta a definire la Public History come azione multidisciplinare che fonde due approcci scientifici: quello relativo alla ricostruzione storica e all’uso delle fonti e quello proprio delle strategie narrative. Rigidità scientifica dei contenuti dentro un linguaggio comunicativo popolare, reso indispensabile anche dallo sviluppo di canali e strumenti digitali con un alto potenziale di condivisibilità e partecipazione. Non a caso la sua diffusione è avvenuta grazie a mostre e percorsi espositivi, festival di storia, attraverso i film documentari e di fiction, tramite siti web e gruppi social dedicati a temi di storia, programmi radiofonici e televisivi, periodici e best seller e tante iniziative per coinvolgere giovani e anziani nel recupero di memorie individuali, di documenti familiari, dalle lettere agli album fotografici. Il rischio non è tanto quello di creare una pop history quanto quello di consentire la proliferazione di memorie pubbliche e collettive che con la razionalità storica hanno poco a che fare, di una “visione partigiana di fatti storici letti per un tornaconto contingente e temporaneo”. Per scongiurare questo pericolo l’AIPH propone lo sviluppo della Public History come nuova area di ricerca e insegnamento universitario e la formazione di public historian che operino all’esterno degli ambienti accademici con competenze professionali nelle metodologie della ricerca, nell’insegnamento e nella comunicazione. Uno storico capace di essere anche divulgatore, in grado di ideare e proporre “format” storico-culturali efficaci, usando codici e riferimenti a un immaginario popolare, diffuso e condiviso, argomenti storico-culturali organizzati in modo narrativamente creativo. Ne sono un esempio scienziati-divulgatori come Alberto Angela o Massimo Osanna, direttore del Parco Archeologico di Pompei, divenuti scrittori e personaggi pubblici con grande seguito. Un’esigenza comunicativa quanto mai attuale e urgente se proprio i Social Media ripropongono le parole di Eric Hobsbawm: “La maggior parte dei giovani, alla fine del secolo, è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni tipo di rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono (…) il lavoro degli storici, il cui compito è ricordare ciò che altri dimenticano, è ancora più essenziale ora di quanto mai lo sia stato nei secoli scorsi”. Nel passato non ci sono soluzioni, ma se rinunciamo alla Storia, non avremo futuro, nessuna possibilità di coltivare l’ispirazione a costruire un mondo diverso, finalmente rispettoso dei diritti umani.

*Fiorella Franchini, giornalista, scrittrice

Fiorella Franchini