Hanno asfaltato il firmamento
Come la space economy sta cambiando la notte stellata
Ero fin troppo piccolo per spiegare a mia madre che, quando mi indicava la luna come un volto sorridente, si trattava di pareidolia: l’umano bisogno di rendere familiare l’inanimato. Ma come biasimarla? Il nostro unico satellite è stato da sempre il confessionale degli inquieti, il faro dei sognatori e il rifugio dei poeti.

Un romanticismo che oggi, però, sta lasciando il posto al pragmatismo della space economy: un insieme di attività economiche nate con lo scopo di esplorare, utilizzare e sviluppare tecnologie spaziali.
Si parla dunque di una nuova eldorado dell’economia globale che coinvolge settori quali logistica, difesa, telecomunicazioni e persino food & beverage. E sicuramente non alla portata economica dell’agenda di molti governi.
Il settore spaziale è, infatti, passato da essere un monopolio statale a un’industria privata in forte espansione. Secondo le stime di Euroconsult, la space economy globale ha raggiunto un valore di circa 464 miliardi di dollari nel 2023, con una proiezione di crescita fino a 1.000 miliardi entro il 2040. La spinta arriva dai giganti privati come SpaceX, Blue Origin, Rocket Lab e Virgin Galactic, che stanno trasformando lo spazio in un’opportunità commerciale senza precedenti, appunto.
SpaceX, fondata da Elon Musk, ha abbassato radicalmente i costi di lancio grazie ai razzi riutilizzabili Falcon e alla progettazione della Starship, un veicolo pensato per colonizzare Marte. Blue Origin, di Jeff Bezos, punta invece sul turismo spaziale e sull’industrializzazione dell’orbita bassa terrestre, con il progetto Orbital Reef, una stazione spaziale privata da lanciare nei prossimi anni. Entrambe le compagnie non stanno solo innovando la tecnologia, ma stanno dettando un nuovo paradigma: lo spazio non è più il territorio di pochi astronauti selezionati, ma una risorsa per miliardari e aziende che ne intendono sfruttare le potenzialità.
Se durante la Guerra Fredda era il palcoscenico della competizione tra USA e URSS, oggi è un’arena multipolare in cui si scontrano visioni differenti. Gli Stati Uniti, con il programma Artemis della NASA, vogliono tornare sulla Luna e costruire una base permanente, coinvolgendo partner internazionali. La Cina, con la sua stazione spaziale Tiangong e il programma lunare Chang’e, sta sviluppando un’alternativa indipendente al dominio americano. L’India, con Chandrayaan-3, ha dimostrato di poter atterrare sulla Luna con un budget ridotto, conquistando un ruolo da protagonista.
L’Europa, invece, sembra giocare un ruolo più defilato. L’ESA (Agenzia Spaziale Europea), nonostante il successo dei lanciatori Ariane e della collaborazione con la NASA, fatica a tenere il passo dell’innovazione privata. Un gap che ha difficoltà a essere colmato anche con il lungimirante progetto IRIS², la costellazione di satelliti del Vecchio continente per le telecomunicazioni e la difesa. Si pensa di raggiungere l’orbita tra il 2027 e il 2030, risultando già indietro rispetto all’attuale Starlink.
Ma la ricerca spaziale non è solo relegata allo spazio,
La space economy non è solo un motore di progresso tecnologico ed economico, ma si intreccia profondamente con la sostenibilità ambientale. Tra le sue applicazioni più rilevanti c’è l’osservazione della Terra, resa possibile da costellazioni di satelliti come Copernicus dell’Agenzia Spaziale Europea o Landsat della NASA, che monitorano deforestazione, inquinamento atmosferico e variazioni climatiche. E anche l’agricoltura stessa sta cambiando grazie allo spazio. L’uso dei dati satellitari consente agli agricoltori di ottimizzare l’irrigazione, prevenire siccità e ridurre l’uso di fertilizzanti chimici, contribuendo a un modello più sostenibile. Monitorare l’erosione del suolo o i fenomeni di desertificazione è ormai una pratica fondamentale per affrontare le sfide del cambiamento climatico.
Nella febbrile ricerca di colonizzare pianeti, costruire avamposti stellari e avviare guerre stellari, diversi studiosi si sono posti dubbi etici e morali, creando una nuova corrente: il lungotermismo.
Se da un punto di vista puramente avanguardistico e altruistico, si è di fronte a una esigenza di preservare l’umanità da stravolgimenti ambientali futuri, dall’altra si condanna a vivere il presente come un piano di investimento per un domani; un’impalcatura per un edificio in costruzione, una promessa per l’umanità che verrà.
Sebbene l’imprenditoria spaziale si difenda dietro propositi di grande etica, è innegabile la modifica dell’esistenza fattuale.
Più che mai e con grande precauzione, sarà il futuro a dirci se la direzione è giusta e magari volgendo lo sguardo proprio al cielo.
*Marco De Mitri, giornalista