Concept Art, tra arte e industria videoludica, ne abbiamo parlato con Christian Steve Scampini
Nell’articolo uscito sul numero di gennaio di Verbum Press grazie a Debora Ferrari e Luca Traini ci siamo affacciati al mondo delle game art, ossia le varie forme d’arte legate all’universo videoludico.
Tra queste, la concept art ricopre un ruolo centrale ma ancora poco noto fuori dagli ambienti legati all’impresa dei videogiochi.
Ho chiesto quindi a Christian Steve Scampini, una delle figure di spicco di questo ambito in Italia e non solo, di raccontarci di cosa si tratta anche attraverso la sua esperienza ventennale presso aziende leader del settore come Ubisoft, Forge Reply, Dreamslair, Nightly Build Games Studio.
Christian, vorrei iniziare con una domanda solo apparentemente semplice. Cos’è la concept art?
La concept art è una forma d’arte a tutti gli effetti, ma nasce dall’industria e dal design (per intenderci, dalla Bauhaus in poi) nel Novecento. Si tratta quindi dell’applicazione di tecniche, metodologie e linguaggi visivi che abbiano la caratteristica della replicabilità.
Storicamente potremmo dividere la concept art legata all’industria del terziario in due periodi: una “tradizionale” e in seguito una moderna e digitale.
Tra i padri del primo periodo, negli anni Settanta, troviamo personaggi come Syd Mead (che lavorò a Blade Runner e il primo Star Trek). Questi concept artist venivano da scuole d’arte, di design o di architettura.
Poi tra gli anni Novanta/Duemila questa forma d’arte si diffonde maggiormente e si trasforma: molti artisti non provengono più da un ambiente artistico classico ma sono influenzati dall’ondata della cultura fumettistica, dei manga, degli anime e delle serie tv anni ‘80-’90.
Uno dei padri della concept art moderna digitale è Craig Mullins (il quale lavorò con uno degli sviluppatori di Photoshop) che fece i primi esperimenti digitali e diede il via alla concept art come la conosciamo oggi.
Ad ogni modo l’essenza resta sempre la stessa: la creazione di opere che devono essere traducibili in modelli 3D per venir inserite all’interno di un’esperienza videoludica a tutti gli effetti. Il discorso è ovviamente più ampio e servirebbero pagine e pagine per poterlo descrivere in maniera esaustiva.
In cosa consiste, nello specifico, il lavoro del concept artist?
Dal punto di vista prettamente tecnico consiste nel mettere su carta le idee che vengono fornite attraverso un documento, denominato game design document, per trasformare le proposte di design (che non sono estetiche ma funzionali) in qualcosa di estetico e insieme funzionale. Nella pratica si realizzano diversi bozzetti finalizzati in ortogonali (visuali di un solido, come un personaggio ad esempio, da vari punti di vista) perché possano essere consegnati per realizzare il formato 3D e l’animazione.
Dal punto di vista artistico, invece, i concept artist si rifanno a tantissime influenze estetiche e stilistiche che vengono poi tradotte nel formato digitale.
Credo che il lato più affascinante per un giovane artista che si affaccia a questo mondo sia la possibilità di creare visivamente il mondo (world building) di un videogioco: personaggi, creature, ambienti, situazioni, etc.
Parliamo di te. Come sei arrivato a fare il concept artist?
Dopo gli anni di studio presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, ho seguito un corso di fumetto del Castello Sforzesco per poi cominciare una carriera da fumettista in Francia.
Tra le mie grandi passioni c’erano però i videogiochi. Mio padre, infatti, aveva una sala giochi e mi sono avvicinato fin da piccolo a questo mondo. In Italia negli anni Novanta e nei primi Duemila ancora non c’erano realtà legate alla concept art, ho iniziato quindi ad interessarmi a questa forma artistica andando un po’ a tentoni e ho creato il mio primo portfolio.
La svolta arrivò ad una Lucca Comics & Games (2002 o 2003, forse). Quell’anno erano ospiti della fiera Scott Robertson e Iain McGaig (uno degli artisti storici dei primi Star Wars). Al tempo nessuno li conosceva, ma io sì! Ho fatto di tutto per incontrarli e mostrargli il mio portfolio… fu un’esperienza abbastanza traumatica!
Lavorando nel fumetto da diversi anni e vivendo di questo lavoro, infatti, mi consideravo già un professionista. Invece mi demolirono malissimo, non riconoscendo nella mia arte una forma di concept art. Nei giorni seguenti, nonostante la febbre dovuta ai famosi acquazzoni che hanno sempre caratterizzato Lucca Comics & Games, continuai a portargli disegni su disegni. Scott Robertson inizialmente si arrabbiò molto: voleva farmi capire che diventare concept artist richiede un percorso serio e complesso, che ciò non avviene dal giorno alla notte. La mia testardaggine, però, lo portò alla fine a prendermi in simpatia e mi aiutò molto dandomi consigli preziosi per intraprendere questa nuova carriera.
In seguito iniziai a lavorare come concept artist in una piccola società vicino a Lambrate.
Alla fine quindi sei riuscito ad arrivare al tuo obiettivo professionale.
Sì, ma per arrivarci ho impiegato innumerevoli ore tra studio teorico e disegno, gettando quantità enormi di illustrazioni e bozze. In quegli anni non esistevano i tutorial su YouTube, perciò quando volevo approfondire qualcosa, scrivevo direttamente ai concept artist che trovavo interessanti per dialogare con loro sulle tecniche utilizzate. Questo mi ha permesso anche di creare dei legami personali con questi artisti, alcuni dei quali oggi sono dei maestri e art director di grosse aziende videoludiche.
La figura del concept artist oggi è riconosciuta a livello storico artistico?
Ancora no. Credo che ciò sia dovuto essenzialmente a due fattori. Da un lato la concept art, nonostante nei decenni si sia sviluppata con stili diversi e riconoscibili in diverse zone (penso alla scuola russa, ad esempio), risulta ancora troppo giovane per entrare all’interno di una riflessione storico artistica.
Il secondo motivo probabilmente è dovuto al fatto che questa figura professionale viene scarsamente riconosciuta e valorizzata già all’interno delle stesse aziende videoludiche in cui lavora. Mentre a tutti è ben chiara la funzione dei programmatori, dei designers e dei 3D animators, sfugge l’importanza della figura del concept artist che ha un ruolo, come abbiamo visto, che riguarda il passaggio dall’idea alla tecnica. Un ruolo più eclettico, se vogliamo più difficile da oggettivizzare (visto che è un campo dell’arte, non solo della tecnica). Quindi, nella stragrande maggioranza dei casi, non capito.
Per concludere, che consiglio daresti ai giovani che vorrebbero indirizzare i propri studi verso questa prospettiva di carriera?
Per quanto riguarda l’ambito degli studi artistici il mio consiglio è di seguire corsi di scenografia o design, più che di pittura. Questo perché, sebbene possano apparire più noiosi ad un’anima creativa, forniscono teorie e metodologie essenziali per approcciarsi a questo tipo di lavoro.
Ad esempio, nei corsi di sceneggiatura troviamo ben approfondita la teoria del colore più che nei corsi di pittura; nel design, come quello delle automobili, si ritrovano metodologie legate all’impostazione del lavoro come concept artist.
Ma la cosa più importante credo rimanga sempre la ricerca di un proprio stile che si può ottenere solamente attraverso uno studio appassionato e curioso di ciò che già è stato fatto e viene fatto attualmente, accompagnato da ore interminabili di pratica del disegno.
*Francesca Anedda, storico dell’arte