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Saper essere con educazione

Un tempo il compito dell’insegnante era quello di far sì che i bambini imparassero a leggere, a scrivere a far di conto; sembrava sufficiente, specie perché molti erano costretti a uscire dalla scuola con un’istruzione di tipo elementare. Oggi gli anni di scolarità sono di molto aumentati, perché si ritiene che i fini dell’educazione siano assai più ampi (la pandemia ha aperto nuovi orizzonti).  La scuola ha, così, ambizioni più vaste e mete che vanno al di là del semplice leggere e scrivere. Si tende a trasmettere un sapere, un saper fare per approfondire, un saper essere, in vista proprio dell’inserimento futuro nel mondo professionale, sociale e culturale. I fini dell’educazione rispecchiano, in ogni tempo il periodo in cui si vive (anni fa: grembiulino nero con colletto bianco, in piedi quando entrava l’insegnante, fuori aula per punizione e, udite udite, qualche scappellotto…e non c’erano i telefonini). Nel terzo millennio c’è stata e c’è una veloce trasformazione. Un tempo il cosiddetto lustro era di cinque anni, ora i cinque anni vengono bruciati in una manciata di mesi. Come fare, quindi, previsioni precise sul futuro dei nostri ragazzi? Il Presidente della Repubblica, parlando delle nuove generazioni, disse che i ragazzi non sono solo il nostro futuro, ma il nostro presente; parole sagge che fanno molto meditare. Allora, bisogna soprattutto fornire loro adeguati mezzi tecnologici e non, il non sta per senso civico, educazione comportamentale, rispetto reciproco, andando oltre le razze, le appartenenze religiose e politiche, perché: “Se c’è rispetto reciproco, anche nelle differenze saremo sempre amici; pur con orizzonti diversi, faremo luce alla parte di buio che crea barriere” (Sergio Camellini). E’ per questo che i programmi scolastici stanno cambiando e cambieranno ancora. Si cerca, infatti, più che impartire nozioni a distanza, utili in casi eccezionali, a provocare interessi, ragionamenti, atteggiamenti favorevoli verso particolari attività ed esercizi in presenza. Soltanto così si arriverà al sapere, che darà agli individui il senso del potere (si legga autostima: saper essere più che saper apparire). A questo punto i ragazzi, presumibilmente, saranno in grado di applicare il loro sapere e il loro potere a situazioni nuove, manifestando l’auspicata creatività, poiché le persone creative spesso sanno risolvere i problemi. Queste capacità sfoceranno, quindi, in una continua curiosità intellettuale, il che significa saper osservare, saper confrontare, saper analizzare, saper dedurre, saper completare, saper sintetizzare. “E’ molto più bello sapere qualcosa di tutto, che sapere tutto d’una cosa” (Pascal, I pensieri). Poi ogni individuo lascerà la scuola per scegliere la propria strada da seguire; anche sapere tutto di una cosa…con buona pace di Pascal, specializzandosi, è molto importante. La scuola, non dev’essere solo cultura nozionistica, ma complicità, deve formare esseri intelligenti, perché l’intelligenza, che fa parte della creatività, è la capacità di risolvere i problemi, come suddetto. In sintesi, dall’operaio al dirigente, dall’artigiano all’insegnante, dal contadino all’industriale, tutti devono essere aggiornati con un costante sforzo personale e istituzionale. Tutto ciò, però, con umiltà, con la consapevolezza di dover sempre imparare, perché la vita è fatta di continuo apprendimento per sopravvivere. L’educazione, quella vera, quella scaturita dall’incontro di più discipline, avrà così raggiunto i suoi scopi. Far capire che è sempre necessario un approccio totale e continuo alla cultura, sia da parte degli adulti sia da parte degli adolescenti e dei bambini, a scuola e sempre. Tutti e per tutta la vita devono avere la possibilità di accostarsi a qualsiasi forma di sviluppo culturale. L’educazione non è, quindi, un fatto limitato agli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, ma deve essere una costante di vita, non si devono trascurare né dissipare le energie che accompagnano l’esistenza dell’uomo, la vita è un dono, è un continuo apprendimento poiché, come si dice: “Non si nasce imparati”. Concludo con un mio mantra: “Il bene che è in noi è la fonte limpida che sgorga spontanea alla quale attingere per conseguire il meglio che ci manca”.

*Sergio Camellini, psicologo

Sergio Camellini