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Il Natale di Messina d’un tempo: il presepe, la “cona” e il Cenone con i piatti della tradizione

Già all’inizio di dicembre si pensava al presepe. Per le montagne s’usavano gli avanzi di combustione del carbon fossile

Il Natale dei ricordi a Messina, tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Vaghe avvolgenti atmosfere, palpitanti richiami, emozionanti attese. E i vividi colori, gli inebrianti profumi della festa, i sapori, i suoni, i gesti antichi, dei quali pochi, ormai, conservano la memoria. 

Già all’inizio di dicembre si pensava al presepe. Per le montagne s’usavano gli avanzi di combustione del carbon fossile (i cacazzi), raccolti lungo i binari della ferrovia; o il sughero; o anche la carta da imballaggio, fantasiosamente sagomata dopo averla impregnata di gesso liquido. Le montagne così fatte andavano poi cosparse di polveri colorate, di muschio, e di farina a simulare la neve. I pastorelli erano d’argilla, plasmati a mano dai pasturiddari, che li dipingevano vivacemente dopo averli lasciati essiccare al sole. Nella grotta, con il bue e l’asinello, la Sacra Famiglia dominava la scena. Tutt’intorno al presepe, candeline e lumini, accesi specialmente quando arrivava lo zampognaro. Alcuni, anziché il presepe, allestivano la cona (l’icona), che però era tipica del contado, ed era dunque assai diffusa nei villaggi collinari. La cona consisteva di una verde grotta modellata con rametti del sottobosco, e adornata di agrumi, frutta secca, dolciumi. Non mancava mai una lampa ad olio votiva. Nella grotta, solamente il Bambinello, di cera o di gesso.

La zampogna era, ed è tuttora, la voce del Natale. Lo zampognaro appariva in città per l’Immacolata, già all’alba. Suonando, s’aggirava per le strade, e sostava qua e là presso i suoi “clienti” di ogni anno (i so parrucchiani), che lo impegnavano per la Novena, dal 16 alla Vigilia. Lo zampognaro passava ancora di casa in casa a Capodanno e all’Epifania.Anche i “suonatori orbi”- violinisti accompagnati da chitarra e triangolo-eseguivano i  canti della Novena.

Ed ora la tradizione gastronomica. La Vigilia di Natale era d’obbligo mangiar di magro. Perciò il 24 dicembre, a pranzo, i messinesi trovavano in tavola, per esempio, gli spaghetti coi filetti d’acciughe salati – sminuzzati nell’olio e resi cremosi a fuoco lento – col pangrattato appena abbrustolito in poco olio (la pasta â milanisa). O magari gli spaghetti al sughetto delle vongole, cotte nell’olio in casseruola con aglio e prezzemolo.

Quanto ai secondi piatti, immancabili l’anguilla e il baccalà. Ecco uno dei modi più comuni, a Messina, di cucinare l’anguilla. Essa va tagliata a pezzetti di 5 centimetri più o meno; che infilati negli spiedini, alternandoli con foglie di lauro, si lasciano arrostire, ma non troppo, in graticola sulla brace, spennellandoli via via con un rametto di origano prima intinto nell’olio. Liberata dagli spiedini, l’anguilla deve essere insaporita col salmoriglio. Riguardo al baccalà, ricordiamo due apprezzate ricette locali. Dissalato, ben nettato, tagliato a pezzi e infarinato, il baccalà va fritto in olio abbondante, insieme con fette di pane raffermo bagnate in acqua (o latte) e infarinate. Oppure, impastato con pecorino pepato stagionato, uova, prezzemolo, farina, pepe nero, il baccalà, posto a singole cucchaiate nell’olio bollente, si lascia friggere insieme con fette di pane raffermo, come nella precedente ricetta.

La frutta, poi: arance, mandarini, sorbe “nataline”, deliziose se mature al punto giusto. E nespole d’inverno, fichi secchi, noci, e certe piccole mele dette lappeddi, lievemente profumate, dolcissime, succose. 

Nel tardo pomeriggio, tutti intorno al tavolo – familiari, parenti, amici, vicini di casa. Si gioca a carte, a sette e mezzo, mercante in fiera, si estraggono i numeri della tombola. Grandi e piccini insieme, quasi un rito. Quindi, verso sera, via per un po’ carte e cartelle, in tavola i pituni, i spinci con l’uvetta passita, il vino dolce, e gli scacci (mandorle, noci, castagne informate, fichi secchi), la mostarda, la cotognata, i piparelli, i nzuddi. Anche i pasticciotti di nipitiddata, il torrone fatto in casa: solo mandorle e zucchero. 

Infine, la Messa di Mezzanotte, per adorare il divin Bambino. Il 25, Natale, una ricca tavolata festiva: ragù, falsimagri, salsiccia, polpettoni…A Santo Stefano, in tavola gli avanzi del giorno prima. E ancora pituni, spinci, scacci, mostarda, torrone, vino dolce…E la speranza di sempre, che l’anno che sta per nascere sia migliore di quello che finisce.

*Antonino Sarica, giornalista

Antonino Sarica