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Il messaggio ecologista ante litteram dell’animazione di Miyazaki. Tra sostenibilità e sensibilità

In pochi sanno che il regista Hayao Miyazaki, definito il Walt Disney d’oriente, venne premiato dal WWF alla Mostra del Cinema di Venezia per la serie anime “Conan, ragazzo del futuro” in virtù dell’interesse rivolto alle tematiche ambientaliste nella sua poetica. Conan, protagonista della serie di animazione, è un bambino che vive in un futuro distopico post apocalittico, dove il mare, dopo una guerra nucleare, ha inghiottito la maggior parte della terraferma. Uno scenario spaventoso ma assai plausibile, che ad oggi, rappresenta una possibilità neppure poi tanto remota a giudicare da come l’uomo sta trattando il pianeta.  

Correva l’anno 1978 è già il maestro Myazaki precorreva questioni di urgente impatto economico e sociale. 

Il filo rosso che attraversa tutte le sue opere è costituito, appunto, dall’eterna disputa uomo/natura che si concretizza sullo schermo in immagini catastrofiche legate alla distruzione del mondo per mano dell’uomo scellerato, che non ha rispetto degli animali, della natura e di tutto ciò che di sacro è insito in essi. Tutte le sue pellicole sono avvolte da un alone di sacralità promanato da un ancestrale animismo di matrice shintoista, in cui ogni piccola creatura raffigurata presenta la sua dignità di essere vivente ed in forza del suo partecipare alla Vita (con la V maiuscola) è di per sé divina ed inviolabile.

In “Princess Mononoke” si intrecciano elementi differenti che concorrono allo sviluppo della narrazione. La storia, ambientata in un Giappone tardo medievale, dischiude allo spettatore un universo simbolico denso di folklore e suggestioni, in cui riecheggiano echi della religione giapponese. Popolata da schiere di spiritelli e divinità, demoni e folletti, la religiosità nipponica, in un sincretismo di immagini scaturite dall’incontro di culture e tradizioni diverse, incarna inequivocabilmente l’identità del popolo giapponese. 

Entità classiche della tradizione nipponica sono, ad esempio, i Kodama, una specie di folletti che vivono nelle foreste più rigogliose, Inugami, divinità dalla forma di enorme cane a due code che vive nel bosco, Inoshishigami, potente e terribile dio dalla forma di cinghiale. Lo Shishigami, cervo dal volto umano, richiama un po’ immagini presenti anche in altri assetti religiosi, come nel folclore nordico o come il temibile Wendigo dei pellerossa d’America.

Ma in Mononoke c’è molto altro ancora, come la rincorsa al progresso in un’epoca storica pre industriale, dove la natura è vista come risorsa da “spremere” per il proprio tornaconto e guadagno, c’è il ruolo della donna nella società del tempo, che cerca di affermarsi nonostante la misoginia imperante. Tra queste figure femminili si erge la bella e selvaggia Mononoke (Spirito Vendicativo), al di fuori dell’archetipo classico della principessa, una ragazza cresciuta dai lupi che ha rinnegato il suo “essere un’umana” e che nel rifiuto della sua umana essenza vuole custodire la divinità della natura nella sua dimensione più spirituale e primigenia.

Come tutte le opere di Miyazaki, anche Mononoke comunica chiaramente il suo messaggio profondamente ambientalista, che arriva dritto al cuore dello spettatore attraverso la musica epica e dolce di Joe Hisashi, in perfetta osmosi con il misticismo insito nell’intera pellicola.

Come spesso accade il linguaggio della fiaba diventa la metafora per affrontare argomenti ben più complessi e maturi. 

Mononoke richiama un pochino il personaggio di Mowgli di Kipling nel “Libro della giungla”. Cresciuti entrambi da “mamme lupo” ed entrambe più “umane degli umani stessi”, bestialità e crudeltà non fanno rima tra loro. Anzi! È molto interessante indagare il concetto stesso di mostruosità che si dipana nell’arco della narrazione. 

Chi è veramente il mostro? Lo spirito ferito della foresta che si ribella ferocemente o l’uomo che avanza inesorabile inneggiando al progresso? È la natura ribelle e matrigna, per parafrasare il Leopardi, oppure è l’uomo ciecamente arrogante? Va da sé che la dicotomia uomo/natura costituisce un grande tòpos della letteratura mondiale. 

Myazaki nelle sue pellicole si limita ad osservare la natura, una natura che, però, non subisce passivamente gli abusi e le violenze dell’uomo, ma si scatena e si trasforma ogni volta e continua (e continuerà sempre) a sfuggire all’illusione delirante di controllo da parte dell’uomo. Non c’è scienza né tecnologia che tenga. 

Il tema ecologista e la preoccupazione ambientalista, adesso quasi scaduti a mera green fashion, sono invece spunti innovativi e di grande rilevanza se si pensa che Mononoke è del 1997. 

Natura e uomo. Tanto vicini eppure tanto lontani, due realtà antinomiche incapaci di parlarsi e conciliarsi. 

In “Nausicaa della Valle del Vento” il mondo intero è stato cancellato da una terribile guerra atomica che ha distrutto gran parte della civiltà. 

In compenso il pianeta Terra è (ri)tornato in pieno possesso della Natura, un po’ come è successo durante il lockdown, che si difende dalla armi nucleari con forme di flora e fauna aggressive e mortali per l’uomo. Genera spore velenose e tossiche letali per gli umani.

Anche il tema della guerra e dello spettro delle armi atomiche rappresenta una costante nell’animazione nipponica. 

Perennemente in bilico tra tecnologie super avanzate e tradizioni millenarie il fascino della cultura giapponese sta tutto in questa dualità.

L’immagine indelebile del famigerato e tristemente famoso Fungo atomico di Hiroshima fa parte dell’Inconscio Collettivo nipponico, troppo sconvolto dal dolore che il trauma di quella storia ha causato. Spesso, infatti, nelle esplosioni inscenate nei cartoni animati si riconosce chiaramente la forma del fungo atomico di Hiroshima. Volendo scomodare la psicologia ed il celebre Test proiettivo di Rorscharch, nello specifico nella Tavola IX definita la Tavola dell’Inconscio per antonomasia è facile associare questo tipo risposta alla figura colorata in essa contenuta.

*Nicoletta Romanelli, docente

*Jean-Pierre Colella, docente

Nicoletta Romanelli