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Le grandi fabbriche italiane: CEL.D.IT Cellulosa d’Italia

La distesa agraria a destra del fiume Pescara, che verdeggiante si estendeva ai piedi della collina di Chieti, in località Madonna delle Piane, dal lontano passato era occupata da un quadrivio, nodo stradale di grande importanza e per tale motivo destinato agli incontri e alle soste dei viandanti e dei pellegrini. Già da secoli in quella zona sorgeva la chiesetta dedicata alla Madonna della Catena conosciuta anche come Madonna delle Piane che richiamava tantissimi devoti in pellegrinaggio.

Nella zona antistante sorgevano un casone di terra e mattoni adibito a posto di ristoro con un ristorante e una cantina e la bottega di un maniscalco, provvidenziale quanto un gommista o un meccanico di oggi, per far fronte alle necessità dei mezzi di locomozione dell’epoca costituiti in gran parte da muli e cavalli. Allo sguardo di chi, ancora nella prima decade del XX secolo, stesse attraversando quel quadrivio, si offriva un paesaggio agricolo nel quale, ai terreni coltivati, si alternavano canneti e acquitrini, gruppi di alberi e fossati, rare case di contadini. 

Giornaliero era il traffico dei carretti recanti ortaggi al mercato di Chieti.

Il complesso della CEL.D.IT

Intorno al 1930 i due fratelli Ottorino e Umberto Pomilio di Chieti elaborarono un metodo per estrarre la cellulosa dalla paglia di frumento che consentiva di fare a meno del legno e brevettarono il “Processo Pomilio” grazie al quale nel 1936 il regime fascista decretò che a Chieti dovesse nascere una fabbrica per la produzione della carta. La costruzione di stabilimenti in grado di utilizzare materie prime e risorse nazionali come appunto la paglia di grano, rientrava a pieno titolo nell’ambito delle iniziative autartiche del regime fascista. Così, con un massiccio finanziamento statale, nel 1938 nacque lo stabilimento CEL.D.IT, acronimo di Cellulosa d’Italia. Per l’edificazione della fabbrica fu scelta proprio la zona della Madonna delle Piane dove ancora a quel tempo c’erano ben 42 ettari di campi coltivati, zona destinata a divenire negli anni a seguire “La vallata del lavoro”.

Nel cortile d’ingresso della CEL.D.IT vennero posizionate due statue in marmo travertino: la Lupa, simbolo della capitale e dell’Italia fascista e il Cinghiale, simbolo della Provincia di Chieti, l’una di fronte all’altra che si guardavano come a voler sancire l’accordo contrattuale.

Nacquero soltanto due stabilimenti del genere in Italia: l’altro era a Foggia, nel mezzo del Tavoliere delle Puglie, riserva naturale di grano. Nel 1939 gli impianti per la trasformazione della paglia in cellulosa lavoravano a pieno regime. Annessa alla fabbrica propriamente detta era stata predisposta una serie di capannoni destinati a immagazzinare le balle di paglia provenienti in gran parte dal Tavoliere delle Puglie, dalle Marche e dall’Abruzzo. 

Gran parte della manovalanza edile impiegata nella costruzione delle strutture venne poi assunta alle dipendenze della CEL.D.IT così come alcuni proprietari o coloni dei terreni espropriati. Un gruppo di operai fu addestrato per compiti più qualificati all’Istituto Tecnico Industriale di Chieti. Con una manodopera praticamente tutta locale, la fabbrica della Madonna delle Piane diede inizio alla profonda trasformazione della zona che fino al 1937 era esclusivamente agraria.  A Chieti in fabbrica vennero subito costruite: la mensa, lo spaccio e l’infermeria aziendali. Presso lo stabilimento furono costruite tre palazzine destinati ad ospitare dirigenti, capi reparto. Tra il 1939 e il 1942 vennero costruite vennero costruite le casette del “Villaggio Celdit” anch’esse progettate dalla sede centrale della Società nel 1938 ed eseguite dall’Istituto Case Popolari.

Progetto Villaggio Celdit

Per un operaio dell’epoca, un posto alla CEL.D.IT rappresentava un posto in banca. Si viveva praticamente in un grande comunità. Tra i denominatori comuni era il suono della sirena della fabbrica che scandiva i turni di lavoro. Si andava a lavorare in bicicletta mentre gli operai che abitavano sul colle arrivavano in filobus. Spesso si partecipava a manifestazioni in sostegno di altre fabbriche in difficoltà e “quelli della cellulosa” venivano scherzosamente apostrofati “aristocrazia operaia”. C’era un forte legame tra l’operaio e l’azienda a tal punto che chi lasciava il lavoro dopo tanti anni di lavoro vedeva assunto suo figlio o un parente prossimo. Nel 1940 l’Italia entra in guerra e lo stabilimento fu costretto a chiudere. Nel 1943 l’esercito tedesco in ritirata verso il Nord si portò dietro tutti i macchinari dello stabilimento CEL.D.IT di Madonna Delle Piane. Dopo varie vicissitudini, nel 1950 lo stabilimento riaprì grazie ai fondi americani del Piano Marshall. Arrivò il boom economico; tante donne iniziarono a lavorare in Cartiera, apripista locale dell’emancipazione femminile. La storia felice della CEL.D.IT attirò altri gruppi come: la Marvin Gelber, camiceria con 3000 dipendenti, la Farad Radiatori e la Richard Ginori, porcellane e cristallerie. Nella vallata a quei tempi c’erano ben 9000 posti di lavoro. Fu premiata la politica locale che aveva ceduto le aree di insediamento delle nuove industrie a prezzi simbolici, come una lira a metro quadrato per la camiceria. C’erano gli aiuti della Cassa del Mezzogiorno e una forte politica incentivante. Tra il 1951 e il 1952 la fabbrica fu colpita da una serie di incidenti: oltre 10000 quintali    di paglia presero fuoco. Ma anche quello scoglio fu superato.

Con il periodo della ricostruzione della fabbrica coincisero particolari momenti aggreganti all’interno della comunità operaia. I dipendenti insieme con le famiglie nel periodo estivo venivano portati con un camion allestito per l’occasione, a Francavilla al mare dove erano stati costruiti due grossi e ospitali casotti. 

Tra il 1954 e il 1958 vennero organizzate gite collettive in varie 

città d’Italia tra cui Roma, Venezia, Pompei, Assisi e Perugia. Nella sala mensa della fabbrica si festeggiava il Carnevale con veglioni danzanti e saltuariamente venivano proiettati film.

Per gli sportivi, che già con la squadra ciclistica facente parte della Polisportiva “Ernesto Pomilio” negli anni 1946-1949 avevano conseguito più di un alloro, ai campi di bocce e di tennis venne aggiunto quello di calcio. Nacque la squadra di calcio della CEL.D.IT prima per incontri dilettanteschi interaziendali e poi si iscrisse ai campionati provinciali. Nei primi anni ’60 ci furono molti scioperi che portarono benefici economici e normativi: premio di produzione, 14° mensilità per gli impiegati, gratifica pasquale ed estiva per gli operai. Tra il 1965 e il 1968, sia a causa di una crisi economica che soprattutto a causa dell’ingresso nell’azienda di capitale canadese, i sindacati proclamarono per tre volte l’occupazione della fabbrica.   L’ultima occupazione durò dal 20 marzo al 2 aprile 1968 e si concluse con un accordo con il colosso canadese. A pochi anni di distanza, nel 1972, la vecchia Cellulosa d’Italia si fuse con le Cartiere italiane Riunite e e la sigla CEL.D.IT scomparve per lasciare posto alla C.I.R. Poi la cartiera, da azienda pubblica passò ai privati, prima al Gruppo Fabbri che propose programmi che comportavano spese esorbitanti, e poi alla Burgo. Poi scelte politiche sbagliate statali e locali e ostacoli burocratici hanno portato nell’Agosto 2008 alla chiusura definitiva della Cartiera dopo 70 anni di grande attività e produzione, cancellando dal panorama lavorativo in un attimo una delle aziende più serie e produttive che si fossero insediate nella Valle del Pescara. Moltissimi furono gli operai licenziati. 295 furono posti in cassa integrazione dei quali solo il 30%, ovvero 90 unità, furono ricollocati. In aggiunta all’ingente danno causato a migliaia di famiglie rimaste senza lavoro o costrette ad abbandonare Chieti per andare a lavorare altrove un secondo scempio fu quello di abbattere tutti gli edifici della Cartiera (a parte una palazzina) che andavano invece conservati come archeologia industriale e tutelati a memoria del periodo di maggior ricchezza economica della città di Chieti e del suo circondario. 

*Marilisa Palazzone, docente

Marilisa Palazzone