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Il vecchio e il pane

Davanti al banco del pane il vecchio indugia. Il commesso aspetta l’ordinazione che non arriva, e sorride, mentre dà  un occhio impaziente agli altri clienti in attesa. Il vecchio continua a guardare il pane esposto nella vetrina, ma non si decide. Guarda e pensa. Poi finalmente, appoggiando l’indice sul vetro dove sono esposte delle pagnotte tonde e dorate dice: -Me ne dia una ben cotta, ma non bruciata, bassa ma non schiacciata”.

Il vecchio ha parlato lento, nel tempo sospeso del negozio scintillante di vetrine lucide ed allumini, di specchi, di luci che illuminano forme, arzigogoli di sfilatini e michette, mezze lune e lune intere, palatoni, ferraresi, e poi brioche, danubi, cornetti, pizze e pizzette, tranci, grissini, biscotti …. 

-Scelga lei –  Il commesso ha capito che per sbrigarsi è meglio semplificare le operazioni. Prende alcuni pezzi di pane e, ad uno ad uno, li mostra, li tasta, li crocca. E il vecchio è come se stesse sentendo una musica che lo riporta ad un tempo lontano, fatto di forme e odori, lontano quanto il tragitto che passa tra l’inizio e la conclusione della vita. Un tempo di transito, provvisorio, incerto, a dispetto di tutti quelli che, in fila, aspettano il proprio turno. 

-No, questo non mi piace, ne prenda un altro, mi scusi”.

Il commesso esegue.

-No, questo nemmeno, è poco cotto. Ieri me lo ha dato troppo molle, la mollica era pesante, mi è rimasto sullo stomaco.”

Il commesso mostra altre forme ancora, -Preferisce questo, o questo o questo – le indica – le consiglio questo, è leggero, lievito naturale … 

-Ma è fatto nel forno a legna? Con le fascine? Sicuro? Ha una forma troppo regolare, non credo …”

Il commesso si è stancato, qualcuno in fila mormora.

-Veda meglio, prenda quello, no, non quello, quello più sopra, quello lì, di lato. Sì. Ecco, mi faccia vedere. No, mi sono sbagliato, meglio

quello di prima”. 

Il commesso ha perso la pazienza: – Signore, per favore, ci sono gli altri clienti, si decida…”

Il vecchio si gira, e sembra accorgersi solo adesso delle persone alle sue spalle, due donne un paio di uomini. Sorride. Nessuno ricambia, tutti aspettano che se ne vada.

“Scusate – dice – voi forse non sapete come era il pane di una volta, ma adesso è complicato, sembra bello e buono, ma poi …

Il sapere del pane, un sapere perduto nell’era della michetta, del pane senza mollica, del pane senza sale, del pane probiotico, del pane integrale, di soia, senza lievito, con poco lievito, con il lievito chimico, con il lievito naturale, con il finto lievito, con il lievito che c’è ma non si vede; pane ai cinque cereali, di segala; pane “senza”, pane non pane, pane che non ricorda più d’essere pane. Se ancora sopravvive, è un pensiero intimo, riflessivo, fatto di sensazioni, di ritorni di memoria, è chiuso e impenetrabile quanto il tempo che tocca a ciascuno di noi. Non si sposta, non si allontana, progredisce e si evolve senza possibilità di misura, in perfetta solitudine. Non si trasmette. Sta lì e ritorna nei gusti, nelle scelte, nelle bolle di pensiero di ogni individuo. Così il gusto e il sapore, legati ad ogni epoca della vita, all’infanzia, alla gioventù, alla senilità. Ad una sola vita, a quella sola. E’ quella conoscenza che gli altri ignorano, che gli altri non capiscono, legata all’olfatto, alle papille gustative, al senso tattile, alla forma. Se il pane è un sapere, è sapere anche la scelta di quel singolo pezzo, perché, solo, corrisponde all’intima essenza di chi lo sceglie, solo a quel particolare ed unico colore che ha preso cuocendo, solo a quell’odore ed al rumore che fa quando le mani lo stringono fino a sfrollarlo, a fratturarlo, a separarlo. Scoperto tra cento, l’unico che promette quel sapore, quella forma, quell’odore. L’unico che ha memoria, la stessa memoria di chi lo spezzerà per mangiarlo, come esito di una scelta meditata ed alla fine gioiosa. E domani sarà un giorno in più da aggiungere al sapore del ricordo. E il pensiero del pane, pensiero individuale, eppure processo logico universale, è la matrice di mille saperi, da quelli ingenui dell’infanzia a quelli sfumati e lenti dell’ultimo tempo. 

Tante volte mi chiedo quale sia stato l’ultimo pensiero di mio padre. E in che misura, essendo l’ultimo ed essendo stata lunga la sua vita, quel pensiero fosse vecchio, lontano, definitivo. E so pure che quel modo di pensare, di mettere insieme i concetti, di organizzare le idee, unico e solitario, sta dentro di me da qualche parte. Non so come, non so dove. A volte ci penso mentre spezzo il pane.

*Bruno Pezzella, scrittore

Bruno Pezzella