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Clochards: quelli che per tetto hanno il cielo

Nelle nostre città esiste un popolo di gente che fa della strada la propria casa.

Sono persone che hanno problemi: dal disagio psichico, all’alcolismo, alla tossicodipendenza, problemi familiari, come causa ed effetto. Noi arriviamo a ‘cose fatte’ e quindi è difficile risalire, di lacerazione in lacerazione, fino alla causa iniziale. Ci sono degli eventi scatenanti che cadono su un terreno con problematiche, quindi si generano crisi radicali. E’ un fenomeno che interessa tutte le città. A Bologna “Piazza Grande” è l’emblema di questo problema. A ricordarcelo è quella bellissima canzone che ne porta il titolo e composta da quel poeta, famoso personaggio della musica italiana che fu Lucio Dalla. Lui viveva in Via D’Azeglio, nel cuore della città e parte della notte spesso la trascorreva in compagnia dei clochards. Era loro amico, li comprendeva perché prima di diventare famoso aveva vissuto con loro. “…con me di donne generose non ce n’è, rubo l’amore in Piazza Grande…a chi mi chiede prendo amore e amore do, sbagliato o no…” I suoi versi fanno comprendere che per i Clochards l’amore vero è un lusso, intendendo per amore non solo il sesso ma il calore affettivo, bisogno di ogni essere umano.  Così questa gente della notte si racconta e vive la vita sotto la luce dei lampioni, silenziosi e complici di amori giusti e sbagliati. 

Si scopre un altro mondo e ci si rende conto che non sono solo quelli che incontriamo a dormire per terra, sotto i portici, a fare questa vita da Clochard, che tante volte nell’anima e nel cuore lo siamo stati anche noi, quando abbiamo dovuto misurarci con eventi inaspettati e più grandi di noi.  “A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io…” L’amore, l’affetto che per tutti è una necessità, per questa gente diventa un lusso negato e si riscaldano con i compagni di strada, sapendo che quando si è accomunati dalla stessa sorte non si giudica, basta vederli quando sono tutti accovacciati accanto a un fuoco acceso, con qualche sedia o mobile raccattati dai cassonetti… “voglio morire in Piazza Grande…” 

La morte non la temono, la sfidano tutte le notti e non fa paura se la incontreranno in una piazza che ormai appartiene solo ai randagi, sia uomini che animali. Non hanno progetti, speranze, ma non sono disperati. Taluni di loro hanno uno sguardo dignitoso, fiero e non chiedono altro che un piatto di pasta nei centri di accoglienza, dove se sono fortunati trovano da dormire per qualche notte. Alcuni rispondono di sentirsi liberi, senza responsabilità, senza dover rendere conto del fatto di non riuscire a trovare un lavoro, sentirsi accusato di non saper procurare il pane ai propri figli, di vergognarsi dinanzi a chi cammina e non ti degna di uno sguardo mentre tu tendi la mano e i passanti girano la faccia. La scelta è da rispettare quando è libera, “…ma la mia vita non la cambierò, mai, mai…quello che sono l’ho voluto io…” quando la rinuncia avviene con consapevolezza e non come unica possibilità di sopravvivere dopo aver perso tutto, dopo essere stato ammalato e dimenticato, dopo che la tua stessa famiglia ti ha spinto fuori dall’uscio perché eri solo un peso. Dinanzi ad ogni singolo uomo che ha fatto questa scelta, si ha la responsabilità di averlo visto affogare senza aver dato alcun aiuto, forse scansandolo per passare, come fosse un inciampo sulla nostra strada.

Di tutti ci si occupa, della ricerca, dei bambini abbandonati, degli animali lasciati in autostrada e allora mi dico: perché non costituire un’Associazione onlus che consenta l’adozione a chilometro zero di un Clochard? I vecchi sono il nostro passato, la nostra storia e non possiamo rimanere indifferenti dinanzi alla loro fragilità e le loro vicissitudini che li annientano, se vissute in solitudine. Il problema non è il piatto di pasta, non serve sfamarli un giorno, no, occorre toglierli dal marciapiede, permettere loro di recuperare la fiducia, la speranza per rivivere e non continuare a sopravvivere per strada, coperti da un cartone e riscaldati da un cane, unico e fedele amico.

*Caterina Guttadauro La Brasca, scrittrice

Caterina Guttadauro La Brasca