VerbumPress

La nostra casa spaziale da 20 anni: la stazione spaziale internazionale

>> bolle spaziali

Il 2 novembre 2020 è stato un anniversario molto importante dal punto di vista dell’esplorazione spaziale. Il 31 ottobre di 20 anni fa, infatti, dal cosmodromo di Beikonur in Kazakistan è stata lanciata una sonda Soyuz che, dopo un viaggio di due giorni, ha portato i tre astronauti della cosiddetta Expedition 1, verso la neonata Stazione Spaziale Internazionale (ISS). William Shepherd, Yuri Gidzenko e Sergei Krikalev arrivarono sani e salvi sulla ISS il 2 novembre 2000 e furono i primi abitanti di questa casa “spaziale” che, da quel momento, non è più stata disabitata.

La ISS è stata costruita pezzo dopo pezzo direttamente in orbita, a circa 400 km di distanza da noi a una velocità orbitale di quasi 28000 km/h: un giro della terra nel tempo di una partita di calcio. Il suo primo modulo, Zarya (“alba” in russo), è stato lanciato nel 1998 e alcune parti sono state aggiunte ancora nel 2019. Un puzzle straordinario, grande quanto un campo di calcio, frutto della collaborazione di moltissimi paesi: USA, Europa, Giappone, Canada e Russia. Dimostrazione di quanto possa essere creato dall’essere umano quando capisce che “l’unione fa la forza”.

Dopo quella famosa Expedition 1, sono stati 240 gli astronauti ad abitarla, da 19 paesi diversi. Di quei 240, 5 vengono dalla nostra Italia e sono stati lassù anche più di una volta: Umberto Guidoni, Roberto Vittori, Paolo Nespoli, Luca Parmitano e Samantha Cristoforetti. 

 In questo momento, mentre sto scrivendo, stanno guardandoci dalla famosa Cupola della ISS (costruita nella Thales Alenia Space di Torino) i primi tre membri dell’Expedition 64, Kate Rubins, Sergey Ryzhikov e Sergey Kud-Sverchkov, che sono in attesa degli altri 4, Mike Hopkins, Victor Glover, Shannon Walker e Soichi Noguchi, che li raggiungeranno a breve con la capsula Crew Dragon dell’azienda privata di Elon Musk, la Space X, nella sua prima missione ufficiale sulla ISS. Resteranno lassù fino ad aprile 2021. E pensate, l’americana Kate Rubins ha votato per le presidenziali direttamente dallo spazio.

Le condizioni di vivibilità della ISS possono lasciare a desiderare noi poveri esseri umani con i piedi per terra; vi assicuro, però, che per girare sopra le nostre teste a tutta birra, abbiamo creato un ambiente niente male. L’atmosfera che respirano lassù è la stessa che respiriamo noi sulla Terra.  Possono mangiare cibi ormai quasi decenti (soprattutto rispetto a quelli liofilizzati dei primi astronauti delle missioni Apollo); possono dormire, per quanto debbano legarsi saldamente ai letti perché non c’è nulla che li tiene “giù”. Possono lavarsi, facendo i conti col fatto che hanno a disposizione soltanto 0.5 litri d’acqua al giorno, per fare tutto (sulla terra ne usiamo circa 50 litri per una doccia, per dire). E cosa non da poco, possono andare in bagno, sempre facendo estrema attenzione a tenersi perché non sarebbe piacevole fluttuare sulla tazza e vedere i propri “prodotti corporei” fluttuare intorno. Insomma, si può fare.

Nonostante lassù tutto fluttui, però, lassù la gravità c’è eccome, è soltanto un 10% in meno di quella che sentiamo sulla terra. Il motivo per cui tutto svolazza, astronauti compresi, è una condizione particolare, detta microgravità. La ISS è costantemente attirata verso il nostro pianeta dalla forza di gravità; la sua rotazione, però, genera la forza centrifuga (la stessa che vi “spiaccica” addosso ad uno sportello dell’auto quando fate una curva un po’ troppo sprint) che controbilancia perfettamente la gravità (e non per caso). Risultato: la somma delle due forze è zero e sulla ISS si vola. La fisica è davvero straordinaria.

Come potete immaginare, comunque, la microgravità crea qualche piccolo scompenso al nostro corpo. Le ossa si decalcificano perché, non dovendo più sostenere il suo stesso peso, il corpo pensa che serva meno calcio. Il tono muscolare viene meno, sempre perché non c’è alcuno sforzo dei muscoli lassù. Per questo motivo sono fondamentali l’utilizzo di cibi “integratori” e l’esercizio fisico, al quale ogni astronauta deve dedicare più di un’ora al giorno. Dulcis in fundo, il sangue anche non subisce più la giusta pressione verso il basso e “va alla testa”, motivo per cui solitamente gli astronauti hanno quel colorito “sbronza”.

Un altro problema affatto banale è quello delle radiazioni. Il sole in primis, ma in generale l’intero universo, emettono particelle ad altissime energie (chiamate “raggi cosmici”) molto pericolose per gli esseri umani. Sulla superficie terrestre noi siamo protetti grazie al campo magnetico e alla nostra atmosfera. Man mano che ci si allontana dalla superficie, però, la protezione si riduce. Già su un aereo, il quantitativo di radiazioni arriva a essere 100 volte rispetto a quello sulla superficie e all’altezza della ISS siamo oltre le 300 volte. Uno dei maggiori obiettivi degli studi nella ricerca spaziale è proprio trovare un modo di proteggere meglio gli astronauti sulla stazione, anche in vista delle future esplorazioni a lunga durata di Luna e Marte.

Ma serve davvero vivere per mesi in queste condizioni sospesi sopra la Terra? Assolutamente sì. Parliamo, certamente, delle enormi possibilità per lo sviluppo della ricerca astrofisica e spaziale. Sulla ISS ci sono strumenti fortemente legati all’universo, come AMS-02, un rivelatore di raggi cosmici (appunto) e essa è un vero e proprio banco di prova per studiare gli effetti dello spazio sulle nostre diverse forme di vita e, quindi, su un essere umano, sempre considerando l’idea di spingerci oltre. L’esperimento dei gemelli ne è un esempio. Due astronauti gemelli omozigoti, Mark e Scott Kelly, sono stati tenuti sotto osservazione mentre uno era sulla ISS e l’altro a terra; non poteva esserci occasione migliore di questa per studiare gli effetti “spaziali” sul corpo umano (spoiler: il nostro corpo sa adattarsi davvero a qualsiasi condizione, tornando poi alla sua normalità quasi, e sottolineo quasi, del tutto). 

Ma ciò che forse non si immagina è quanto la ISS e gli esseri umani a essa legati, ci aiutino a migliorare le nostre vite quaggiù. Prima di tutto, parliamo di un vero e proprio osservatorio della Terra: grazie alla ISS si è capita l’importanza di avere reti satellitari che ne monitorassero i livelli del mare, le condizioni atmosferiche, i movimenti dei ghiacciai. Ed è un laboratorio di test per qualsiasi tecnologia si voglia sviluppare a tale scopo. La necessità di non poter spendere milioni di dollari per portare acqua lassù ha portato allo sviluppo di un sistema ad alta tecnologia capace di riciclare il 93%, ripeto il 93%, di tutta l’acqua prodotta, proprio tutta tutta. Immaginate quanto un sistema del genere portato sulla nostra Terra possa aiutare un problema così immenso come la carenza di acqua.

Le condizioni di microgravità, poi, permettono di fare studi molto utili dal punto di vista medico. Si analizzano, per esempio, le proprietà intrinseche dei linfociti T, coinvolti nell’alzheimer, proprietà che, sulla Terra, sono alterate dalla gravità. Come quelle di alcuni medicinali che potrebbero aiutare a combattere il cancro. E sono solo due esempi. Ultimo ma non ultimo, c’è ovviamente lo studio della radiazione cosmica, degli effetti che ha sull’uomo e delle tecniche per poterci proteggere. Nello spazio come sulla terra. 

La tecnologia che è stata sviluppata per sondare ed esplorare lo spazio è quella che ha permesso lo sviluppo della tecnologia che ci circonda ogni giorno, quella che ha aumentato le nostre aspettative di vita e che ci permette di vivere come viviamo. Spingerci oltre i nostri limiti ci permette di scoprire cose che, vivendo nella normalità, non scopriremmo mai.

Quindi, d’ora in poi, quando riuscirete a scorgere a occhio nudo la ISS passare sopra le vostre teste, o semplicemente quando alzerete gli occhi verso le stelle lontane, pensate che l’universo è molto più vicino a voi di quanto abbiate mai creduto.

*Martina Cardillo, astrofisica

Martina Cardillo