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La lunga notte americana

L’editoriale più lungo nella notte infinita delle elezioni presidenziali a “stelle e strisce”. A quattro giorni dal voto, mentre scrivo, il conteggio è ancora in corso in cinque Stati chiave. I fatti ci raccontano di un’America “spaccata in due”, divisa tra gli estremi di Donald Trump e Joe Biden, il normalizzatore. Lo stesso Biden nella notte del 6 novembre ha dichiarato alla nazione: “Stiamo vincendo, siate calmi e pazienti. Siamo una sola America”. Risultato in bilico ma importanti vittorie per il candidato dem che si aggiudica anche l’Arizona e la Georgia ed è in vantaggio in Pennsylvania. 

La fine di Trump ma non del “trumpismo”, ormai radicato nell’America profonda, un malessere che non tarderà a sfociare specie se i disastri economici, causati negli ultimi anni da finanza spericolata e pandemia globale, non verranno sanati da politiche volte a riequilibrare quel ceto medio frustrato da un progressivo indebitamento e spesso col “fiato corto”. 

Basterà? Staremo a vedere. Intanto se è vero che il “ticket” di Joe Biden sarà sicuramente il più votato della storia delle presidenziali USA ce da dire che il 46° presidente degli Stati Uniti ha tradito le attese rispetto alla volontà, dichiarata, di prendersi il volto di un’intera comunità in rapida espansione: gli ispanici.  Gli strateghi di Biden hanno puntato molto alla nascita di una coalizione multietnica destinata a rappresentare la maggioranza degli elettori, proprio per mandare in frantumi il progetto populista trumpiano. In realtà questo sogno si è infranto sugli ispanici che, notoriamente, non sono una minoranza compatta. Decisivi per Biden si sono rivelati i bianchi, soprattutto quelli delle famiglie impoverite. Al netto di questa interpretazione rimane vivo lo spirito di Trump che continuerà, stiamone certi, a influenzare le prossime tornate, il ritorno del “voto postale” e dello scontro legale sui risultati e quel senso di fragilità che ormai l’America mostra di sé da qualche decennio. 

Infine, la “battaglia” sui media: Fox News e CNN sono state tra le poche televisioni statunitensi a trasmettere integralmente il discorso con cui Donald Trump ha dichiarato che le elezioni presidenziali 2020 sono state truccate e che molti dei voti sono illegali. Tanti i giornalisti dei network americani che invece hanno deciso di interromperlo e spiegare agli spettatori che ciò che il presidente degli Stati Uniti stava dicendo fosse falso. Questa è l’America.

Per questo numero – il quinto – ho preparato un breve approfondimento sulla storia della campagna elettorale americana, da sempre il palcoscenico delle tecnologie più innovative e delle idee più ambiziose. Vorrei ringraziare, ancora una volta, tutti i nostri autori che con entusiasmo e passione contribuiscono a rendere sempre più variegato e multidisciplinare il nostro giornale. Questo mese poi lanceremo il nuovo sito e accogliamo nella nostra “squadra” Domenica Puleio, con un grande “in bocca al lupo”, nuovo vicedirettore, con la speranza che possa portare il suo contributo aiutandoci a perseguire il progetto di crescita che ci siamo prefissati.  E adesso l’America, con le sue “lunghe notti” e la sua storia sempre diversa. 

Gli Stati Uniti al voto, dal treno di Harry Truman ai Tweet di Donald Trump

La più imprevedibile e spettacolare sfida politica celebrata in un paese democratico: le elezioni presidenziali americane. I motivi sono sotto gli occhi di tutti: la sterminata estensione territoriale (proporzioni continentali), un sistema elettorale che esalta le diversità dei 50 Stati dell’Unione e la posta in palio cioè la guida della nazione più “potente” del pianeta, oltre a quel pizzico di imprevedibilità che ha sempre accompagnato il risultato del voto. 

George Washington e la storia. Tutto ha inizio quando i Padri Fondatori creano un sistema elettorale volto a sganciarsi dalle tradizioni monarchiche del Regno Unito, assegnando così al popolo la responsabilità di scegliere il suo leader. George Washington – generale protagonista della guerra d’indipendenza – viene eletto primo presidente nel 1789, anno di rivoluzioni, quando solo i “bianchi” avevano diritto al voto. Da allora le presidenziali si svolgeranno ogni 4 anni nell’Election Day che cade sempre il primo martedì di novembre.  La prima “vera sfida” si avrà però solo nel 1796 dopo la scelta di Washington di non ricandidarsi per un terzo mandato: il confronto è tra il federalista Adams e il repubblicano Thomas Jefferson. Nel 1812 si vota in tempo di guerra, nel pieno del conflitto con gli inglesi e con la Casa Bianca in fiamme, nel 1860 il repubblicano Abramo Lincoln si candida affermando l’idea di voler abolire la schiavitù: vincerà per 400mila preferenza di differenza grazie al blocco degli Stati del Nord, prologo della sanguinosa Guerra Civile americana fra Unione e Confederazione. Nel 1912 la sfida Theodore Roosevelt e Woodrow Wilson inaugura il Novecento, la Prima guerra mondiale partorirà la nascita della Società delle Nazioni. Nel 1932 l’affermazione di Franklin Delano Roosevelt su Hoover durante la Grande Depressione apre la strada al New Deal, la Seconda Guerra mondiale trasformerà Roosevelt in un’icona della liberazione dal nazi-fascismo, i suoi quattro mandati di fila un’eccezione che non si ripeterà. Nel 1960 la sfida tra John Kennedy e Richard Nixon porta il dibattito politico in TV ipnotizzando un intero Paese, contribuendo ad aumentare la popolarità del giovane candidato sognatore democratico: il primo cattolico a sedersi nello Studio Ovale. Lo stile e la famiglia di Kennedy impongono nella comunicazione politica, da lì in avanti, il modello positivo di un giovane leader capace di indicare alla nazione un nuovo orizzonte. Nixon chiude poi la disastrosa guerra in Vietnam ereditata da Lyndon B. Johnson, distende i rapporti con la Cina di Mao e viene rieletto nel 1972 prima di essere travolto dallo scandalo del Watergate. Gli anni ’80 sono dominati da Ronald Reagan, conservatore che promette il taglio delle tasse e sfida a viso aperto l’URSS, ricetta che pone le premesse del boom economico e della vittoria dell’Occidente nella Guerra Fredda creando una nuova tipologia di elettori: i “Reagan’s Democrats”. Bush padre continua l’Era Reagan vincendo formalmente la Guerra Fredda e libera il Kuwait dall’invasione delle truppe di Saddam Hussein alla guida di una grande alleanza internazionale sotto l’egida dell’ONU. La stagione dei Clinton si apre negli anni ’90, tra le più lunghe e controverse della politica a stelle e strisce, Bill Clinton supera l’impeachment per il Sexgate e Hillary diventa senatrice di New York. Nel 2000 è George W. Bush a sfidare Al Gore e, ideologicamente, l’Era Clinton, il tutto esaltato dal risultato che vedrà assegnare la presidenza tramite un verdetto della Corte Suprema di Washington sulla riconta dei voti contestati in Florida. Il presidente dell’11 settembre guiderà la nazione nell’imprevista sfida globale ad Al Qaeda ottenendo la rielezione nel 2004. Nel 2008 trionfa il sogno del primo presidente afroamericano con il suo “Yes, we can”, Obama è nella storia, ma nel 2016 lascia il posto alle urla e all’uso spesso aggressivo dei social di Donald Trump.

La campagna elettorale americana è il palcoscenico delle tecnologie più innovative e delle idee più ambiziose, il treno fu decisivo per Lincoln, la radio per l’elezione di Franklin Delano Roosevelt, il dibattito in TV ha cambiato la comunicazione politica attraverso John Kennedy, gli spot di Bush padre hanno travolto Dukakis, i gruppi Facebook di Obama hanno umiliato i supporters di McCain e i tweet di Trump hanno avvelenato la campagna contro Hillary Clinton. La corsa alle presidenziali 2020 verrà ricordata per i comizi annullati e la costante Covid19 a fare da sfondo a una stagione difficile sia per il presidente in carica sia per lo sfidante democratico che poco ha infiammato i cuori degli americani. Prima di abbandonarci alla lunga notte dell’Election Day ripercorriamo, in breve, i momenti salienti delle ultime elezioni dal secondo dopoguerra ad oggi.

#1948 La prima campagna del dopoguerra ha un finale già scritto, Truman – in difficoltà e subentrato a Roosevelt – parte in svantaggio contro il repubblicano Dewey. I viaggi in treno dei due candidati s’incrociano talvolta, ambedue lasciano la politica estera sullo sfondo, ma perché alla fine la spunta Truman? Rimane ancora un mistero: 303 grandi elettori contro 189. Nel 1948 lo Stato di Israele dichiara la propria indipendenza e si svolgono – in aprile – le prime elezioni della Repubblica italiana stravinte dalla Democrazia Cristiana.

#1952 Gli Stati Uniti entrano nella lunga Era della Guerra Fredda, si sfidano un generale di lungo corso Dwight Eisenhower, repubblicano, e il democratico Adlai Ewing Stevenson. Il generale Eisenhower ricordava l’Europa libera, capo delle forze armate alleate contro la Germania hitleriana, considerato in Europa tra i maggiori interpreti della politica di Truman e Marshall, vince con risultato da capogiro: 442 grandi elettori contro gli 89 di Stevenson. Nel 1952, a febbraio, inizia anche il regno dell’allora 25enne Elisabetta II e in luglio entra in vigore il trattato istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, primo passo verso l’Ue, va in onda il primo telegiornale RAI. 

#1956 Il duello di quattro anni prima si ripete. È nuovamente Stevenson a sfidare il presidente in carica Eisenhower, le star di Hollywood si dividono: Bob Hope, Fred Astaire e Humphrey Bogart scelgono “Ike”, per il candidato democratico si schierano Orson Welles, Frank Sinatra, Marlon Brando ed Henry Fonda. I voti femminili superano quelli maschili per la prima volta, vince Eisenhower con la sua politica di peacemaker: la politica estera è terreno suo. 457 grandi elettori contro i 73 di Stevenson. Anna Magnani è la prima attrice italiana a vincere l’Oscar. 

#1960 La recessione non aiuta i repubblicani ma l’astro di John Kennedy travolge la politica a stelle e strisce. Finanza e comunicazione, un nuovo linguaggio politico e il grande carisma mediatico gli ingredienti per la vittoria. Il dibattito per la prima volta in TV, la stampa può rivolgere le domande a Kennedy ed allo sfidante Richard Nixon, non era mai successo. Vince Kennedy per 303 grandi elettori a 219. Il ruolo della First Lady cambierà grazie all’indimenticabile Jacqueline Kennedy.

#1964 L’America è ancora sotto choc per l’assassinio a JFK, il vicepresidente che ha preso il suo posto Lyndon B. Johnson sfida il repubblicano Barry Goldwater. La campagna elettorale è affidata a grandi agenzie pubblicitarie, brevi film propagandistici invitano a votare i due candidati: la mercificazione del voto. Notevole lo sforzo di Claudia Alta Taylor detta “Lady Bird” la First Lady che girò in treno tremila chilometri stringendo mani e organizzando circa 40 discorsi. Johnson vince soprattutto per il Civil Rights Act che rendono illegale discriminare qualcuno in base al colore della pelle, sesso o nazione di provenienza. 486 grandi elettori contro i 52 del repubblicano Goldwater. Quell’anno Martin Luther King riceve il Nobel per la pace. 

#1968 L’anno simbolo della protesta vede la campagna infiammarsi, due assassinii scuotono gli Stati Uniti: Martin Luther King e Robert Kennedy, una famiglia che non trova pace. Richard Nixon sfida il democratico Hubert Humphrey, la nazione non si sente ben rappresentata dai due candidati soprattutto sui cocenti temi di politica estera e sulle crisi razziali al suo interno. Vince Nixon per 301 grandi elettori a 191

#1972 Elezioni ricca di veleni tra arresti e spie, il Vietnam e la fine del boom economico: Nixon sfida il democratico George McGovern. Il presidente in carica normalizza i rapporti con Cina e URSS, sul piano interno deve fare i conti con il crollo dell’american dream. L’immagine ottimistica del “nuovo mondo”, paese della libertà, delle “opportunities”, si stava sgretolando. La crisi delle grandi città come New York e Los Angeles era conseguenza di ciò, delinquenza, sporcizia, inquinamento, corruzione municipale e disservizi caratterizzarono la vita dei grandi centri urbani statunitensi in quegli anni. Nixon sbaraglia McGovern ottenendo 520 grandi elettori contro 17, il 96,7% contro il 3,2. Numeri da capogiro. 

#1976 Gerald Ford, subentrato a Nixon travolto dal Watergate, sfida Jimmy Carter che punta tutto su una corsa da outsider che rimarrà nella storia. Il democratico punta tutto sulla politica estera: dal riconoscimento della Cina al dialogo con l’Europa, con Mosca proseguirà la distensione dei rapporti. 297 grandi elettori contro 240, vince Carter. In aprile Steve Jobs fonda la Apple Computer Company. 

#1980 La crisi degli ostaggi in Iran e le promesse liberali di Ronald Reagan, candidato repubblicano, un dibattito televisivo che non favorirà nessuno dei due contendenti e la vittoria schiacciante dell’ex attore contro il presidente uscente Jimmy Carter per 489 grandi elettori a 49. L’8 dicembre John Lennon viene assassinato fuori dalla sua casa di New York. 

#1984 La campagna è in realtà un test per sondare quanto gli americani amano Reagan e la sua presidenza: sarà un plebiscito. Il democratico Mondale sceglie una donna, mossa disperata più che coraggiosa, Geraldine Ferraro primo esponente politico italo-americano ad affacciarsi sulla soglia della Casa Bianca. Perché rivince Ronald? Alla Convention di Dallas si rivolge al cuore degli americani di ogni gruppo ed estrazione sociale, i sentimenti sono gli stessi a cui seppe dar fuoco nel 1980: la nostalgia dei valori perduti, la famiglia, la libertà individuale, il prestigio della nazione americana. L’America “is back” afferma trionfalmente, il gigante paziente e generoso che protegge la prosperità dei suoi cittadini e garantisce la pace nel Mondo. Già, ma a che prezzo? Dibatti a fiumi sulla nuova ondata di patriottismo occuperanno le prime pagine dei giornali dell’epoca. Reagan ridusse tutta la sua comunicazione politica usando il linguaggio degli spot televisivi: immagini patinate, praterie coi cavalli, bambini biondi e ben pasciuti e massaie al supermarket come a voler dire: “Voi vi sentite frustrati e non sapete come “usare” il “prodotto America”, ebbene, venite da noi perché noi sappiamo come convincervi non solo che esso funziona bene, ma che voi l’amate moltissimo e ne siete fieri”. 525 grandi elettori contro i 13 di Mondale che vincerà solo in due Stati. 

#1988 George Bush continua la corsa iniziata da Reagan contro Michael Dukakis che dimentica l’elettorato afroamericano infiammato dalla candidatura nelle primarie dem di Jesse Jackson, primo serio candidato presidenziale di colore nella storia degli Stati Uniti. Cambia il mondo, cambiano amici e nemici, il presidente che formalmente vincerà la Guerra Fredda. Per Bush 426 grandi elettori contro i 111 di Dukakis. 

#1992It’s the economy, stupid”. La sfida è tutta sul campo economico tra il dem Bill Clinton e il presidente uscente George Bush, un cambio di passo inatteso e la recessione non aiuterà il repubblicano e pone fine idealmente all’Era di Ronald Reagan. Clinton trionfa in Tv sciorinando statistiche e cifre con grande disinvoltura e vince pronunciando la parola “cambiamento” contro un George Bush sempre più stanco e che appare sempre più “fuori tempo” rispetto al rivale. Il grande programma economico sbandierato da Clinton prevede risparmi nel bilancio militare, tassazione dei profitti delle aziende straniere che lavoro in territorio statunitense e un aumento delle imposte sui redditi alti. Vincerà per 370 grandi elettori a 168

#1996 Nel 1994 i democratici perdono Camera e Senato e Clinton parte in difficoltà contro il repubblicano Bob Dole, l’ultimo round in Tv fa risalire la china al presidente in carica che viene premiato, anche stavolta, dagli elettori. Vince il Clinton pragmatico degli ultimi due anni di mandato rispetto a quello ambizioso dei primi due, il sistema sanitario non è stato trasformato – come da proclami – per garantire assistenza sanitaria a tutti gli americani. L’ottima performance in economia è l’altra chiave del suo successo: 370 grandi elettori a 159. Il Sexgate verrà superato. 

#2000 Il nuovo millennio si apre con l’incognita più grande: chi scegliere tra una dinastia repubblicana (quella dei Bush, si candida George W.) e il vicepresidente di Clinton: Al Gore. La contesa passerà alla storia, deciderà un giudice. La nuova frontiera è la rete, messaggi personalizzati per i diversi elettorati. Per la prima volta da più di cento anni diventa presidente chi ha avuto meno voti nel suffragio nazionale! Bush vince grazie a qualche centinaio di voti di vantaggio in Florida, di fatto per un solo voto di maggioranza: 271 grandi elettori contro i 266 di Al Gore che raccoglie il 50,9% dei voti contro il 47,9 dello sfidante repubblicano. 

#2004 L’11 settembre cambia lo scenario e catapulta gli Stati Uniti e George W. Bush in una guerra imprevista contro Al Qaeda, John Kerry ha poche chance. 286 grandi elettori a 251, viene rieletto il presidente uscente. Il 4 febbraio Mark Zuckerberg manda in rete il social network Facebook.  

#2008 Il Mondo entra in una delle più terribili recessioni degli ultimi 100 anni scatenata dai mutui subprime, Barack Obama sarà eletto primo presidente nero della storia degli Stati Uniti con il suo “Yes, we can”. L’”Obama generation” cambia l’America, i giovani invadono di gioia le piazze, Obama prenderà 332 grandi elettori contro i 206 assegnati allo sfidante repubblicano John McCain

#2012 Obama incontra gli operai nel Midwest, colpito dalla crisi delle manifatture, la First Lady Michelle è sempre più popolare, il presidente reitera l’impegno degli Stati Uniti nei teatri esteri sempre più infuocati da tensioni crescenti, da Bagdad a Kabul. Ma la vittoria del 2012 non sarà sorella di quella del 2008 quando la Casa Bianca fu conquistata grazie a un messaggio potente di cambiamento e novità. Quell’incanto e quella speranza svanirono, sostituiti però dalle speranze che milioni di americani videro ancora possibili di una loro realizzazione tramite Obama. Il primo presidente afroamericano della storia degli Stati Uniti riuscì a saldare una minoranza bianca progressista, intellettuale e interessata soprattutto ai diritti civili con il blocco delle minoranze etniche dell’America multietnica. Ad Obama 332 grandi elettori contro i 206 di Mitt Romney

#2016 Donald Trump v Hillary Clinton, tweet al veleno e un linguaggio politico fatto di urla e colpi bassi. Leak, inchieste e fake news: ancora una volta le elezioni si rinnovano e sorprendono il Mondo. I “dimenticati” salpano sulla nave di The Donald che parla alla “pancia del Paese” convincendola a eleggerlo presidente. I diritti economici contano più di quelli civili: a Trump 304 grandi elettori contro i 227 di Hillary Clinton, sconfitta cocente. 

#2020 Trump v Biden. Tutto da scrivere. 

*Roberto Sciarrone, direttore responsabile di Verbum Press

Roberto Sciarrone

Direttore responsabile di Verbum Press