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Il mistero della materia che genera pensiero

Neurone e Pensiero. Insieme sono parte dello stesso magico intrigo, dell’incantesimo che fa nascere dalla materia infinitesimale la pura astrazione, un progetto illuminato e visionario messo in opera da un fantasioso Demiurgo. Neurone e Pensiero non condividono niente, uno corre in un universo chimico inseguito da scariche elettriche, l’altro disegna i destini degli essere umani. Di Neurone si sa che abita nella testa; Pensiero vaga in una dimensione che è piuttosto metafisica e sogno. Ma a volte capita che il primo improvvisamente si blocchi, e l’altro rimanga in attesa, immobile. E in questo limbo l’uomo ritorna al suo generate, all’autore della sua storia misteriosa. Come Nell’ombra del vento, meraviglioso romanzo di Zafon.

E’ stata una donna delle pulizie a dare il contributo più consistente alla grande rivoluzione nel campo degli studi sulla istologia del sistema nervoso e del cervello. Una inconsapevole e maldestra inserviente che nel 1873 all’Università di Pavia, gettò nella spazzatura un pezzo di cervello dimenticato da un gruppo di scienziati sul tavolo dove era stato sezionato ed analizzato. Ma spesso succede che sia proprio il caso ad aiutare la scienza e a far risparmiare o rendere vane ore ed ore di lavoro. Poco prima, infatti, nella stessa spazzatura, lo scienziato italiano Camillo Golgi  aveva smaltito del nitrato d’argento.

Golgi, il giorno seguente, riuscì a recuperare il pezzo di cervello. Ma durante la notte era accaduto qualcosa: tanti puntini neri erano comparsi dal niente e avevano invaso il tessuto nervoso. Il nitrato d’argento aveva reagito con la materia celebrale scoprendo una rete infinita di piccoli corpi uniti tra loro da sottilissimi filamenti.

Questa è la storia della scoperta del neurone e del metodo di colorazione del tessuto nervoso ( “la reazione nera”) usato ancora oggi. E  la scoperta valse il Premio Nobel nel 1906 a Golgi, che però affermò che i neuroni formavano una rete continua di fibre. Lo spagnolo Santiago Ramón y Cajal – anch’egli Nobel nello stesso anno -dimostrò, invece, che tra due neuroni esiste sempre uno spazio e perciò ogni neurone rappresenta un’unità anatomica e indipendente. Ciascuna di queste particelle è libera.

E forse da questo dipende la libertà di pensiero.

Ma il mistero che ancora rimane senza risposte, o con risposte solo parziali, è come facciano l’entità metafisica che chiamiamo “mente” e l’infinità di pensieri che la popolano ad essere prodotti dai 1300, 1500 grammi di tessuto gelatinoso, la materia di cui è fatto il cervello. Dentro ci sono 100 miliardi di cellule (i neuroni) specializzate nel raccogliere, elaborare e trasferire impulsi nervosi, ognuna delle quali sviluppa in media diecimila connessioni con le cellule vicine; cinquanta sono le diverse sostanze chimiche che si articolano in milioni di rametti, i dendriti, collegati ad un cavo maggiore, l’assone ( i primi ricevono i segnali in arrivo, il secondo conduce i messaggi in uscita), tutti insieme alimentano un numero di connessioni sinaptiche pari a cento trilioni.

Anche se è il contrario, la mente umana funziona come la scheda madre di un processore. Pensa, sulla base di una serie di “sorgenti” cioè le esperienze maturate durante la crescita e i pensieri derivanti dall’educazione e dall’habitat, che determinano i meccanismi che orientano altri pensieri. Così si determina un flusso continuo di processi cognitivi e ed elaborativi, che si muovono come in un circuito integrato e danno vita ai comportamenti, alle scelte, alle azioni.

A far funzionare il meccanismo è la chimica che viene riconvertita in impulsi elettrici. E “saltando” da un polo all’altro, l’impulso corre a quattrocento chilometri all’ora. E’ il tempo che serve alla mente per costruire dentro di sé un pensiero, sia esso concreto o astratto. Veloce, ma non velocissimo.

La scienza inoltre ci dice che tutte le informazioni non vengono immagazzinate nel cervello per intere, ma sono rapidamente scomposte nei loro componenti: colore, sapore, odore, movimento, profondità, intensità, suono e così via.  E non si sa come facciano questi frammenti dispersi a migliaia nelle varie aree del cervello a ricomporsi, in qualche millesimo di secondo, quando sono richiamati, e a ricostruire il ricordo completo di quella informazione o a trasformarsi in una del tutto nuova. Ma questo fa parte della metafisica, della magia del pensiero, della materia esplosa dal caos e della sua speculare astrazione.

Il pensiero è un continuo divenire e quindi il mutamento è nella sua stessa essenza. Sono i pensieri, dunque, sollecitati da stimoli esterni o interni a leggere i tempi, a indagare sulle epoche, a definire il carattere di ogni individuo. La vita quotidiana di qualsiasi individuo è fatta di pensieri che hanno forme ed intensità diverse: casuali, indotti da relazioni con altri individui, o sollecitati da emozioni o ricordi, o dalla mente che decide all’improvviso di scoprire un ricordo, un pensiero dimenticato. Ci sono pensieri che si ripetono più volte nel corso di una giornata, risorgenti, rapidi, frettolosi, obbligati, ripetitivi, meccanici, involontari, subliminali. In parte dipendono dai modi, dai costumi, dalle culture dei luoghi, in parte da un meccanismo universale, comune a tutti gli esseri umani messo in moto dall’ attività emotiva. E perciò, ogni persona ha i suoi pensieri, solo suoi. E dunque, “… nessuno ti ricorderà per i tuoi pensieri segreti”.  (Gabriel Garcia Marquez).

Leibniz (1) immaginava il cervello come un mulino meccanico e avrebbe voluto entrarci per vedere come si muovono gli ingranaggi, le ruote dentate, i nastri scorrevoli, insomma, per osservare da vicino come funziona la mente. Ma proprio Leibniz  nella  Monadologia individua il grande limite, allora come oggi, della scienza che può solo immaginare ma non “osservare”come si forma un’idea, come nasce un pensiero. Lo stesso Leibniz, però, mise addirittura in dubbio che il pensiero sia generato dal cervello. Immaginò, infatti, che sia piuttosto solo un’astrazione e nasca da tutta un’altra parte del corpo, o che esista addirittura senza avere vincoli diretti con il corpo. E questa iperbole è ancora attuale, e sembra in qualche modo avvalorata proprio dalla ricerca scientifica. Insomma dove sta la mente? Siamo sicuri che il suo”luogo” sia il cervello, solo il cervello?

C’è un passo del De rerum Natura dove la mente è descritta come una danza:

“… osserva i raggi del sole quando si infiltrano in una camera buia e vi portano la luce, e vedrai che, nel vuoto, tanti piccolissimi corpuscoli in molte combinazioni si mischiano in quella lista di luce e come in una guerra perpetua appiccano zuffe, battaglie, si affrontano, schiera con schiera e non si danno mai tregua, spinti come sono, ad apprendere come si spostino sempre gli atomi nell’infinito”.

Lucrezio, il primo umanista della storia del pensiero, il primo laico. Lucrezio e la capacità misteriosa che ha l’uomo di costruire pensieri, che si muovono in una lotta “benigna” fatta di atomi, del figliare di corpi infinitesimali, sullo sfondo dell’infinito, del moltiplicarsi e dello scomporsi e unirsi.

Il De rerum è il poema dell’origine e dell’evolversi del tempo e dello spazio, delle cose, della mortalità, dell’anima, del rapporto con Dio, che volge in poesia il sontuoso spettacolo della natura universale e della storia umana. E il … “ il terrore dell’animo e queste tenebre sono dissipati non dai raggi del sole o dai lucenti dardi del giorno, ma dalla visione e dalla scienza della natura”.

E dunque, perché non assimilare alla storia delle scoperte sull’universo quelle sul cervello umano, che pur se non si dilata e si allunga, si espande nell’astrazione della mente attraverso la conoscenza e le scoperte scientifiche. I neuroni in qualche modo somigliano ai milioni di pianeti che attraversano il cielo, che si muovono verso destinazioni sconosciute. “Non ha colonne d’Ercole, il cervello” (Maria Luisa Spaziani). Il cervello – scrive Emily Dickinson- “ è più grande del cielo ed è più profondo del mare” (1)

La pausa inattesa di quel moto perpetuo, l’improvviso comparire di un limite imprevedibile nello spazio espanso dell’infinito, così come nello spazio metafisico della mente, può essere l’occasione per “pensare” al pensiero.

E adesso, con il Covid, che sembra voler interrompere quel moto perpetuo il pensiero è cambiato? Come? Perché? In che misura? Quali sono le cause? E’ un fatto positivo, negativo?

Ma forse eravamo diversi già da tempo e non ce ne eravamo accorti. E così ci tocca recuperare il tempo perduto. Anzi, cercarlo. Ma intanto, possiamo dire ancora di essere ciò che pensiamo? O non succede ormai il contrario e cioè che siamo noi ad “essere pensati”? Il discorso è complesso. Servono filosofi e sociologi. Alla prossima ….

*Bruno Pezzella, docente, scrittore

Bruno Pezzella