VerbumPress

Educarsi e educare al bello e al buono

Penso che gli organizzatori del Quarto Premio Internazionale “Giuseppe Fasano – Grottaglie la città delle ceramiche”, che si svolge presso le Tenute Al Bano di Cellino San Marco, non avrebbero potuto scegliere titolo migliore per questa mia relazione: “Educarsi ed educare al bello e al buono”.

IL BELLO

Ho consegnato ad Al Bano e Giuseppe Fasano copia dell’Antologia “Scrigno di Emozioni – Cavalieri dell’Arcobaleno 2020”, che è inter alia illuminata dalla laudatio che svolsi qui in occasione della terza edizione: “Laudatio del maestro ceramista Nicola Fasano e di don Carmelo Carrisi”.

Leggo ora le loro avvertenze per l’uso dell’Antologia di Teresa Gentile,che sottoscrivo con la mia mente, il mio cuore e la mia anima: “Tu che leggerai quest’Antologia certamente hai incastonato un meraviglioso talento nel tuo cuore. Ricorda che attende solo di essere risvegliato e acuito per esprimere al meglio la tua idea di Bellezza”.

Idea di bellezza…

Come faccio a descrivere l’idea di bellezza, semplice, parlo della bellezza di Grottaglie, del quartiere delle ceramiche di Grottaglie, dei Fasano, ceramisti dal 1620, 400 anni, per capirci, sapete quando è stata fondata New York? …nel 1624, 4 anni dopo.

Ogni volta che posso, vado a visitare il negozio di Giuseppe Fasano presso il Quartiere delle ceramiche. Ciò mi da la possibilità di fare delle foto che mi tornano utili per il mio gruppo di Facebook dedicato all’enogastronomia “Milano e la Puglia”.

Il progetto che porto avanti è: “Ogni pietanza ha il piatto adatto”.

Sono passati sei anni dalla prima visita, il 9 maggio 2014, ma ricordo tutto perfettamente.

Sono entrato nel negozio “Giuseppe Fasano Ceramiche” pronto a scattare foto ai manufatti meritevoli di un “Mi piace”. Del resto, il nostro cervello è ormai abituato, con l’aiuto dello sguardo, a privilegiare le immagini e a decidere velocissimamente “Mi piace, Non mi piace”.

Ma non è andata così. Appena ho messo piede nel negozio ho capito cosa intendesse dire Gustav Mahler con la sua meravigliosa frase “Tradizione non è culto delle ceneri, tradizione è custodia del fuoco”.

Quel fuoco mi ha avvolto, lasciandomi attonito.

La sbalorditiva varietà di colori che avevo di fronte e la stupefacente varietà di forme (piatti reali, pigne, vasetti, lucerne, sruli, ciarle, zuppiere, trimmoni, pupe, pumi, fischieddi, campanieddi, trumbetti, scucarieddi, pasturi, acquasantiere, cavalli con cavalieri, stoviglie, piastrelle, craste, limmoni, pitali, minzane, vummili, capase, capasoni, scafaree, pendriali, cammautti, scutedde, quartare, piretti….) mi hanno fatto andare in tilt lo sguardo e il cervello.

I troppi “Mi piace” determinati da cotanta bellezza mi hanno ubriacato; le storie che mi raccontava Giuseppe Fasano, trascinandomi nei vari incredibili ambienti e grotte di quello che io pensavo fosse un semplice negozio, mi hanno fatto avere delle visioni.

Visioni poetiche, accompagnate in sottofondo, da una meravigliosa musica descritta dai versi di Antonietta Ursitti.

“Suono dolce colto per caso / danza nell’aria incontrastato / vani i rumori che vogliono / distogliere l’udito incantato / parole perfette sospese / su un aereo pentagramma / inutile impedirne il volo / si tuffano nell’anima / che si riempie / vaso dorato / della celestiale / musica di parole / in fila a cantare / la favola della vita”.

La favola della vita è ciò che ho vissuto in quei 30 minuti di tilt. Poi il mio sguardo e il mio cervello hanno ripreso a funzionare. Ho fatto tante foto e tante domande a Giuseppe Fasano e gli ho detto che avrei sempre raccontato il fascino della bellezza ereditato da suo padre.


“È vero, principe, che lei ha scritto che la bellezza salverà il mondo?” Era la domanda che poneva Dostoevskij nel diciannovesimo secolo. È una domanda ancora valida.

Un punto fermo. È deprimente e sbagliato, oserei dire un errore blu, pensare che tutta la bellezza sia relegata al passato. Dobbiamo convincerci e convincere che, come in tutte le epoche, anche la nostra ha molto da esprimere ancora.

Prendo in prestito le parole da un grande profeta, don Tonino Bello. 

Don Tonino urlava “È la bellezza che salverà il mondo. Non saranno le armi, non sarà la nostra forza, non sarà la nostra saggezza. Sì, sarà la bellezza. Amate la bellezza. Coltivate la bellezza. La cura della bellezza non è qualcosa di effimero. Coltivate la bellezza del vostro volto, anche quando avrete ottant’anni. Coltivate la bellezza del vostro corpo, la bellezza del vostro vestire, cioè l’eleganza e la semplicità. Coltivate la bellezza del vostro sguardo: non potete immaginare quanta luce dà a chi è triste; non potete immaginare quanta voglia di vivere produce uno sguardo generoso che voi date su di una persona che è triste, su di un passante”.

Riconoscere la bellezza nel creato significa per don Tonino riscoprire un compito primordiale che ci vede addirittura insieme allo Spirito Santo, affinché la terra passi dal Caos, cioè da noia e morte, al Kosmos, cioè a trasparenza e grazia.

Un secondo punto fermo. Alla bellezza occorre educarsi e educare.

Perché? Perché solo con l’educazione alla spiritualità e alla bellezza, le nuove generazioni sapranno scoprire i tesori che hanno dentro di sé e avranno la capacità di scoprire il bello e il bene che è nel mondo che ci circonda.

Educarsi e educare alla bellezza vuol dire educarsi e educare allo stupore, all’estasi, al diversamente bello per poter sperimentare la convivialità delle differenze.  Ma vuol dire anche saper provare dolore, rabbia e disgusto per i modelli di business che provocano dipendenza, fame e miseria nel mondo, nonché distruzione dell’ambiente naturale.

Sulla spilla che illumina la mia giacca c’è scritto

 “La bellezza resta”. 

È un auspicio, un sogno fatto ad occhi aperti. Affinché si realizzi adesso, come ci ha insegnato don Tonino Bello “Non basta più enunciare la speranza, adesso occorre organizzare la speranza”.

Da dove ricominciamo? Non ho alcun dubbio: dalla bellezza. È sulla bellezza che dobbiamo puntare per organizzare la speranza. Ma non basta.

IL BEN FATTO E IL BUONO

Al bello occorre associare il ben fatto. L’Italia agli occhi del mondo è questo. Un marchio, lo Stile di Vita Italiano, che non smetterà mai di essere desiderabile, di attrarre, di solleticare la fantasia e suscitare emozione.

Il Bel Paese è il luogo della passione, una terra di cui innamorarsi. Un vantaggio competitivo incredibile di cui è consapevole un numero sempre maggiore di persone. Ma non abbastanza.

Per questo la comunicazione e la diffusione dello Stile di Vita Italiano sono essenziali. Primi ambasciatori del buon gusto italiano sono da sempre gli artigiani-artisti, alfieri del bello e ben fatto perché attraverso prodotti, creazioni ed esperienze raccontano la capacità unica e straordinaria di apprezzare il lato positivo della vita. Anche nei momenti più difficili.

Si è visto molto bene durante il lockdown.

Tutti abbiamo sentito fortemente la mancanza delle cose autentiche, del cibo buono, dei rapporti, delle esperienze sensoriali. Non necessariamente delle cose costose, ma di quelle significative, perché la bellezza ci nutre, come le proteine.

Permettetemi una riflessione. Per noi una cosa è un oggetto. Ebbene, se quella cosa è bella e ben fatta e aggiungo anche buona, quella cosa cambia il suo status da oggetto a bene addirittura a bene di lusso. Il vantaggio competitivo della bellezza, con l’effetto moltiplicatore del ben fatto e del buono, è davvero straordinario.

Ma il nostro paese ha anche un altro straordinario vantaggio competitivo: la biodiversità.

La biodiversità è definita come ricchezza di forme di vita di un ambiente. Essa permette la vita stessa, poiché senza la complessa catena di interazioni tra gli esseri viventi, nessuna vita esisterebbe.

E poi ci sono le api. Api e agricoltura rappresentano un binomio indissolubile in quanto queste svolgono un ruolo fondamentale nell’impollinazione dei fiori e di conseguenza incidono nella qualità dei frutti. La loro presenza è un importante indicatore dello stato di salute dell’ambiente.  Porre gli alveari lungo le capezzagne fa aumentare l’allegagione, riduce l’acinellatura e fa aumentare anche i lieviti utili necessari per la fermentazione.  La presenza di api nei vigneti è sinonimo di sicurezza del prodotto, perché l’utilizzo incontrollato di sostanze porta alla loro morte (un alveare contiene circa 40.000 api ed un avvelenamento può portare, in un singolo giorno, alla sparizione di 8.000 api). Per questo le api sono considerate “sentinelle ambientali del territorio”.

Ebbene, il 28 agosto 2019, mentre intervistavo Al Bano, ad un certo punto lo vedo alzarsi e avvicinarsi al tavolo di due signore urlanti. Cosa era successo?  Mentre mangiavano erano sopraggiunte delle api e loro si erano spaventate. Al Bano disse loro di stare tranquille, la presenza delle api era la prova provata che il cibo era buono. Chapeau! A me piace pensare che questa saggezza gli derivi dagli insegnamenti dei suoi genitori.

Concludo. Sia lode e gloria al bello e al buono, i due vantaggi competitivi che permetteranno alla Puglia e all’Italia intera di ripartire, a condizione che ci si educhi e si educhi. Sia lode e gloria ai protagonisti della ripartenza, a cominciare da chi riceve il Premio “Giuseppe Fasano”. Complimenti e grazie.

*Francesco Lenoci, docente Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano

Francesco Lenoci