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Coco: culto dei morti e memoria salvifica

La morte è senza dubbio una delle più grandi incognite nella vita dell’uomo e con essa tutti dobbiamo fare i conti, direttamente e indirettamente, ancor più in un momento storico come quello presente, in cui la sentiamo particolarmente pervasiva e vicina, quasi dietro l’angolo.

La morte è qualcosa che spaventa, perché ci sottrae persone a noi care, perché pensiamo possa essere dolorosa, perché non sappiamo cosa proveremo in quel momento, perché significa doverci staccare da tutto ciò che amiamo e conosciamo.

La morte s’intreccia costantemente alla vita, è sua naturale conclusione, e il confine tra le due è una linea sottile, un limes labile, precario, da sempre oggetto della riflessione filosofica e spirituale dell’uomo.

Non è un caso, quindi, che in tutte le culture, a partire dalla Preistoria, sia presente il culto dei morti, “espressione della pietà che gli esseri umani provano verso i defunti e della speranza in una vita futura. Il culto dei morti si manifesta nei riti funebri, diffusi in tutte le società; nella costruzione di luoghi dei morti come i cimiteri; nella elaborazione di credenze relative al destino dell’anima e all’aldilà; nel modo in cui si conserva la memoria dei defunti[1].

Nella tradizione di moltissimi Paesi del mondo, tutto questo trova massima espressione nel giorno dei morti, celebrato come una vera e propria festività, secondo declinazioni differenti a seconda del luogo.

Oltre alle tradizionali visite al cimitero, in molte zone d’Italia è tradizione, durante la notte fra l’1 e il 2 novembre, lasciare tavole imbandite con dolci tipici e lumi accesi per i morti e in Sicilia, ad esempio, è consuetudine che i defunti “portino” dei doni ai bambini, lasciandoli sotto i loro lettini.

Negli Stati Uniti si festeggia Halloween che, sebbene ormai sia stata esportata in moltissimi luoghi e abbia perso i suoi significati più profondi, in realtà è l’evoluzione dell’antico capodanno celtico, Samhain: “In Druidic lore it was commonly believed that this was a time of other-worldy spirits when the boundaries between the living and the super-natural were erased.[2]

La Cina ha la sua festa Qingming, giorno dedicato agli Antenati e alla pulizia delle tombe.

Il Giappone festeggia gli antenati ad Obon, quando gli spiriti dei defunti tornano a far visita ai parenti, che tradizionalmente utilizzano fiaccole e lanterne di carta per aiutarli a trovare la strada di casa e poi a fare ritorno nell’aldilà.

Il Messico, infine, festeggia il Día de los Muertos, festa di origine azteca tanto ricca e spettacolare da essere diventata parte del Patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità dell’UNESCO. In questa occasione si celebra l’annuale visita dei defunti ai parenti ancora in vita, che adornano le tombe di fotografie, cibo e candele, riempiendole di Cempasúchil, fiori gialli e arancioni che guideranno i defunti, fra colorate processioni in maschera animate dalle Calacas (scheletri con abiti festosi che danzano e suonano). “Il significato di questa festa è che la morte non è recisione, ma passaggio il quale non preclude la possibilità, almeno per un giorno, che i vivi e i morti possano effettivamente incontrarsi, ancora una volta nel mondo presente.[3].

Le feste dei morti, insomma, sono il momento in cui la barriera fra il mondo terreno e l’aldilà viene temporaneamente abbattuta e un contatto, o almeno uno sfioramento, fra i vivi e i defunti diviene possibile, tema affrontato con leggerezza e al contempo grande profondità anche da Coco, il film d’animazione Pixar del 2017.

Ci troviamo a Santa Cecilia, in Messico, dove il giovane Miguel sogna di diventare un musicista, ispirato dal suo idolo Ernesto De La Cruz, da tempo defunto, ma ricordato da tutti come il più grande cantante messicano. L’obiettivo del dodicenne è tuttavia ostacolato dalla famiglia, in cui la musica è stata proibita da decenni: la trisnonna di Miguel, Imelda, ha bandito la musica e persino il ricordo del marito dopo che lui l’ha abbandonata per dedicarsi alla carriera di musicista, lasciandola sola a crescere la figlia Coco (che incontriamo all’inizio della storia come l’anziana bisnonna del protagonista, con la mente un po’ confusa e sempre più distante da ciò che la circonda).

Nel Día de los Muertos, a seguito di un litigio con i parenti, Miguel prende dalla tomba del famosissimo divo Ernesto De La Cruz la chitarra del defunto per partecipare alla gara musicale che si terrà quella sera, peraltro convinto che De La Cruz sia proprio il suo misterioso trisnonno, da cui avrebbe ereditato la vocazione per la musica.

Il gesto, tuttavia, scatena una maledizione e Miguel si trova all’improvviso in una condizione ibrida: è un vivente che però non può più essere visto né sentito dagli altri vivi e che può interagire solo con gli spiriti, muovendosi nel regno dell’aldilà. Per fare ritorno al mondo dei vivi avrà bisogno, entro l’alba, della benedizione di un parente (defunto), o rimarrà uno spirito per sempre. Inizia a questo punto il viaggio di Miguel nel regno dei morti, alla disperata ricerca di De La Cruz, che in qualità di trisnonno spera possa fornirgli la benedizione.

Durante il suo peregrinare nell’aldilà, il dodicenne incontra Héctor, con cui stringe un accordo: il defunto lo aiuterà a trovare De La Cruz e in cambio Miguel porterà con sé nel mondo dei vivi la fotografia di Héctor da esporre sull’ofrenda per far sì che possa tornare sulla terra e rivedere sua figlia; lei, infatti, lo sta dimenticando, e quando un defunto viene dimenticato la sua anima svanisce per sempre.

Attraverso un viaggio spettacolare nell’aldilà, caleidoscopico e ricco di musica e colori, Miguel riuscirà a trovare Ernesto De La Cruz e alla fine la verità verrà a galla: il trisnonno di Miguel non è lui, bensì Héctor, che peraltro non ha abbandonato la famiglia, ma è stato assassinato proprio da De La Cruz, con cui si esibiva, quando ha cercato di interrompere la collaborazione per tornare a casa da Imelda e dalla sua Coco, quella figlia che cerca disperatamente di raggiungere dall’inizio della storia.

A questa rivelazione Imelda è costretta a rivedere il suo atteggiamento verso il marito e verso la musica, mentre insieme agli altri antenati si unisce a lui e a Miguel per sconfiggere il perfido De La Cruz. La foto di Héctor va tuttavia perduta e la sua fine sembra segnata. Miguel torna nel regno dei vivi, ma qui riesce ugualmente a salvare il trisnonno: corre da Coco e le suona la canzone che Héctor aveva composto per lei e che le suonava quando era piccola. La canzone risveglia nella donna il ricordo del padre, che in questo modo si salva, mentre la musica viene finalmente riabilitata e l’anno successivo, nel giorno delle anime, l’intera famiglia può finalmente ricomporsi, tra spiriti e viventi, nessuno escluso.

Come spesso accade, dietro un lungometraggio di animazione apparentemente rivolto ai più piccoli si nascondono riflessioni profonde e universali, soprattutto quando il prodotto culturale, come in questo caso, si concentra sul rapporto fra i vivi e i morti e sul valore della memoria.

L’impostazione del percorso di Miguel e del trisnonno Héctor nel regno dei morti ricalca la struttura classica del viaggio di un mortale nell’aldilà, affiancato da una guida che al regno dei morti appartiene. L’avventura di Miguel può essere vista come una visione, genere tipico della Letteratura religiosa delle origini che narrava, appunto, un viaggio nell’aldilà. Si tratta in definitiva di una forma di allegoria, nello specifico di un’allegoria anagogica.

Come spiega Stefano Prandi, infatti, l’allegoria “[…] si basa sulla tecnica interpretativa applicata inizialmente alle Sacre Scritture, che consiste nel distinguere vari livelli di senso:

  • letterale: questo livello si attiene semplicemente a quanto il testo […] afferma, che va inteso come una verità storica, come la narrazione di fatti realmente accaduti;
  • allegorico: è un significato profondo, che si deve ricavare da quello letterale e che rimanda ai misteri che sono oggetto della fede;
  • morale: anche questo è ricavato dal senso letterale, ma costituisce non una nozione astratta, bensì una regola di comportamento e di vita;
  • anagogico: sempre ricavabile dal senso letterale, riguarda le realtà ultime, ovvero la condizione dell’uomo dopo la morte.[4]

Centrale è poi, come anticipato, il tema della memoria quale elemento in grado di unire vivi e morti, concetto alla base della festività stessa, intesa per l’appunto a celebrare il ricordo dei cari defunti, e articolato in Coco in modo stratificato e complesso. Gli esiti sono commoventi e insieme spiazzanti, laddove la malinconia colpisce ancor più nettamente perché inaspettata, avvolta dal turbinio di allegria e colore che permea l’intero lungometraggio, visivamente ricchissimo, a partire dalla larga presenza di luci e del colore arancione dei petali con cui i vivi tracciano i sentieri destinati a condurre a casa i morti e che creano dei meravigliosi ponti a più arcate, tramite cui le anime dei defunti possono passare da un mondo all’altro.

La memoria è oggettivata nella fotografia del caro defunto, che ne è simbolo e che deve necessariamente essere esposta sull’ofrenda di famiglia, l’altare preparato dai vivi con le foto dei parenti morti e cibi e oggetti che in vita erano di loro gradimento e che li rappresentavano: se la foto non viene esposta, il defunto non potrà attraversare i ponti di fiori.

La memoria dei vivi, abbiamo detto, è fondamentale affinché le anime dei defunti possano continuare ad esistere nell’aldilà.

Nel regno dei morti Coco crea una zona specifica, una sorta di “ghetto” in cui vivono le anime di coloro che non hanno foto né ofrendas, i “quasi dimenticati”. Mentre le altre zone dell’aldilà presentano architetture fastose e incredibili, piene di luci e gioia, gli spiriti che non hanno nessuno a ricordarsi di loro nel giorno delle anime vivono in una sorta di squallida periferia, in costruzioni che somigliano a delle baracche, sono malvestiti ed emarginati, e cercano di sopperire alla mancanza di legami con i viventi costruendo fra loro una sorta di famiglia vicaria, tant’è che si chiamano “tío”, “cugino” e simili pur non essendo realmente parenti.

Il destino che li attende, non appena saranno scordati del tutto, sarà svanire. Miguel assiste agli ultimi istanti di “vita” di Chicharrón, una di queste anime, che si dissolve sotto i suoi occhi in una delicata scia arancione che si perde nel vento, spegnendosi in una sorta di seconda morte, perché definitivamente dimenticato nel mondo dei vivi. Miguel fa notare ad Héctor che lui ha conosciuto Chicharrón, e che una volta tornato nel regno dei vivi potrà ricordarsi di lui, ma Héctor gli spiega che non funziona in questo modo: i nostri ricordi devono essere tramandati da chi ci ha conosciuto in vita, attraverso le storie che parlano di noi; non c’è più nessuno in vita che tramandi le storie di Chicharrón.

E questo è il motivo per cui Héctor è tanto ansioso di attraversare il ponte di fiori per rivedere Coco, unica vivente a conservare memoria di lui; non appena il ricordo svanirà definitivamente dalla mente di sua figlia, Héctor svanirà con esso e perderà la possibilità di ricongiungersi a lei nel regno dei morti una volta che anche lei sarà passata a miglior vita, vuole quindi almeno vederla un’ultima volta.

La memoria, quindi, è salvifica, tanto per i morti quanto per i vivi.

Quando Miguel torna nel mondo dei vivi, Héctor è “in punto di morte”, ma anche Coco è quasi spenta, una sorta di guscio vuoto che non risponde più agli stimoli. Nel momento in cui Miguel le suona la canzone che il padre le cantava sempre, la musica fa scattare in lei una scintilla che la rianima, la fa tornare viva e presente, le ridona l’entusiasmo e lo stupore di una bambina che finalmente ritrova il suo papà dopo averlo tanto atteso. Coco inizia a raccontare a Miguel e al resto della famiglia di suo padre, di quella canzone che le cantava ogni sera, delle lettere che le mandava mentre era via. E Héctor, nel regno dei morti, con Imelda di nuovo al suo fianco, si salva.

La memoria è ciò che preserva la vita. La memoria è ciò che impedisce alla morte di essere definitiva, ciò che fa sì che si mantenga un contatto fra vivi e morti, non distante da quella corrispondenza d’amorosi sensi di cui parlava anche Foscolo, il legame che consente ai defunti di continuare a vivere nella mente dei loro cari.

Come dice Miguel a Imelda per convincerla ad aiutare Héctor, “Non sei costretta a perdonarlo, ma non dimentichiamolo[5]. E questo, in fondo, è proprio il senso delle celebrazioni del giorno dei morti, quel giorno in cui tutto è possibile, qualcosa di speciale accade, le barriere vengono meno e le famiglie possono riunirsi. Perché “La famiglia prima di tutto[6].

*Monica Siclari, dottoressa in comunicazione per l’impresa, i media e le organizzazioni complesse, scrittrice


[1] Enciclopedia Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/culto-dei-morti_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/

[2] Rogers, N., Halloween in Urban North America: Liminality and Hyperreality

[3] Sisto, D., Il giorno dei Morti

[4] Prandi, S., Il mondo nelle parole. Storia e Testi della Letteratura italiana, Mondadori Scuola, 2020

[5] Unkrich, L., Molina, A., Coco, Pixar, 2017

[6] Ibidem

Monica Siclari