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Lo Stato, la “visione” del filosofo Giambattista Vico

Lo Stato abbisogna di uomini incerti, dubbiosi, bisognosi del suo spirito onnivoro di hobbesiana memoria, come daltronte abbisogna non del vero Diritto, ma di leggi anch’esse dubbiose ed incerte che il legislatore pone in essere volutamente in modo da creare cosi, nella maggior parte dei casi, un governo pecunia, in cui tutto si organizza, tutto si esegue, virtù di rientri economici eclatanti a beneficio dello Stato e quindi della politica che lo sorregge e lo avalla.

Il tormento di Giovan Battista Vico è stato quello di scoprire l’idea nascosta nel reale, il secretissimo nesso tra idea e vita dentro lo stesso rapporto di vita;

Allora l’uomo, la persona, l’individuo, devono schiudere la loro mente all’essenza unica, irripetibile, del concetto trascendente che non soggiace mai all’idea del finito, del molteplice, del surreale. 

Secondo il grande principio Vichiano, fissato e tenuto fermissimo in tutto il suo pensiero, “l’uomo non può perdere di vista Dio”; la sua mente alterata e diminuita dal male  ancora “mente”, cioè ha ancora legata alla verità attraverso la tenuissima traccia dell’idea dell’essere, dell’ordine, delle relazioni universali, dell’Essere assoluto. 

Il barlume di un’idea buona resta sempre a formare la mente, la quale inficiata dal male è pur sempre una lontana e pallida coscienza della Verità; un barlume di Verità c’è e ci sarà sempre, anche se l’individuo e preso e sopraffatto dalla cupidigia, che tutto altera, che tutto rende incerto e che tutto immerge “nella sapienza dei sensi”, che è mera stoltezza umana.

Questo barlume costituisce l’essenza stessa della mente, per cui quest’ultima resta tale anche dopo il male, come entità unica, buona, come forza vitale ed operante nell’attività disordinata e notturna dell’umanità cupida e cupidamente utilitaria.

E penso di poter affermare che le incertezze del povero individuo dipendano solo ed esclusivamente dalla dinamicità ed operatività della sua mente tesa a conformarsi con l’idea imperante del mondo, idea di “vis cupidigiae”, suscettibile di spinte e controspinte utilitarie e nulla.

Da questa oscura vitalità dell’idea nasce con lentissime vicende tutta la vita umana; ma allorchè questa vitalità si erige a lotta contro il suo nonsenso, allora diviene virtù; virtù per l’intelletto nel cercare di scoprire il vero; virtu morale nel combattere la cupida “scienza” del mero possesso; conseguentemente l’umiltà attacca alle sue radici il male, vince quell’amore di se stesso, che è appunto la radice di tutta la malizia.

*Francesco Del Pozzo, avvocato, filosofo, giornalista, scrittore.

Francesco Del Pozzo