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Le sfide per l’approvvigionamento energetico di questo secolo

Il fabbisogno di energia ha rappresentato da sempre per l’umanità una necessità primaria. E’ grazie alla disponibilità di energia abbondante ed a buon prezzo che lo sviluppo umano è stato possibile e che ci consente il livello di benessere raggiunto dalle società occidentali – livello che, purtroppo, non è condiviso da tutti gli abitanti del nostro pianeta. Eppure si nota una stretta relazione fra indice di sviluppo umano (HDI), consumo di energia pro-capite ed aspettativa di vita. Lo sviluppo dell’umanità è proseguito fondamentalmente attraverso 10 tappe, partendo dalla scoperta del fuoco, passando per lo sfruttamento dell’agricoltura, l’uso dei mulini ad acqua ed a vento, poi quello del carbone e del petrolio, per arrivare alla nona tappa il 2 dicembre 1942, quando Enrico Fermi accese la prima pila atomica. La decima tappa non è stata ancora raggiunta, ma probabilmente consisterà nello sfruttamento dell’energia della  fusione  nucleare:  il  deuterio (isotopo pesante dell’idrogeno)  contenuto  in  un  litro  di  acqua  può  produrre  un’energia  pari  a  quella  fornita  da  oltre  300  litri  di  benzina  o  550  Kg  di  carbone.

Trattandosi dunque di un bene necessario, di cui difficilmente qualcuno vorrà rinunciare in futuro, bisognerà trovare il modo di garantire un’adeguata disponibilità di energia ad ogni abitante della Terra. Sappiamo bene che non si tratta affatto di un compito facile, ed è proprio per questo che bisogna agire da subito ed in maniera razionale. La prima domanda infatti è: quanta energia ci servirà? E’ ragionevole credere che al tasso attuale di decrescita, la popolazione mondiale si possa stabilizzare attorno agli 11,5 miliardi di individui nel 2080 (oggi siamo poco più di 7,75 miliardi). Il consumo elettrico medio di ogni cittadino europeo si attesta attorno a 5885 kWh/annui: se tutto il mondo consumasse lo stesso quantitativo di energia, il consumo mondiale annuo sarebbe pari a 45600 TWh (tera-watt-ora, ossia miliardi di chilowatt-ora). Invece il mondo attualmente ne consuma circa 21500 – di cui circa 9500 nella sola UE. Naturalmente parliamo di soli consumi elettrici, tralasciando trasporti, agricoltura, ecc. Le previsioni di altri istituti specializzati nel settore (come la IIASA, per esempio), sono anche ben peggiori (aumento dei consumi per un fattore pari a 6 entro fine secolo).

E’ evidente che le fonti fossili (in particolare petrolio, carbone e gas naturale), che hanno garantito finora lo sviluppo umano, non potranno continuare a farlo per sempre, trattandosi di risorse finite ed esauribili. E’ prevedibile che l’era delle fonti fossili non finisca per l’esaurimento delle stesse, bensì perché diverranno beni scarsi ed il loro prezzo troppo alto e – si spera – perché nuove opzioni si saranno rese disponibili.

La soluzione del problema però, non appare affatto facile né scontata. Una campagna mediatica tanto martellante quanto ingannevole ha fatto credere che la soluzione sia dietro l’angolo, e che sia costituita dall’uso delle fonti di energia rinnovabile, in particolare l’energia solare ed eolica. La realtà è un po’ più complessa di cosi. Perché una fonte sia utilizzabile con successo, è necessario che questa sia comandabile, frazionabile, concentrabile ed indirizzabile. Le fonti rinnovabili non beneficiano praticamente di nessuna di queste caratteristiche: ovviamente lo sviluppo tecnologico può ovviare questi inconvenienti, ma comporta costi aggiuntivi. Badate bene, quando si parla di costi, in campo energetico, non bisognerebbe mai parlare del solo costo economico (certamente molto importante), ma anche di quello energetico. Vale a dire, per produrre 1 kWh di energia solare, quanta energia spendo per estrarre il silicio dalla sabbia (processo ad alto consumo energetico e dai passaggi non tanto amichevoli per l’ambiente), costruire un pannello, trasportarlo, manutenerlo e poi smaltirlo? Secondo uno studio recente (condotto da Ferroni e Hopkirk nel 2017), al di la delle Alpi il ritorno di energia  (EROEI in termini tecnici – Energy Return on Energy Invested) sarebbe addirittura negativo. Ricordiamoci poi che sia l’energia solare che quella eolica immettono energia in rete quando disponibile, non quando viene richiesta. Questo è un problema serio per la rete – se tutti gli utenti lo facessero, gestire il bilancio di energia sarebbe impossibile di fatto e i black-out diverrebbero una realtà. Ammenoché non si riescano a trovare dei mezzi efficaci per accumulare l’energia elettrica, che oggi non esistono (il mezzo più efficace sono le dighe, ma hanno una capacità limitata – e non sono esenti da pericoli, come il triste caso del disastro del Vajont, costato la vita a 1917 persone, ha dimostrato).

L’energia elettrica è un bene prezioso, ma anche molto particolare: va prodotta nell’esatto momento in cui si deve usare. Si accumula malissimo ed a costi molto alti. E’ difficile pensare che sia possibile muovere un treno, o una fabbrica, con delle batterie (che peraltro, hanno una loro vita legata al numero di cicli di carica, alla fine dei quali vanno riciclate – spendendo ulteriore energia – o smaltite). Se si guarda al diagramma di carico giornaliero del nostro Paese, si nota come siano presenti (oltre al carico di base costante, pari ad un 30% del totale circa) due picchi di richiesta: uno intorno a mezzogiorno, ed uno intorno alle 19 della sera (quando il sole non brilla – e non c’è rete intelligente che possa risolvere il problema). L’energia del sole è infinita e gratuita in poche parole, ma purtroppo è dispersa e discontinua e quindi per raccoglierla servono grosse infrastrutture, che non sono affatto né gratuite né economiche. Infatti, a fronte di decine di miliardi investiti negli incentivi alla fonte solare, le bollette elettriche degli utenti domestici non sono affatto diminuite negli ultimi vent’anni (questa credo che sia una osservazione empirica che ogni buona massaia ha fatto, anche se le motivazioni sono varie).

Qualcuno nomina le reti intelligenti: sarebbe opportuno ricordare che la rete elettrica non è paragonabile a internet. Questo per alcuni motivi fondamentali, che sarebbe opportuno tenere presenti: per prima cosa l’energia non si accumula (non esistono hard-disk a buon mercato per l’energia), e seconda cosa nel trasporto dell’energia si hanno delle dispersioni (inviare 1 kWh dall’Italia in Australia non è facile come inviare una fotografia via e-mail).

Altra proposta che andava di moda una quindicina di anni fa, era quella di utilizzare l’idrogeno: ebbene, a parte il fatto che l’idrogeno è altamente infiammabile ed esplosivo, e che si trasporta parecchio male (ha un basso rapporto energia immagazzinata per unità di volume), bisogna ricordare che non rappresenta una fonte, bensì un vettore energetico (ossia, l’energia si limita trasportarla e lo si può produrre consumando energia presa da qualche altra parte – e di sicuro non dalle sole fonti rinnovabili, per i motivi accennati sopra, come qualche stravagante economista suggeriva).

Si parla spesso (senza contezza) di fusione nucleare: una fonte abbondante, ma di certo non a portata di mano nel breve periodo. Ho visitato personalmente sia la National Ignition facility di Lawrence Livermore (USA), dove si studia il confinamento inerziale del plasma, sia ITER, nel sito francese di Cadarache (all’epoca ero nel Governing Board del consorzio che si occupa della costruzione), dove si studia la fusione a confinamento magnetico. Trattasi in entrambi i casi di enormi e costosissimi esperimenti di fisica nucleare: certamente molto interessanti, ma ben lontani dall’immettere un solo kWh elettrico in rete. Personalmente stimo che la fusione nucleare difficilmente sarà disponibile prima della fine del secolo – e bisognerà vedere inoltre a che prezzo riuscirà a produrre energia (anche qui, il combustibile è abbondante ed economico –  acqua e litio (da non dimenticare!) –  ma sfruttarlo è assai complesso).

Sarebbe opportuno quindi, data la complessità e l’importanza della tematica, non ignorare alcuna fonte per mere motivazioni ideologiche. Ed ecco perché, a mio parere, bisognerebbe utilizzare l’energia nucleare da fissione nei reattori di ultima generazione. Ricordiamo che se si usassero i reattori autofertilizzanti di IV generazione (Gen. IV), le risorse di uranio moltiplicherebbero la disponibilità di combustibile di 100 volte, garantendo energia all’umanità per secoli. Naturalmente sarebbe necessario garantirne la sicurezza (abbassando la densità di potenza e rendendo la fusione del nocciolo impossibile – macchine di questo tipo sono già state costruite e testate, come ad esempio l’AVR) e lo smaltimento sicuro delle scorie in siti geologicamente stabili (passo che, peraltro, si renderà comunque necessario per lo smaltimento del combustibile irraggiato derivante dalle attività pregresse) – alcune nazioni, come la Finlandia, sono assai avanzate in questo campo.

Per fare tutto questo, sarebbe necessario un dibattito pubblico serio e non inquinato da ideologie pseudo-ambientaliste e convenienze politiche orientate ad intercettare gli umori del momento – cosa di fatto praticamente mai verificatasi nel nostro Paese. Del resto, qualcuno ha già detto che la politica fu in un primo momento l’arte di impedire alla gente di occuparsi degli affari che la riguardavano; in un secondo momento è divenuta l’arte di farla decidere su cose che non conosce né tantomeno capisce. Facciamo attenzione però, perché i problemi non si risolvono con gli slogan né votando a maggioranza. Ed il burrone potrebbe essere dietro l’angolo.

*Vincenzo Romanello, PhD, ricercatore nucleare senior.

Vincenzo Romanello